Lo scorso 13 maggio il CDA di A2A ha approvato i conti del primo trimestre che vedono una situazione decisamente positiva. L’emergenza sanitaria Covid 19 non ha avuto, nel primo trimestre 2021, impatti rilevanti sull’operatività della società né si hanno, allo stato attuale, segnali che possano far ritenere probabili scenari macroeconomici significativamente differenti dal primo trimestre. Le attese del gruppo sull’esercizio 2021 sono pertanto buone. Ai risultati di A2A dedica un articolo il Corriere della Sera, pubblicato lo scorso 15 maggio a firma di Giuliana Ferraino: «La positività dei risultati di questo trimestre ha sorpreso anche me», ha ammesso nella conference call con gli analisti l’amministratore delegato di A2A, Renato Mazzoncini, che proprio ieri ha celebrato il primo anno al vertice dell’utility. Il manager legge nella crescita a doppia cifra delle principali voci del bilancio «una conferma degli elementi fondanti del nuovo piano industriale decennale». Il trimestre si è chiuso con ricavi a 2.174 milioni (+27,4% rispetto al primo trimestre 2020), margine operativo lordo a 399 milioni (+20,5%) grazie a una significativa crescita organica e alle operazioni M&A (+21%) e utile netto a 136 milioni (+21,4%).

Accelerano anche gli investimenti, in aumento del 26% a 155 milioni, cifra che include l’acquisizione di 17 impianti fotovoltaici da 173 megawatt a marzo, nell’ottica del nuovo modello strategico di business sostenibile basato su economia circolare, decarbonizzazione, elettrificazione dei consumi e digitalizzazione. Ricorda ancora Giuliana Ferraino nel suo articolo: «Abbiamo consolidato la seconda posizione tra gli operatori nelle rinnovabili e siamo tra i primi nel solare in Italia», ha spiegato Mazzoncini. Una base per contribuire a realizzare infrastrutture innovative e strategiche per lo sviluppo sostenibile del Paese. In nome della sostenibilità A2A rivede l’organizzazione dei comitati interni al CDA. Vengono, tra l’altro, estese le competenze del comitato per la sostenibilità e il territorio, che viene rinominato «Comitato Esg e rapporti con i territori», anche ai temi di corporate governance strettamente connessi a quelli della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

In un’intervista realizzata ad Andrea Calcagno dal giornalista esperto di TLC Andrea Biondi per Il Sole 24, pubblicata lo scorso 14 maggio, il CEO di Fastweb traccia alcune dei percorsi che reputa essenziali per non perdere un momento ricco di opportunità: «Ci siamo ripresi la parte più bella del nostro lavoro, quella di mettere in primo piano i servizi e non solo pensare alle infrastrutture». Alberto Calcagno, CEO di Fastweb è reduce dalla presentazione al mercato di un internet box di ultima generazione che nei fatti è un router integrato con l’intelligenza di Alexa. «Ci stiamo riappropriando di un terreno lasciato troppo in fretta agli Ott», i colossi del web. La ricetta per le Telco è fare competizione a queste realtà. «Noi lo facciamo da tempo e infatti ci definiamo un Ott infrastrutturato», dice l’ad di questa realtà che rappresenta «una storia di successo con i suoi 31 trimestri di crescita consecutiva nei conti» che nonostante il successo e le varie voci che si sono seguite negli anni «non è in vendita, anzi» e che ora guarda al PNRR presentato dal governo a Bruxelles come a «una grande occasione per tutto il settore delle TLC. Che potrà svoltare se ci si concentra sui giusti terreni di applicazione».

Nella sua intervista Biondi chiede a Calcagno tramite quali modalità le TLC potranno, grazie anche al PNRR, iniziare una nuova stagione di sviluppo. La risposta del CEO di Fastweb è decisamente significativa: È un’occasione fantastica. Ci sono le parti dedicate alle infrastrutture che sono fondamentali come dimostra il fatto che noi stessi abbiamo scritto con il nostro piano Next Generation 2025 della necessità di azzerare il digital divide. Ci saranno più di 6 miliardi per le reti VHCN, quelle ad alta capacità. Dal nostro punto di vista sono fondi da destinare nelle aree dove non ci sono iniziative private, ma potrebbe essere interessante utilizzarli per accelerare i piani privati in corso. Calcagno pensa ad incentivi e crediti fiscali. Ma soprattutto ai servizi, creandone di nuovi, trasversali e fondamentali per l’evoluzione digitale.

Molto caldo, come appunto ricorda Andrea Biondi nella sua intervista, è anche il tema della possibile unione delle reti di Fibercop (Tim) e Open Fiber. Fastweb è azionista di Fibercop. Il giornalista quindi chiede: Qual è la vostra valutazione? La nostra valutazione è che Fibercop deve concentrarsi nell’execution del piano industriale nelle aree nere. La cosiddetta rete unica è sempre stata un falso mito, più usata per fini di marketing politico. C’è già una pluralità di reti, nel fisso come nel mobile. Quello che posso dire è che in quelle zone dove non c’è ancora una rete ha senso un modello di coinvestimento: l’unico per garantire sinergie operative ed evitate duplicazioni di rete.

In un articolo pubblicato lo scorso 14 maggio su COR.COM e da lui stesso firmato, l’economista ed esperto di TLC Maurizio Matteo Dècina sottolinea che non è più possibile perdere altro tempo prezioso. Nel corso degli anni si sono accumulati ritardi dovuti a fattori strategici, tecnologici e burocratici. Nel suo articolo invita anche a non dimenticare l’antagonismo della fibra con le televisioni pubbliche e private. Secondo Dècina: L’optimum sarebbe puntare sul coinvestimento sotto una regia comune a beneficio del Paese. Sempre secondo il suo parere la maggiore responsabilità dei ritardi nello sviluppo di connettività e digitalizzazione è però di natura politica, in particolare perché è stato ignorato un piano alternativo che avrebbe creato una sinergia tra i vari progetti di rete, distribuendo i fondi pubblici a seconda della complementarietà e delle caratteristiche dei piani. Sottolinea a questo proposito Dècina: A ciò si aggiungono criticabili valutazioni iniziali circa costi unitari, offerte al ribasso e percentuali di riutilizzo di infrastrutture elettriche. Sarebbe prevalso un senso di ottimismo generale tale da minimizzare possibili valutazioni circa le difficoltà tecnologiche (fibra che si ferma da 0 a 40 metri), economiche (lunghi ritorni) e burocratiche (lentezza dei permessi) per realizzare nuove reti in Ftth complete. Occorrono ora degli studi approfonditi mediante modelli di calcolo per l’ottimizzazione degli investimenti in relazione alle tempistiche di attivazione, poiché l’unico parametro che ha influenza sulla crescita economica sono le linee effettivamente attive. Autorevoli fonti indicano che il range di crescita del Pil in funzione di un 10% di linee addizionali in banda larga sia compreso tra 0,5 e 1,2%. Cifre ballerine ma pur sempre indicative. Secondo tali stime, la mancata attivazione di un 30% del territorio corrisponderebbe ad un mancato aumento del Pil compreso tra l’1,5% e il 3,6%.

I dati di marzo 2021 relativi alla produzione industriale non hanno fatto registrare un significativo sviluppo, ma gli analisti guardano con maggiore fiducia al prossimo futuro. Al tema dedica attenzione il Corriere della Sera, con un articolo pubblicato lo scorso 12 maggio a firma di Dario Di Vico: Le indagini segnalano una significativa accelerazione nei prossimi mesi e il ritorno in positivo del Pil già dal secondo trimestre 2021, ma ancor più interessante è confrontarsi con un trend di medio periodo e soprattutto incrociare effetti del PNRR e andamento del manifatturiero. Si sono avventurati in questa simulazione Prometeia e Intesa Sanpaolo che hanno presentato il loro Rapporto sui settori industriali, dal quale si può in estrema sintesi dedurre che nonostante la pandemia l’Italia resta uno dei grandi Paesi industriali e per di più si sta muovendo sulla strada giusta. Il calo fatto segnare nel 2020 dal fatturato dell’industria è stato inferiore alle attese (-9,3% a prezzi costanti): per avere un termine di raffronto dopo la Grande Crisi nel 2009 si scese del 16%. Il soft landing è stato dovuto al recupero nel secondo semestre ma soprattutto all’export che ha dimostrato una capacità di tenuta delle proprie quote di mercato superiore a Francia e Germania. Il giudizio di Prometeia e Intesa Sanpaolo è che «la reattività nell’agganciare la ripresa è dovuta a un intenso processo di rafforzamento competitivo avviatosi nell’ultimo decennio» e che si gioverà della poderosa iniezione di fondi europei destinati a favorire digitalizzazione, automazione e transizione green.

Le previsioni sono di un recupero del fatturato industriale del 2021 a +8,4% e del 2022 a +5,3% e al raggiungimento di una velocità di crociera negli anni 2023-25 in media del +2,6% l’anno. Ancora Di Vico: Per dirla in estrema sintesi la manifattura italiana è uscita bene dalla crisi degli anni Dieci lasciando le lavorazioni a basso valore aggiunto salendo di gamma e puntando sull’export e questa mutazione ha retto alla nuova crisi degli anni Venti. Un ulteriore cambio di passo serve però e riguarda la necessità di colmare il ritardo digitale che si separava, già pre-pandemia, dai concorrenti europei. Una transizione che verrà aiutata dai fondi europei soprattutto nei settori dell’elettronica, elettrotecnica, meccanica ed automotive e dovrebbe regalare loro tassi di crescita più dinamici nel quinquennio 2021-25, seppure – avverte il Rapporto – «l’intera filiera manifatturiera italiana evidenzia comunque buone prospettive di rafforzamento». Anche sul fronte finanziario la ripartenza, i provvedimenti a sostegno della liquidità e la maggiore solidità patrimoniale raggiunta negli ultimi anni dovrebbero aver mitigato l’impatto della crisi sui bilanci aziendali 2020. E il calo dei margini e della redditività sarà riassorbito entro il 2025.

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