Il piano banda ultralarga, che rientra nel Recovery Plan, comprende il tema rete unica, ma ha anche un approccio indipendente. Particolarmente importanti le indicazioni che riguardano le gare: separate per la banda ultralarga fissa (piano “Italia a 1 Giga”) e per la rete mobile (“Italia 5G”). Ne parla il Sole 24 Ore in un articolo a firma Carmine Fotina, pubblicato l’8 maggio: Il ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale Vittorio Colao ha in mente di anticipare al 2026 i traguardi per la connettività fissati dalla UE per il 2030 e vuole partire subito con una misura forte di semplificazione. I veti delle singole amministrazioni alla posa delle reti fisse, che il decreto semplificazioni del 2020 non è riuscito a contrastare, saranno superati con la convocazione obbligatoria della conferenza dei servizi e il silenzio assenso a date certe: scatterà dopo 60 giorni se non ci sono vincoli paesaggistici o culturali o, in presenza di questi, comunque dopo 90 giorni. Il nuovo decreto, con la norma TLC, dovrebbe arrivare entro maggio.
Poco dopo partirà la prima mappatura nazionale delle reti 4G e 5G. Il censimento servirà a individuare le aree del 5G a “fallimento di mercato” per la cui copertura (almeno a 150 Mbits/s in download e 50 Mbit/s in upload) sarà lanciata un’apposita gara entro il primo trimestre 2022 con aggiudicazione prevista nei successivi tre mesi. Il governo stima che le “aree bianche” 5G potranno ammontare almeno al 5% del territorio nazionale. Scrive Carmine Fotina: Per questo intervento c’è 1 miliardo di risorse europee del Recovery Plan, cui si aggiungono 600 milioni per collegare le strade extra urbane e 420 milioni destinati ai corridoi europei 5G per la mobilità connessa. Ai fondi pubblici l’esecutivo stima che si aggiungeranno investimenti privati per 800 milioni.
Per la banda ultralarga fissa (fibra ottica e sistema FWA) si intende procedere mettendo a gara la copertura delle aree grigie e nere, quelli semi-concorrenziali, a prescindere dall’esito delle negoziazioni societarie sulla rete unica tra Tim e Open Fiber, sebbene l’orientamento del governo (e quello delle Authority) sul progetto sia chiaramente molto meno favorevole rispetto all’era Conte. Commenta a questo proposito Fotina: Ma il tema delle gare è un problema solo fino a un certo punto. Del resto a quelle bandite negli anni scorsi per le aree bianche si presenteranno comunque anche soggetti diversi rispetto a Tim e Open Fiber e in un caso l’ex monopolista rinunciò a partecipare. Colao punta comunque a una divisione in piccoli lotti, notificando l’intervento nel terzo trimestre 2021 per poi pubblicare il bando nel primo trimestre 2022 e aggiudicare nel secondo trimestre. Chi vincerà dovrà garantire l’accesso wholesale (all’ingrosso) alla rete. Possibili due modelli: a contributo, con la rete che resta di proprietà privata, o a concessione con l’infrastruttura che è di proprietà pubblica. A disposizione quasi 3,9 miliardi di fondi del Recovery, mentre si prevedono 1,6 miliardi di investimenti privati. In questo caso l’obiettivo minimo di connettività è 1 Gigabit/s in download e 200 Mbit/s in upload. A completare il piano italiano per la banda ultralarga ci sono poi 261 milioni per le “Scuole connesse” (9mila edifici scolastici), 501,5 milioni per la “Sanità connessa” (12.280 strutture) e 60,5 milioni per connettere in fibra 18 isole minori.
Guardando agli eventi più recenti riguardanti l’ipotesi di Rete Unica nazionale, caratterizzata da un’integrazione tra FiberCop, la rete secondaria di Tim, e Open Fiber, sembrerebbe che l’interesse del Governo sia quasi “congelato”. Ma come scrive Federico De Rosa in un articolo pubblicato il 7 maggio nella rubrica L’Economia del Corriere della Sera: In realtà nessuna strada è preclusa e, al di là di quella che sarà la strategia del governo sulle reti, a essere caduta è l’impostazione politica (o «imprinting») che era stata data all’operazione dal governo Conte, sparita con lo scambio del campanello a Palazzo Chigi. L’agenda post-pandemia di Mario Draghi non si occupa di rete unica. E il ministro dell’Innovazione, Vittorio Colao ha fatto capire chiaramente di avere l’esclusivo interesse a portare la banda ultralarga in tutto il Paese entro il 2026, indipendentemente dalla tecnologia con cui si realizza. Dunque l’interesse di Tim e Open Fiber a mettere insieme le proprie reti adesso prescinde dalla strategia del governo sulle reti. È, insomma, una scelta.
Ricordiamo che il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” assegna circa 40 miliardi alla digitalizzazione, di cui le reti rappresentano la parte centrale. L’impostazione del Ministro Colao punta su fibra, 5G e tecnologie miste (FWA, satellite) per fare più in fretta. Sottolinea ancora De Rosa nel suo articolo: Dalle ultime rilevazioni emerge che in Italia la copertura complessiva raggiunge il 58% dei civici italiani con velocità di almeno 30 Mbp, al netto dei servizi degli operatori che utilizzano la tecnologia mista nelle aree a fallimento di mercato (aree bianche) e delle connessioni di Tim nelle aree ad intervento diretto. Restringendo l’osservazione alle aree grigie e nere – dove la domanda è alta e media – la quota sale all’82,3%. Il digital divide è ancora piuttosto ampio. Le risorse per costruire la rete ultraveloce saranno assegnate con bandi pubblici, come è accaduto finora (in alcune zone era concessionaria unica Open Fiber), e dunque con un processo competitivo in cui potranno partecipare tutti gli operatori di rete. Escludere che Tim e Open Fiber possano ritenere più efficiente unire le forze e fare fronte comune per contribuire ad azzerare il digital divide, invece che duplicare gli investimenti e farsi concorrenza sulla rete, non ha dunque una relazione diretta con il PNRR. La rete unica resta un progetto concreto, che certamente adesso ha bisogno di verifiche e di trovare un percorso se davvero ci si vuole arrivare. E il governo sarà direttamente interessato avendo impegnato la Cassa Depositi e Prestiti su entrambi i fronti visto che CDP sta per salire al 60% di Open Fiber e ha il 10% di Tim.
Dal 2018 per due volte è stata firmata una lettera di intenti per tracciare il percorso della rete unica, prima tra Enel CDP e Tim, poi l’anno scorso solo tra le ultime due. La prima volta, nel 2018, il dialogo si è arenato molto presto, la seconda ci ha messo un po’ per partire, poi dopo la due diligence, si è fermato tutto in attesa delle determinazioni dell’Enel, che dopo essersi chiarita le idee ha messo in vendita il suo 50% di Open Fiber. Ancora De Rosa: La scorsa settimana il consiglio del gruppo elettrico ha deciso di cedere il 10% a CDP e il 40% a Macquarie uscendo dalla partita per la rete unica. Adesso è la Cassa lo snodo centrale avendo il 60% della società della fibra e il 10% di Tim. L’interesse di due fondi internazionali come KKR e Macquarie è legato anche al progetto di integrazione delle reti, ma a determinate condizioni e con obiettivi di rendimento in linea con quelli dei fondi. Tra qualche settimana ci sarà la prima importante verifica. Il 27 maggio è in programma l’assemblea della CDP che dovrà rinnovare il consiglio e dalla scelte dei nomi si potrà capire qualcosa di più sull’orientamento del governo che attraverso il ministero dell’Economia è azionista di maggioranza della Cassa.
Lo ha detto ieri Marco Bellezza, amministratore delegato di Infratel, durante l’evento online “Telco first: la ricetta per la banda ultralarga”, il primo dei quattro appuntamenti dell’edizione 2021 di Telco per l’Italia organizzato da COR.COM: per garantire il rapido avanzamento del piano BUL sarà fondamentale sensibilizzare le strutture che rilasciano le autorizzazioni per gli interventi di scavo nei centri storici, a partire dalle soprintendenze, e migliorare l’execution per aiutare le imprese che vogliono strutturarsi a spendere le risorse messe a disposizione dal Recovery Fund.
L’intervento dell’AD di Infratel è al centro dell’articolo, firmato Domenico Aliperto, che COR.COM-Il Corriere delle Comunicazioni ha dedicato all’impegno contro il Digital Divide: aprendo il suo intervento Bellezza ha evidenziato lo stato di avanzamento dei lavori sulle aree grigie, dove si concentrano distretti industriali a cui fa capo oltre il 60% delle imprese italiane. “Sulle aree grigie è stata avviata la mappatura per sondare le intenzioni degli operatori. Siamo partiti il 30 aprile sulle reti fisse e abbiamo assegnato i 45 giorni utili a trasmetterci i piani e a offrire al governo l’input conoscitivo, anche se sono già emersi moltissimi spunti”. Si è invece conclusa la consultazione sull’infrastrutturazione per la connettività delle isole minori, e Infratel si accinge con il Mise a pubblicare il bando per interventi da 60 milioni di euro.
Nel 2021 Infratel punta a connettere 1900 comuni, il doppio rispetto all’anno passato. Resta però aperta la questione della burocrazia che grava sulla maggior parte dei cantieri nel settore TLC. A questo proposito l’articolo ricorda: “Abbassare i livelli di conflittualità e avere obiettivi comuni sarà determinante per la riuscita del piano”, ha rimarcato l’amministratore delegato di Infratel, sottolineando che bisogna ancora trovare una soluzione per il problema delle autorizzazioni. “Sul piano normativo i margini per ulteriori interventi di semplificazione non sono molti, mentre bisogna sensibilizzare le strutture che rilasciano le autorizzazioni per gli scavi propedeutici alla posa della fibra. Spesso la mancata attivazione di una linea si determina proprio perché gli enti preposti non concedono l’autorizzazione per lo scavo dell’ultimo miglio. A questo”, ha chiosato Bellezza, “aggiungo che bisogna esplorare meglio il tema dell’execution: con i nuovi finanziamenti immetteremo sul mercato risorse significative e abbiamo l’intera filiera delle TLC da ricostruire. Il nostro compito sarà anche aiutare le imprese che vogliono strutturarsi a spendere tutte le risorse a disposizione”
In tutto il mondo le vendite delle automobili elettriche sono in forte crescita e stanno conquistando una fetta di mercato sempre più ampia. Anche in Italia sono tanti gli automobilisti che stanno scegliendo vetture ibride o totalmente elettriche. Sul fronte delle vendite, però, il nostro Paese è in forte ritardo rispetto alle altre Nazioni per la mancanza di capillarità dei punti di ricarica. Un problema strutturale che impedisce alle vetture a zero emissioni di decollare in maniera definitiva. Dedica attenzione a questo tema Affari&Finanza, magazine economico-finanziario del quotidiano La Repubblica, con un articolo pubblicato lo scorso 3 maggio a firma di Luca Pagni, che si chiede: Come invertire la tendenza? I primi provvedimenti sono in arrivo. Nel dicembre scorso, la Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento che obbliga i concessionari autostradali a bandire gare per colonnine nelle stazioni di rifornimento, di ultima generazione e ad alta potenza, da installare ogni 50 chilometri. E già nel piano di Autostrade al 2023 è prevista l’installazione di ricariche ultraveloci a 4 e 6 postazioni in 67 aree di servizio.
Al momento l’Italia è il Paese che ha meno colonnine di ricarica in proporzione alla rete viaria: questa situazione va a creare nel consumatore una sorta di ansia di autonomia. In molti, infatti, sono titubanti nell’acquistare una vettura elettrica per il timore di non avere un punto vicino a casa o vicino al lavoro dove poterla ricaricare comodamente. Inoltre sottolinea l’articolo di Luca Pagni: Un altro limite dell’attuale “parco” colonnine è rappresentato dalla scarsa interazione tra reti elettriche e veicoli. Se ne parla molto: il futuro è rappresentato dalla tecnologia VTG, altrimenti detta vehicle-to-grid, nonché dalla capacità dei dispositivi di ricarica di essere smart.
In mancanza della certezza di poter caricare la propria auto elettrica, i consumatori hanno difficoltà nel passare alle vetture a zero emissioni. Al giorno d’oggi l’Italia è a 2,7 punti ogni 100 km di strada, molto al di sotto della media europea: nel Vecchio Continente, infatti, la media è di 4,9 punti ogni 100 km. Bisogna comunque tenere presente che qualcosa si sta muovendo già da tempo nel nostro Paese per arginare il problema. Per esempio Tesla ha deciso di ampliare la rete di ricarica Supercharger in Italia. Si è mossa anche Enel che ha aumentato dell’800% i punti di ricarica.