Tra i primi interventi messi a punto dal ministero per la Transizione Digitale guidato da Vittorio Colao si collocano significativamente i tempi generali di autorizzazione per l’installazione degli impianti di telefonia fissa e mobile su proprietà pubbliche o private, che sono stati dimezzati da 6 a 3 mesi (90 giorni). Il provvedimento rientra in una più ampia strategia dedicata a velocizzare e semplificare i lavori infrastrutturali dedicati alla realizzazione delle reti e alla installazione degli apparati per banda larga fissa e per il 5G. Rivolge specifica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo pubblicato lo scorso 29 maggio a firma Carmine Fotina: Le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali devono comunque rispettare il procedimento semplificato per istanze di autorizzazione e denunce di attività, tanto per impianti di telefonia mobile quanto per gli scavi per la banda larga fissa, previsto dal Codice delle comunicazioni elettroniche. Procedimento che ora viene ulteriormente alleggerito. Per il 5G e per gli scavi per la banda larga fissa le denunce di attività diventano mere «segnalazioni» e l’istanza di autorizzazione assume ora «valenza di istanza unica». Subentra poi una super conferenza dei servizi che va sempre convocata, ancora prima di un eventuale dissenso dell’amministrazione interessata. E in tempi rapidissimi: 5 giorni dalla presentazione dell’istanza. La determinazione positiva della conferenza sostituisce ad ogni effetto tutti i provvedimenti e le autorizzazioni necessarie e vale anche come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. L’eventuale dissenso di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale o dei beni culturali deve essere «congruamente motivato» e scatta comunque il silenzio assenso dopo 90 giorni. Anche sulle modifiche agli impianti arriva un assist al 5G: entro certi limiti dimensionali basteranno comunicazione d’avvio e autocertificazione e per i controlli dell’Arpa sull’elettrosmog scatterà il silenzio assenso dopo 30 giorni.
Sempre nell’articolo si ricorda come un’altra importante novità è il ricorso alla tecnica della «micro» trincea per gli scavi che andrà considerata obbligatoria «qualora sia tecnicamente fattibile per l’operatore»: E si potrà procedere (anche nel caso di «mini» trincea, già oggi utilizzata) senza le autorizzazioni. L’operatore di rete si limita a comunicare, con un preavviso di almeno quindici giorni, l’inizio dei lavori alla soprintendenza allegando la documentazione cartografica del tracciato e, se sono interessati i centri storici, un elaborato tecnico con le modalità di risistemazione degli spazi.
Cambi ai vertici di Ferrovie dello Stato: il Governo ha infatti nominato Luigi Ferraris Amministratore Delegato e Nicoletta Giadrossi Presidente. Sostituiscono rispettivamente Gianfranco Battisti e Gianluigi Vittorio Castelli. La scelta è arrivata, come specifica una nota della stessa società, “dopo un colloquio con il ministro dell’Economia Daniele Franco e dopo un lungo lavoro di valutazione”. Ferraris è un manager di grande esperienza nelle società partecipate, con un passato in Enel, Poste e Terna mentre Giadrossi arriva da Fincantieri. A questo importante avvicendamento dedica un articolo Il Corriere della Sera, con un “pezzo” a firma Antonella Baccaro pubblicato lo scorso 27 maggio: Sono all’insegna della discontinuità le prime nomine nelle partecipate dell’era Draghi, quelle del consiglio di amministrazione delle Ferrovie dello Stato, ieri completamente rinnovato. E quelle di Cassa depositi e prestiti che si preciseranno oggi, e che vedrebbero l’arrivo, al posto di Fabrizio Palermo, di Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti. Quanto a FS, dopo fitti colloqui con l’azionista, il ministro dell’Economia Daniele Franco, la scelta del capo-azienda che dovrà gestire per un triennio i 40 miliardi del Recovery Plan è caduta, come da indiscrezioni, su Luigi Ferraris, fino al 2020 alla guida di Terna, ma con esperienza in Enel e Poste. Mentre alla presidenza approda, a sorpresa, Nicoletta Giadrossi, tra l’altro consigliere di Brembo e di Falck Renewables. Escono di scena rispettivamente Gianfranco Battisti e Gianluigi Castelli, chiudendo il 2020 con un utile per 41 milioni.
Nel concludere il suo articolo Antonella Baccaro specifica anche alcuni dei profili dei consiglieri: Le indicazioni politiche affiorano tra gli altri consiglieri, come Pietro Bracco dell’omonimo studio tributario che per la Lega ha elaborato la proposta dei CIR, i conti individuali di risparmio. Nel CDA, entrano anche Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, Alessandra Bucci, già direttore marketing in Trenitalia, Riccardo Barbieri (Mef). E, ulteriore sorpresa, l’attuale CEO di Microsoft Italia, Silvia Candiani. Fino al tardo pomeriggio di ieri nelle aziende interessate ai rinnovi l’atmosfera era surreale per l’inedita assenza di indicazioni da parte del governo. Il “metodo Draghi” inizia a prendere corpo.
Le aziende del settore TLC titolari di licenze hanno già obblighi di copertura per la quasi totalità del territorio nazionale, ma restano fuori zone difficili (aree montane) e particolarmente periferiche. Il problema è stato affrontato recentemente anche in sede governativa, come ricorda e sottolinea Mila Fiordalisi, Direttrice di COR.COM – Il Corriere delle Comunicazioni, in un suo editoriale pubblicato lo scorso 26 maggio: Non solo banda ultralarga fissa nelle aree grigie. A Infratel sarà assegnata anche la mappatura dello stato di avanzamento delle reti 5G. È quanto emerge dal documento approvato dal comitato interministeriale per la Transizione Digitale. L’obiettivo è avere chiara la roadmap per mettere a punto il bando di gara relativo all’impiego dei fondi pubblici previsti dal PNRR nella porzione dedicata alle nuove reti a banda ultralarga e quindi anche per quelle 5G. Gli operatori di TLC titolari di licenze 5G – quelle della gara lacrime e sangue per le frequenze – hanno già obblighi di copertura per portare il segnale di nuova generazione su tutto il territorio nazionale, ad eccezione di pochi punti percentuali che fanno riferimento ad aree impervie e periferiche – in particolare quelle montane – a popolazione quasi zero e dove installare le reti risulta economicamente svantaggioso considerato lo scarso ritorno di investimento.
Sempre Mila Fiordalisi puntualizza nel suo articolo come l’obiettivo governativo sia quello di evitare che una parte della popolazione, seppur minimale, resti esclusa dalla nuova connettività, ora più che mai determinante per lo sviluppo economico dei territori, pensiamo ad esempio agli aspetti legati al mercato turistico, che ha bisogno di un forte rilancio post-Covid. In tal senso nell’articolo si ricorda come: si lavora ad una gara ad hoc, in parallelo con quella per le aree grigie i cui lavori per la nuova mappatura sono già stati avviati da Infratel ed è fissata al 15 giugno la deadline in capo alle Telco per la presentazione dei propri piani di infrastrutturazione (sia quelli al 30 aprile 2021, sia quelli previsti per i prossimi cinque anni). Riguardo alle tempistiche esecutive la partita slitterà però al 2022: per le aree grigie il bando è atteso per la fine di quest’anno e inizio del prossimo. E sul fronte 5G al momento non è chiara la roadmap. Il comitato interministeriale per la Transizione digitale si è riunito ieri per la prima volta: all’ordine del giorno proprio l’inizio dei lavori per il “pacchetto” ultrabroadband da 6,7 miliardi previsto dal PNRR.
Continuano le osservazioni e i commenti su un recente, significativo studio del Politecnico di Milano che segnala come il 42% delle PMI italiane dichiari di possedere competenze digitali basse (17%) o distribuite in maniera non omogenea tra il personale (25%), il che rende difficile l’implementazione e l’utilizzo diffuso di nuove tecnologie. Dedica ancora una volta attenzione all’argomento L’Economia, magazine economico-finanziario de Il Corriere della Sera, con un articolo a firma Fabio Savelli pubblicato lo scorso 24 maggio: L’accessibilità dei dati e delle informazioni al di fuori degli edifici aziendali, raggiunta completamente solo dal 3% delle pmi, rimane un obiettivo lontano. Peggiore la situazione delle piattaforme: solo il 36% delle pmi è dotato di un Erp aziendale che integri le viste derivanti dai diversi processi, con un preoccupante 33% che non conosce la tecnologia o non ne prevede l’introduzione. Solo il 37% utilizza soluzioni avanzate di Security e appena il 12% ha progetti che sfruttano i big data. Dice Marco Taisch, che dirige il neonato centro di competenza sul 4.0 «Made» a Milano, uno dei punti nevralgici di questo necessario trasferimento tecnologico, che c’è una diffusa «mancanza di consapevolezza nel raccogliere i dati. Troppe aziende si basano sulla sensazione dell’operatore, del capo stabilimento, del responsabile di area: non connettono le macchine, non sanno qual è il valore dell’uso del dato». Soprattutto c’è «troppa gelosia nell’informazione». Raramente c’è il passaggio al cloud: si preferisci tenere «i dati sui server aziendali con costi di gestione maggiori».
Un segnale importante e concreto di come vengono recepite le dinamiche di sviluppo viene dagli aspetti fiscali, dove si è passati dal super-ammortamento per i beni strumentali al credito d’imposta. Come viene ricordato nell’articolo di Savelli, la divaricazione di competitività tra chi ha operato il salto digitale e chi non lo ha fatto è diventata lampante. Gli esperti di Made hanno messo in campo uno strumento che misura il grado di prontezza a fare la trasformazione digitale tramite interviste ai ruoli chiave dell’impresa (responsabile di produzione, manutenzione, logistica interna, pianificazione). Sempre nell’articolo: la patente digitale a punti si scontra però con un tema di competenze che Taisch ritiene sia la prima emergenza: «Ci vuole un piano di reskilling digitale dell’intero Paese, il credito imposta non è una spinta sufficiente e i competence center sono troppo pochi per fare la massa critica che serve». Le otto ore di formazione all’anno inserite nel contratto dei metalmeccanici sono un’inezia. Serve il potenziamento degli IST, istituti tecnici ad alta specializzazione, a ben vedere inseriti anche nel Recovery Plan del governo.