Come sta cambiando il settore delle infrastrutture in epoca Covid? Come si presenteranno le città nel prossimo futuro? Ne parla il Sole 24 ore in un articolo pubblicato lo scorso 23 aprile a firma di Donato Iacovone: Chi progetta e realizza infrastrutture, oggi, non può non chiedersi come queste si integreranno con il patrimonio esistente e con l’ambiente in cui si inseriscono. Una grande mole di dati può essere sfruttata nella fase di progettazione e utilizzo. Le nuove tecnologie consentono di analizzare virtualmente e fare una stima degli impatti ambientali ed energetici delle infrastrutture, reagendo ai cambiamenti operativi e dando seguito a scenari di risoluzione autonoma. La costruzione off-site può incrementare l’efficienza e ridurre costi, tempi e impatto ambientale delle strutture. Il riciclo dei rifiuti, la demolizione selettiva e il riutilizzo di materiali possono essere il presupposto fondamentale, in particolare, per l’innovazione degli ambienti urbani.
Sempre nell’articolo si ricorda come sono in particolare tre le grandi sfide che il settore ha di fronte: una nuova nozione di sostenibilità, la digitalizzazione e infine la collaboration. Ricorda Iacovone: Il cambiamento dovrà coinvolgere tutte le fasi del processo di realizzazione di un’opera, che va disegnata pensando sia all’utilizzo che alla manutenzione e allo smaltimento. Particolare attenzione va posta alla fase di realizzazione: dall’acquisto delle materie prime alle lavorazioni, al consumo di energia fino alla gestione degli scarti e all’uso, recupero e riuso dei materiali secondo i princìpi dell’economia circolare. Per quanto riguarda la digitalizzazione sarà necessario un più efficace utilizzo delle nuove tecnologie e delle informazioni elaborate a partire dai dati raccolti attraverso sensori, droni, satelliti o sistemi di Internet of Things, trasformati per mezzo di algoritmi e applicazioni di intelligenza artificiale in informazioni e, potenzialmente, in conoscenza condivisa.
Infine la terza sfida, la più cruciale, quella della collaborazione: Il settore delle infrastrutture è parcellizzato in silos, ciascuno specializzato in una fase della sequenza complessa che va dai diversi livelli di progettazione, all’esecuzione, al collaudo e utilizzo, fino alla raccolta e all’elaborazione dei dati. Per raggiungere obiettivi prioritari di recupero di produttività e di miglioramento dei servizi, queste fasi devono invece essere messe in condivisione attraverso piattaforme uniche, superando le tensioni oggi insite all’interno del sistema. Si otterrebbe così un migliore allineamento tra disegno, progetto, realizzazione, fruibilità e gestione, con al centro l’utente finale, finora non valorizzato nel rapporto bilaterale tra fornitori e committenza.
In tutti gli ambiti spiccherà sempre più la centralità delle persone, elemento chiave intorno al quale ruota l’affermazione delle Smart City, profondamente esemplificative della rivoluzione che investirà il settore nel dopo pandemia.
Cambierà il modo di concepire e organizzare gli spazi, privati e pubblici, e il loro utilizzo. Cambieranno gli spazi dell’abitare e le loro funzioni, ma cambieranno anche gli spazi destinati al lavoro, con uffici sempre più pensati come luoghi di incontro e interazione, deputati allo svolgimento delle attività più prettamente collaborative pur senza dimenticare le esigenze del lavoro da remoto. E muteranno anche le strutture di collegamento tra questi spazi sempre meno definiti e più ibridi, ripensati secondo un paradigma che farà della multifunzionalità uno dei suoi cardini.
Come ricorda e sottolinea Mila Fiordalisi, Direttrice di Cor.Com in un suo articolo pubblicato il 23 aprile scorso, le linee con prestazioni superiori ai 30 Mbit/s sono passate – dal 2016 al 2020 – dal 15% al 67,2%, e quelle con velocità pari o superiore ai 100 Mbit/s hanno superato il 50% del totale. L’articolo prende in esame quanto emerge dai dati dell’Osservatorio TLC di Agcom, aggiornati a dicembre 2020. Scrive la Fiordalisi: Significativi i cambiamenti sul fronte delle tecnologie utilizzate: se nel dicembre 2016 l’83,4% degli accessi alla rete fissa era in rame, dopo quattro sono scesi al 36,3% (con una flessione di 9,78 milioni di linee). Al contempo sono sensibilmente aumentati gli accessi tramite tecnologie qualitativamente superiori, in particolare quelle in tecnologia FTTC (+7,06 milioni di unità), FTTH (+1,38 milioni) e FWA (+0,69 milioni). Prosegue a ritmi sostenuti la crescita della larga banda mobile: il consumo medio unitario mensile di dati nel 2020 è stimabile in circa 9,7 GB/mese, in crescita di quasi il 50% su base annua, mentre nell’ultimo trimestre dello scorso anno oltre il 72% delle linee human ha effettuato traffico dati. Le sim complessive (103,9 milioni a dicembre 2020) risultano sostanzialmente invariate su base annua: quelle M2M sono cresciute di 2,1 milioni, mentre quelle “solo voce” e “voce+dati” si sono ridotte di oltre 2 milioni di unità. Tim risulta market leader (29%), seguita da Vodafone (28,9%) e Wind Tre (25,7%) mentre Iliad si attesta al 7%. Considerando il solo segmento delle sim “human”, ovvero escludendo le M2M, Iliad raggiunge il 9,3% con una crescita di 2,7 punti percentuali su base annua, mentre Wind Tre, nonostante una quota in calo di 2,2 punti percentuali, rimane il principale operatore con il 27,7% seguito da Tim con il 26,6% e Vodafone con il 23,9%.
Analizzando i dati di utilizzo di internet, nel mese di dicembre 2020, l’osservatorio Agcom indica che 45 milioni di utenti medi giornalieri hanno navigato in rete per un totale di 66 ore di navigazione mensile a persona. Particolarmente interessanti anche i dati nel settore e-commerce e postale, come viene sottolineato anche nell’articolo di Mila Fiordalisi: Nel 2020 i ricavi complessivi registrati nel settore postale sono cresciuti in media, su base annua, del 3,1%. Tale risultato deriva da due tendenze di segno opposto – flessione dei servizi di corrispondenza e crescita di quelli relativi alla consegna dei pacchi – ormai in atto da tempo ma che, per effetto della pandemia, si sono ulteriormente rafforzate: in particolare, i primi hanno registrato nell’anno una flessione del 25,6%, mentre i secondi risultano complessivamente in aumento del 20% (con quelli nazionali che evidenziano introiti in crescita del 29,6%). Le corrispondenti dinamiche dal lato dei volumi vedono una crescita del 34,6% nel numero di pacchi movimentati (+38,1% con riferimento alle sole consegne domestiche) ed una flessione del 19,8% per i servizi di corrispondenza.
Il 21 aprile si è svolto un consiglio di amministrazione straordinario di Cassa depositi e prestiti per illustrare i passi avanti della trattativa con Macquarie, il fondo australiano che lo scorso dicembre ha offerto 2,65 miliardi ad Enel per rilevare il 50% della rete in fibra Open Fiber. Il 22 aprile scorso dedica attenzione al tema La Repubblica, con un articolo a firma Sara Bennewitz: Con il semaforo verde di Open Fiber, a cascata dovrebbero sbloccarsi una serie di operazioni che dovrebbero portare all’uscita di Enel dalla società, e all’acquisto da parte di Cdp di un’ulteriore quota che le permetta di consolidare la maggioranza dell’infrastruttura. La tabella di marcia prevede di chiudere tutti i passaggi entro aprile, agevolando l’uscita di Enel da Open Fiber e permettendo alla Cdp di assumere il controllo e una governance piena. Franco Bassanini, attuale presidente in quota Cdp, dovrebbe essere confermato al vertice, mentre l’ad Elisabetta Ripa, indicata ad Enel, dovrebbe fare un passo indietro. Al suo posto il nome più ricorrente per Open Fiber è quello di Luigi Ferraris, ex numero uno di Terna, ma la casella non sarebbe ancora stata definita. Macquarie dovrebbe nominare invece il direttore finanziario e la Cdp quello di rete per il collaudo e la messa a punto dell’infrastruttura, che sulle aree bianche – ovvero quelle poco popolate oggetto di bandi Infratel – è molto indietro sulla tabella di marcia.
Sempre nell’articolo si ricorda come l’accelerazione su Open Fiber permetterebbe di tornare a spingere sulla rete unica, anche se l’idea del nuovo governo sarebbe diversa da quella impostata lo scorso agosto dal precedente esecutivo: Sul tavolo ci sarebbero due nuove opzioni, quella di un consorzio di operatori sulla falsariga dell’investimento lanciato da Telecom Italia per cablare le aree grigie attraverso Fibercop (attualmente al vaglio dell’Agcom), e quella di un’integrazione della sola rete secondaria di accesso di Tim con Open Fiber. Lo scorso agosto Cdp e il gruppo guidato da Luigi Gubitosi avevano firmato un memorandum di intesa per unire tutta la rete Tim che dalla centrale arriva nelle case degli italiani con quella in fibra, ma ora il nuovo progetto punterebbe a mettere insieme solo l’ultimo miglio, quello che dall’armadietto entra nelle case degli italiani, lo stesso che è appena stato conferito in Fibercop (58% Tim), un’azienda che è stata valutata 7,7 miliardi dal fondo Usa Kkr (37,5%) e che nel 2020 ha generato 900 milioni di margine operativo lordo. L’obiettivo del governo Draghi è accelerare lo sviluppo della banda larga, evitando sprechi ma contenendo il peso di Tim nella futura società della rete unica, a maggior garanzia della terzietà e della parità di accesso degli operatori. Sia un consorzio di operatori che l’unione di Fibercop con Open Fiber, sarebbero due valide alternative per centrare quest’obiettivo.
Il piano di ripresa e resilienza stilato da Mario Draghi per rilanciare l’Italia dopo il coronavirus ha come obiettivo ottenere i 191,5 miliardi destinati dall’Unione europea per il periodo 2021-2026. Delle 16 categorie di spesa, quella più grande, più di 27 miliardi, riguarda la digitalizzazione del sistema produttivo. Al secondo posto, con 25 miliardi reti e infrastrutture ferroviarie. Ne parla Enrico Marro in un articolo pubblicato lo scorso 22 aprile sul Corriere della Sera:Il Piano prevede 6 missioni e 16 categorie di spesa, ognuna delle quali suddivisa in un elenco dettagliato di progetti di investimento, accompagnati da un cronoprogramma di realizzazione, condizione per ottenere i pagamenti dall’Ue, che avverranno appunto sullo stato di avanzamento dei lavori. Solo l’anticipo, pari a circa 23-24 miliardi, arriverà con una procedura diversa, entro fine luglio, a patto che la commissione approvi il PNRR. Sarà la prima tranche per avviare già quest’anno la trasformazione del Paese all’insegna della digitalizzazione, della rivoluzione green e di un massiccio programma di investimenti.
L’articolo prosegue indicando in dettaglio come si suddivide il Piano nelle sue sei missioni, in ordine decrescente di spesa:57 miliardi sono destinati alla «Rivoluzione verde e transizione ecologica», di cui 22,4 per finanziare progetti già in essere; 43,5 miliardi alla «Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura» e sono quasi tutti per progetti aggiuntivi (solo 4,3 miliardi per interventi in corso); 32,3 miliardi a «Istruzione e ricerca» (7,7 la parte per progetti in essere); 25,3 miliardi a «Infrastrutture per una mobilità sostenibile», poco più della metà per progetti nuovi; 17,6 miliardi per «Inclusione sociale» (4,3 miliardi per progetti in essere); 15,6 per la «Salute», che quindi resta all’ultimo posto come nel piano Conte, ma con quasi tutte le risorse aggiuntive.
A questo proposito l’articolo ricorda poi che 25 miliardi sono destinati appunto alle reti e infrastrutture ferroviarie, e conclude: Dei 191,5 miliardi 68,9 arriveranno sotto forma di trasferimenti, cioè a fondo perduto, e 122,6 come prestiti. Il governo cercherà di ottenere fin dall’anticipo di luglio la massima parte di trasferimenti possibile, per non aggravare il debito pubblico.