L’industria produttrice di macchine utensili sembra essere fra i settori che stanno dando i più evidenti segnali di ripresa. Nel primo trimestre, infatti, gli ordini hanno fatto registrare un aumento del 32% rispetto al 2019. Altrettanto vero che Barbara Colombo, Presidente di Ucimu, ha invitato a non farsi prendere da facili entusiasmi e analizzare bene questo risultato. All’argomento ha dedicato attenzione anche il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Luca Orlando, pubblicato lo scorso 16 aprile: «Da quello che vediamo è tornato il lavoro. Perché se non fosse così, le aziende non investirebbero». Logica ineluttabile, quella di Mauro Biglia, corroborata dalla raccolta ordini del costruttore di torni piemontese, che nel primo trimestre, grazie soprattutto alla ripresa del mercato nazionale, vede un balzo della domanda del 50%. Spia ancora una volta affidabile (il tornio è la prima cartina di tornasole della domanda del settore) di un movimento più ampio, che porta le macchine utensili italiane a battere nuovi record in termini di commesse.
Domanda in crescita (la più alta dal 2007) che inverte un trend negativo registrato nel corso dell’intero 2020, quando ai problemi inerenti il lockdown si sono aggiunte le incertezze di mercato, che hanno spinto numerose aziende a congelare o rinviare i propri progetti di investimento. Continua l’articolo di Luca Orlando: «I dati – spiega la presidente di Ucimu Barbara Colombo – sono sicuramente positivi e ci permettono di tirare un po’ il fiato dopo mesi di grande difficoltà. Detto ciò, gli incrementi rilevati vanno ben ponderati: essi, infatti, si confrontano con i risultati messi a segno in un periodo, quello della prima parte del 2020, davvero difficile. Il mercato interno, che già a fine 2020 avevamo percepito avesse ripreso a macinare ordini, sta rispondendo bene, sostenuto in questo anche dalle misure di incentivo agli investimenti in nuove tecnologie di produzione previsti dal Piano Transizione 4.0». Se nel breve periodo la domanda torna a crescere, questo non spazza via del tutto le nubi sul futuro del settore, uno dei più colpiti dai vincoli alla mobilità delle persone, che impedisce od ostacola fortemente non solo l’attività commerciale ma anche quelle, fondamentali, di collaudo, assistenza e manutenzione. Limiti, spiega Barbara Colombo, che rischiano di condizionare le opportunità che alcuni mercati sono in grado di offrire in questo momento.
Un primo banco di prova per capire se davvero si sta tornando a respirare è atteso in autunno, quando Milano tornerà dopo sei anni ad ospitare Emo, la più importante rassegna globale per il comparto delle macchine utensili.

Lo studio “Economic policy reforms 2021: Going for growth”, radatto dalla Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) punta decisamente a sollecitare gli stati membri, attualmente 37 in tutto il mondo, fra cui l’Italia, affinché attivino al più presto politiche più ampie e concrete rispetto all’evoluzione digitale e allo sviluppo delle reti in banda larga. Ne parla COR.COM Il Corriere delle Comunicazioni in uno specifico articolo pubblicato lo scorso 14 aprile a firma di Patrizia Licata: La ripresa economica dell’Italia passa necessariamente da una pubblica amministrazione più efficiente, ovvero digitalizzata e gestita in modo trasparente, con una governance capace di guardare al controllo della spesa pubblica e al coordinamento efficace tra le strutture amministrative a livello centrale e regionale. Una PA più efficiente è essenziale per utilizzare al meglio i fondi europei per la ripresa (European recovery and resilience facility, Rrf, i fondi del Next Generation Eu) che andranno anche a finanziare il nostro Recovery Plan. Senza una PA digitale non riusciremo a realizzare i benefici delle riforme strutturali.
Nella scheda sull’Italia dal rapporto “Going for Growth 2021” l’Ocse indica in modo esplicito che l’efficienza della PA è priorità essenziale per la ripresa. Questo sarà possibile a patto però che lo sviluppo digitale si muova di pari passo ad una reale innovazione digitale, che comprende anche l’aggiornamento delle competenze professionali nel settore. Sottolinea a questo proposito nell’articolo Patrizia Licata: L’Ocse riconosce i passi in avanti compiuti dall’Italia, ma le nostre sfide strutturali restano, anzi sono state acuite dall’emergenza Covid-19. Tra queste, l’elevato debito pubblico, la lentezza del sistema giudiziario, gli alti livelli di disoccupazione e il sistema formativo che ancora non è in grado di dare al Paese in modo omogeneo le competenze digitali. L’Ocse sottolinea che l’Italia ha solo il 20% di laureati nella fascia di popolazione del 25-64enni contro una media Ocse che si avvicina al 40% (dati del 2019). Rendere la macchina pubblica più digitalizzata aiuterà a sanare molte di queste criticità. L’innovazione riduce gli elementi di opacità e informalità, contrasta l’evasione fiscale per recuperare entrate utili per lo Stato e migliora la capacità di portare i benefici delle iniziative pubbliche alla società, scrive l’Ocse.
Le raccomandazioni dell’Ocse per la modernizzazione dell’Italia non trascurano la centralità delle nuove reti TLC: l’Italia dovrebbe rimuovere gli ostacoli per consentire un roll-out più rapido dell’infrastruttura di telecomunicazione. Tra le altre indicazioni che vengono fornite: accelerare l’uso degli strumenti e dei servizi digitali per imprese e cittadini; migliorare la progettazione e la diffusione dei corsi di formazione continua; puntare sulla formazione che prepara al lavoro, potenziando lo studio delle materie Stem e la diffusione delle competenze digitali; migliorare i sistemi di ricerca del lavoro e formazione gestiti tramite l’Anpal; rimuovere gli ostacoli legali allo smart working; alzare il livello di consapevolezza e le competenze dei manager per dare sostegno alla diffusione della tecnologia e dell’innovazione e migliorare la valorizzazione dei talenti.

La società Olivetti ha definito in questi mesi un preciso posizionamento consolidando, nel solco del piano strategico 2021-2023 di Tim denominato “Beyond connectivity”, un percorso di trasformazione che la rende “Digital Farm IoT” del gruppo Tim. Presenta questa importante collaborazione Roberto Tundo, CEO di Olivetti, in un’intervista pubblicata il 12 aprile scorso su L’Economia del Corriere della Sera:Il business plan lanciato a fine febbraio dall’amministratore delegato di Tim, Luigi Gubitosi, ha come obiettivo principale abilitare tutti i servizi digitali che nascono dalla connettività puntando sulla convergenza tra le diverse fabbriche prodotto, Noovle per il cloud e i data center, Sparkle per i servizi di rete internazionali, Telsy per la cibersecurity, Timvision per l’entertainment: in quest’ottica Olivetti costruirà una ricca famiglia di soluzioni basate sulla tecnologia Iot, oramai indispensabile per l’evoluzione digitale delle imprese e della pubblica amministrazione.
Nell’articolo-intervista viene ricordato come l’IoT richiede soluzioni tecnologiche sempre più complesse e scalabili che avranno bisogno di competenze di nuovi ecosistemi. Per questo serviranno partnership e joint venture tecnologiche: “Olivetti giocherà un ruolo centrale in questa partita”, ha assicurato. “Ivrea ha un ruolo centrale nel percorso strategico dell’azienda in qualità di hub per il prossimo percorso di sviluppo tecnologico. Abbiamo firmato due memorandum, uno con il Comune di Ivrea e l’altro con Confindustria Canavese per la sperimentazione di servizi innovativi applicando un modello a rete open lab. Confindustria Canavese, con il prezioso supporto della presidente, Patrizia Paglia, punta ad accompagnare le oltre 300 aziende associate in un percorso di crescita e sviluppo. L’accordo con noi va in questa direzione. La sperimentazione Tim-Olivetti della piattaforma nazionale per la gestione delle comunità intelligenti, nell’ambito di Smart Ivrea City guidato da Agid e finanziato dal Mise. Sono stati resi attivi servizi per la mobilità, la gestione dei rifiuti e il parking abbinati al monitoraggio attivo della città, il CityForecast”, conclude.

La ripresa economica non può che passare dalla Transizione ecologica e digitale: un ritorno ai livelli produttivi pre-Covid entro il 2022 è previsto soprattutto per le imprese che hanno investito sia in eco-innovazione sia in digitalizzazione. È quanto emerge anche da un’indagine del Centro Studi delle Camere di commercio e Unioncamere, su un campione di 3000 imprese in tutta Italia, per conoscere a che punto è la duplice transizione green e digitale (G&D). All’argomento dedica un articolo a firma di Roberta Paolini il magazine economico-finanziario de La Repubblica (Affari&Finanza), pubblicato lo scorso 12 aprile: solo il 17% delle aziende ha investito o sta investendo almeno sulla transizione digitale. E di questo gruppo solo una su 10 è una microimpresa, ossia la componente più piccola e quindi più fragile. Le piccole (10-49 addetti) che intendono approcciare questo modello di produzione sono il 20%, le medio grandi (50-499 addetti) sono invece il 38%. Il mondo dell’artigianato risulta più arretrato, solo il 13% di questa tipologia di impresa intende pianificare la trasformazione, mentre c’è una relazione diretta tra la transizione digitale e l’apertura internazionale, quasi un quarto delle aziende esportatrici ha pianificato investimenti”.

La ricerca “fotografa” una situazione certamente in evoluzione, ma che mostra come sia necessario accelerare su entrambi i fronti: infatti solo il 6% delle imprese ha concluso o sta per concludere il percorso della duplice transizione ecologica e digitale. Mentre quasi 2 imprese su 3 sono ancora ai blocchi di partenza. Se sono poche le imprese Green&Digital che nel 2020 hanno raggiunto la meta avendo già investito sia in eco-innovazione sia in digitalizzazione, il 26% dell’imprenditoria manifatturiera si trova a metà strada, avendo investito nella sostenibilità ambientale o in Industry 4.0 (imprese GorD). Tuttavia la stragrande maggioranza delle imprese (62%) non ha investito e non ha intenzioni di investire né in sostenibilità ambientale né in digitalizzazione. Mentre una piccola quota di imprese (6%) pur non avendo ancora investito nella duplice transizione ha messo in programma di investire nel green e/o nel digitale (imprese potentialGD).
Ulteriore dato interessante: la quota di imprese che prevedono un aumento dell’occupazione nel 2021 è maggiore tra quelle che hanno investito nella duplice transizione rispetto alle altre imprese G&D: 11% rispettoal 2%. Investire nella sostenibilità ambientale e nella digitalizzazione, inoltre, sembra ridurre le incertezze sul futuro: la quota delle imprese che è incerta sull’andamento futuro della propria attività produttiva è del 17% tra le imprese che hanno investito sia in eco-innovazione che in Industry 4.0, contro il 21% nel caso delle altre.

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