La Cina ha superato per la prima volta gli investimenti in ricerca degli Stati Uniti. Pechino è vicina a conquistare anche la leadership mondiale nell’intelligenza artificiale, un insieme di tecnologie con immense potenzialità. Evidenziano questo scenario due rapporti sul tavolo dell’Amministrazione Biden. Al tema dedica un servizio giornalistico anche il quotidiano italiano La Repubblica, con un articolo pubblicato il 5 marzo scorso a firma del corrispondente da New York, Federico Rampini. Sulla frontiera strategica dell’intelligenza artificiale (A.I., Artificial Intelligence) il Congresso di Washington ha ricevuto le conclusioni di una commissione d’inchiesta nazionale, presieduta dall’ex chief executive di Google, Eric Schmidt. Il rapporto di 756 pagine a cui hanno contribuito i massimi esperti del settore, definisce l’A.I. come un vasto campo di tecnologie di cui vediamo solo «l’inizio dell’inizio» Le applicazioni economiche potranno generare enormi benefici, ma il rapporto consegnato al Congresso si concentra sull’uso militare e i pericoli per la sicurezza nazionale: «Gli esseri umani non saranno all’altezza, saranno indifesi contro gli attacchi guidati dall’A.I.».Non solo cyber-attacchi e offensive accecanti o paralizzanti contro i sistemi informatici, ma anche l’uso di vere e proprie armi letali come droni e missili potrà diventare molto più micidiale se guidato dall’A.I. «La guerra del futuro sarà un conflitto che opporrà algoritmo contro algoritmo». Anche in campo civile, la competizione fra sistemi premierà quelle nazioni che riescono a sfruttare meglio la sinergia tra dipendenti umani e le nuove generazioni di computer, robot, software “capaci di imparare” che sono tipici dell’A.I.
Sempre nell’articolo di Rampini si ricorda come l’allarme viene dal fatto che la Cina sta conquistando un vantaggio sugli Usa, perché il suo modello è basato su un “capitalismo politico”, con al centro una regìa di Stato che promuove tutte le tecnologie avanzate. Nel sistema cinese tutte le energie e le risorse pubbliche e private convergono verso una finalità comune. La “macchina economica” cinese, sostenuta dalle istituzioni pubbliche, sta guadagnando la leadership su vari fronti. Rampini ricorda: L’altro rapporto uscito contemporaneamente è dell’American Academy of Sciences e riferisce di un sorpasso già avvenuto. Nel 2020 per la prima volta la Cina ha destinato agli investimenti pubblici per la ricerca più fondi degli Stati Uniti. Vent’anni fa il divario a favore dell’ America sembrava incolmabile, Washington spendeva 300 miliardi di dollari in più all’anno. Il sorpasso è avvenuto dopo che Pechino ha triplicato gli investimenti per la ricerca in proporzione al Pil. Un’indicazione analoga viene dal numero di brevetti depositati: quelli cinesi hanno superato gli americani di 100 mila unità in un anno. C’è chi si consola osservando che questi dati nascondono un divario qualitativo. Però la rincorsa cinese è il frutto di una lungimiranza e perseveranza che sono venute meno nei governi occidentali. Il sorpasso era già “scritto” dentro un celebre rapporto di sette anni fa, “Made in China 2025”, che individuava dieci settori strategici nei quali Pechino non avrebbe risparmiato i mezzi pur di dieci settori strategici nei quali Pechino non avrebbe risparmiato i mezzi pur di conquistare il primato mondiale.
Carlo Filangeri, nominato lo scorso 3 marzo AD di FiberCop, è un professionista delle Tlc ben conosciuto e particolarmente stimato dal management Valtellina. Vanta una lunga esperienza professionale nel gruppo Tim, dove negli anni ha ricoperto diversi incarichi in Italia e in Brasile. Molti in Valtellina ricordano ancora con piacere il saluto e augurio che proprio Filangeri, in rappresentanza dei vertici TIM, ha rivolto al team Valtellina riunito in occasione della festa per l’80° dell’azienda tenutasi nel settembre del 2017 presso il polo fieristico di Bergamo. La nomina di Filangeri muove lo scacchiere delle TLC italiane e stabilisce una mossa importante anche in vista del rinnovo del CdA di Telecom Italia. A questo proposito il quotidiano il Sole 24 ore dedica un articolo, pubblicato lo scorso 4 marzo, che infatti unisce i due aspetti: Sgr e investitori istituzionali hanno depositato le liste di minoranza per il rinnovo del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale di Tim. La lista presentata da Assogestioni per il consiglio di amministrazione è composta da Maurizio Carli, Paola Sapienza, Federico Ferro-Luzzi, Paola Camagni e Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School. La lista presentata per il collegio sindacale è composta, per i sindaci effettivi, da Francesco Fallacara, Anna Doro, Francesco Vella. Per i sindaci supplenti da Paolo Prandi, Laura Fiordelisi. I gestori che hanno presentato le liste sono titolari di circa l’1,2% delle azioni ordinarie della società. Intanto sarà Carlo Filangieri, nel gruppo Tim da oltre 15 anni, l’ad di FiberCop, la società per la fibra. Il Consiglio di amministrazione, riunito sotto la presidenza di Massimo Sarmi, lo ha nominato ieri. Filangieri, laureato in ingegneria elettronica, ha una lunga esperienza professionale nel gruppo Tim dove negli anni ha ricoperto diversi incarichi in Italia e in Brasile. FiberCop, ricorda una nota, offrirà servizi d’accesso passivi della rete secondaria con l’obiettivo di realizzare la copertura in fibra ottica delle aree nere e grigie del Paese, accelerando così la disponibilità dei servizi Ultrabroadband (UBB).
Hope si propone di essere una piattaforma per sostenere il Paese nella fase critica della trasformazione e dello sviluppo post Covid-19. È già stato definito il “Fondo Sovrano Italiano” di cui si parla da anni. Ma con capitali privati. Obiettivo di questa prima fase di raccolta: circa 15 miliardi. Ne parla Il Corriere della Sera in un articolo a firma Carlo Cinelli pubblicato lo scorso 4 marzo: Stanno per lanciarlo alcune tra le maggiori istituzioni finanziarie nazionali insieme a un nucleo di famiglie di industriali del Centro-Nord. Si chiama Hope, Holding di partecipazioni economiche, e ha la «speranza» di «convogliare il risparmio privato» nell’economia reale. Città e imprese, con un approccio di lungo periodo. Per le prime il modello sono le Smart Cities imperniate su Milano, da replicare su altre piazze in progetti di rigenerazione che, secondo l’idea alla base di Hope, potrebbero assorbire da 200 a 300 miliardi in dieci anni. Piani sui quali potrebbe essere convogliato il risparmio dei cittadini. La raccolta di capitali per fare crescere il Pil e creare occupazione. Hope, una volta ottenute le autorizzazioni di Consob e Bankitalia, sarà una Sicaf Eltif, quotata e Pir Alternative. Tre i comparti: competitive corporates (imprese in crescita), tecnologie innovative (Venture Capital e startup) e città sostenibili (rigenerazione e sviluppo urbano). Al lavoro sono Stefano Caselli, prorettore della Bocconi, presidente di Hope, il direttore generale Aifi, Anna Gervasoni e Claudio Scardovi, già in AlixPartners, ideatore e promotore dell’operazione. Il board sarà poi ampliato fino a 9 consiglieri.
Tra i soci promotori — poco più di 20 in questa fase e nessuno con il controllo — ci sono, secondo quanto risulta al «Corriere», Unicredit, BNL, Banca Mediolanum, Banca Generali, Banco Bpm, Amundi (Crédit Agricole) e Cnp e alcune Popolari (Ragusa e PopPuglia e Basilicata). Ma hanno aderito anche esponenti di famiglie industriali, da Isabella Seragnoli (Coesia) a Emilio Ottolenghi (Petrolifera Italo-Rumena), a Matteo e Paolo Zanetti (prodotti caseari), la famiglia Manuli, la famiglia Lia di La Spezia, Vito Rocca, per 17 anni alla guida di Rgi Group, leader nella trasformazione digitale del mercato assicurativo, il fondatore di Buongiorno, Mauro Del Rio, Stefano Aversa e Piero Masera di AlixPartners e Andrea Beltratti. Aggiunge e commenta nel suo articolo Cinelli: Così come crescerà la compagine societaria di Hope che si configura come un sistema aperto con azionariato diffuso: altre famiglie imprenditoriali, istituzioni finanziarie e banche bussano già alla porta. Nella fase del collocamento potrebbero entrare altri soggetti tra Fondazioni e Casse di previdenza. Il fondo intende anche attrarre i migliori talenti privati del Paese, in una fase che, anche da un punto di vista generale con il governo di Mario Draghi, viene considerata la più favorevole possibile. In effetti della costituzione di un fondo sovrano per l’economia reale si era parlato nei mesi scorsi quando però la politica era distratta da altri temi. Hope, una volta quotata sul circuito Euronext-Borsa Italiana, ha l’ambizione di coinvolgere anche investitori esteri. Per fare crescere le aziende e non per portarle via.
Il titolo del nuovo libro di Gianluca Dettori (torinese, classe 1967, fondatore di Vitaminic e poi Venture Capital) è quanto mai significativo: «L’Italia nella rete, Ascesa, caduta e resurrezione della net economy». Scritto a quattro mani con Debora Ferrero, e pubblicato da Solferino (casa editrice de Il Corriere della Sera), ricorda come nella storia del digitale l’Italia ha avuto molte occasioni per diventare protagonista ma non le ha colte come doveva. Ora, secondo Dettori, è venuto il momento di una svolta. Nel libro racconta la storia dei pionieri italiani dell’economia digitale. Perché l’Italia finisce intrappolata nella rete, si domanda Dettori? «Mancanza di cultura imprenditoriale. Poca propensione al rischio. E individualismo esasperato». Il tutto considerando che Dettori non è un innovatore che guarda al passato con nostalgia, dichiara infatti: «Il futuro è nelle nostre mani”.
Del libro di Dettori e dei suoi interessanti contenuti ne parla anche un articolo a firma di Sergio Bocconi pubblicato su L’Economia de Il Corriere della Sera dello scorso 1 marzo. Il governo Draghi può essere l’occasione giusta per l’Italia digitale? Sì, una combinazione del genere si presenta raramente. Anzitutto perché c’è un’enorme domanda di digitale dalla società italiana, un fatto inedito, e poi perché abbiamo un primo ministro e un governo che lo ha indicato fra le priorità». Gianluca Dettori è stato manager in Olivetti, poi un pioniere di Internet in Italia fondando e quotando Vitaminic, una specie di Spotify ante litteram, quindi ha trasferito l’esperienza di imprenditore sul terreno degli investimenti prima come business angel e infine come venture capitalist. Dal 26 febbraio è presidente di Vc Hub, l’associazione di riferimento di Venture Capital e startup in Italia. Ha scritto con Debora Ferraro «L’Italia nella rete», edito da Solferino, in libreria da pochi giorni. In 240 pagine racconta l’Italia che ha più volte anticipato tanti, se non tutti, nell’informatica, nella telefonia mobile, nel web ma che poi, per ragioni ricorrenti, ha lasciato che la leadership si trasformasse in occasione mancata. «Ascesa, caduta e resurrezione della Net economy», si legge nel sottotitolo, e forse oggi il termine resurrezione può essere più attuale che mai.