L’Europa ha consolidato il percorso per una «human-centred Ai», l’intelligenza artificiale Anche l’Italia ha fatto progressi: ora occorre serve una linea che tenga insieme. Ne parla un articolo a firma Fosca Giannotti e Dino Pedreschi pubblicato su Il Sole 24 ore dello scorso 28 febbraio. Si è consolidata la via europea alla “Human-centred Ai”, il disegno e l’uso responsabile di sistemi di Ai che pongano al centro i diritti, il benessere e i valori delle persone, sia come individui che come collettività. In seguito alla definizione delle linee guida etiche per forme di Ai di cui aver fiducia, la strategia europea si è consolidata attraverso una serie di provvedimenti di indirizzo sull’Ai, sui dati, sulle piattaforme. Concretamente la Ue ha lanciato un programma di reti di centri di eccellenza in Ai e ha fatto della “Ai made in Europe”, collegata con dati e robotica, un tema pervasivo del nuovo programma quadro Horizon Europe, dotato di generosi finanziamenti per i prossimi sette anni. Un quadro che sfida le imprese a innovare con coraggio.
Come viene sottolineato sempre nell’articolo, si tratta di un “megatrend” inarrestabile, che chiama i Paesi a dotarsi di strategie nazionali coerenti e ambiziose. Due esempi: Francia e Germania, due piani simili partiti nel 2019 e articolati per metà su ricerca sia fondamentale che multidisciplinare insieme con promozione e formazione dei talenti, e l’altra metà su diffusione dell’Ai nell’industria, nella pubblica amministrazione e nella società. Investimento pubblico di un miliardo e mezzo di euro su quattro anni in Francia, con selezione di quattro nodi di eccellenza e un piano straordinario per formare e reclutare esperti e ricercatori. Tre miliardi di euro su sei anni in Germania, con l’espansione della rete di centri esistente (il Dfki, istituto nazionale di Ai) e un piano straordinario di reclutamento. In questo scenario europeo come si sta muovendo l’Italia? Diversi buoni elementi hanno fatto seguito alle iniziative di indirizzo di Mise (Sviluppo economico, che ha elaborato una strategia di innovazione industriale), Mur (UnIversità e ricerca, che ha costruito il nuovo Piano Nazionale delle Ricerche, dove Ai e dati sono pervasivi) e Mid (Innovazione Digitale, che sta delineando l’adozione responsabile dell’Ai nella Pa). La comunità italiana dei ricercatori, fortemente coesa, ha suggerito attraverso il laboratorio nazionale del Cini un piano nazionale chiaro e ambizioso.
Nell’articolo vengono citato altri esempi virtuosi che vede la ricerca italiana impegnata ad alto livello e in sintonia con le migliori esperienze straniere. Ma nello stesso articolo ci si chiede: Cosa manca, dunque? Ancora non c’è una strategia organica, interministeriale, adeguatamente finanziata, che a partire dagli elementi embrionali indichi come il nostro Paese si vuole muovere per cogliere la sfida dell’AI umana. Una strategia che abbia un respiro ampio, che provi a immaginare il paese che vogliamo diventare uscendo dalla crisi. Un piano nazionale che faccia leva su due capisaldi. Primo, tenere insieme i tre pilastri: ricerca, formazione e innovazione. (…) Sarebbe un errore imperdonabile limitarsi agli investimenti sulle infrastrutture digitali: cloud, 5G, banda larga. Necessarie, certo, ma insufficienti a generare innovazione e sviluppo senza le competenze indispensabili per trasformare i processi industriali e amministrativi e innovare la società. Secondo, creare e mobilitare una rete di centri di eccellenza nella ricerca, innovazione e formazione in AI, dati e robotica. Rete di nodi connessi fra loro e con le reti europee e globali, ottenuta valorizzando e potenziando i migliori ecosistemi che esistono sul territorio italiano, aiutandoli ad aggiungere alla rilevanza scientifica la massa critica e l’impatto sociale ed economico che ancora non hanno dispiegato. La sfida della digitalizzazione intelligente, umana e sostenibile della società si può affrontare solo con le reti e con le persone. Mobilitando gli ecosistemi e investendo sul talento. Ora, rispetto ad un anno e mezzo fa, sappiamo come fare e abbiamo anche i soldi da spendere. Non ci resta che collegare i puntini.
Tra le principali novità del nuovo governo di Mario Draghi si collocano certamente i due ministeri guidati da Roberto Cingolani e Vittorio Colao, che dovrebbero coadiuvare le strategie verso le nuove sfide del futuro: transizione ecologica e transizione digitale. Due componenti fondamentali anche nell’utilizzo delle risorse economiche del Recovery Plan e nel pacchetto Next generation. Mario Draghi a quindi chiamato due tecnici “di spessore”. Le sfide per entrambi sono veramente imponenti. Al titolare della Transizione ecologica (MITE) vanno infatti le competenze per l’energia, dalle rinnovabili, alle trivellazioni per gas e petrolio, fino al nucleare. Al MID il compito di promuovere, indirizzare e coordinare innovazione tecnologica, agenda digitale, strategia banda larga, digitalizzazione della pubblica amministrazione, digitalizzazione delle imprese, tecnologie emergenti come intelligenza artificiale, IoT e blockchain. Ma, come ricorda uno specifico articolo a firma Luca Pagni pubblicato lo scorso 27 febbraio su La Repubblica, sulle decisioni di questa coppia di superesperti, avrà una parola non di poco conto Giancarlo Giorgetti, neo Ministro dello sviluppo economico (MISE), al quale fanno capo progetti e attività inerenti le infrastrutture di rete. E nella partita dei ministri che dovranno occuparsi di innovazione dirà la sua anche Enrico Giovannini: l’ex presidente dell’Istat ha visto modificare la dicitura del suo dicastero in Ministro delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, con quest’ultima indicazione che sconfina nelle deleghe di Cingolani e nelle sue competenze per combustibili alternativi, reti e strutture di distribuzione per i veicoli elettrici. (…) Nei giorni scorsi, Giancarlo Giorgetti si è battuto per evitare che il Mise perdesse le deleghe sulle telecomunicazioni. Si è raggiunto un compromesso. A Colao vanno le attività di “promozione, indirizzo e coordinamento” sulla parte più innovativa delle Tlc. Ma il mondo infrastrutturale resta in capo al MISE.
Accelerare su tutti i fronti: sembra questo l’imperativo del nuovo ministero del governo Draghi dedicato alla Transizione digitale. Lo evidenzia anche la scelta del Ministro Vittorio Colao di nominare Stefano Firpo come Capo di gabinetto. Finora direttore generale di Mediocredito italiano, Firpo per sette anni ha ricoperto ruoli centrali nelle politiche per l’innovazione al Mise. È stato prima coordinatore della task force per l’innovazione, da cui ha preso forma la legge sulle startup innovative; con Carlo Calenda, ha coordinato il Piano Industria 4.0 per poi passare alla direzione generale per la politica industriale, la competitività e le Pmi. Nel 2019 ha lasciato il Mise per andare a ricoprire la carica di dg in Mediocredito (gruppo Intesa San Paolo).
Rientra in questo immediato dinamismo del MIT l’incontro avvenuto con i principali player delle Tlc in Italia. Ne parla la direttrice di COR.COM Mila Fiordalisi in uno specifico articolo dello scorso 25 febbraio: Accelerare l’infrastrutturazione nelle aree bianche del Paese, facendo leva anche sull’Fwa, per colmare il ritardo del Piano Bul. Mandare avanti il bando per le aree grigie verificando però con esattezza lo stato dell’arte ossia “scorporando” le zone già coperte dagli operatori e quelle in via di infrastrutturazione. E mettere in campo fondi pubblici anche per il 5G andando ad agire in quei territori dove non ci sono obblighi di copertura da parte degli operatori di Tlc aggiudicatari delle frequenze. Queste, secondo quanto risulta a CorCom, le priorità emerse nel corso dei video-colloqui che il neo ministro alla Transizione digitale Vittorio Colao ha tenuto in questi giorni con Tim, Vodafone, WindTre, Iliad, Fastweb, Open Fiber e Sky.Fra le tematiche affrontate nel corso dei colloqui anche le lungaggini sul fronte della permessistica e i limiti elettrosmog che Colao aveva peraltro segnalato già segnalato come criticità. Si tratta per ora di una prima ricognizione, ma il ministro ha voluto incontrare le telco per capire quali sono le azioni che gli stessi operatori ritengono prioritarie anche tenendo conto dalle risorse pubbliche da mettere in campo. Asstel, l’associazione che rappresenta i principali operatori, ha già lanciato l’allarme sulla “scarsità” di risorse previste nel Recovery Plan messo a punto dal Governo Conte che aveva chiesto di portare a 10 miliardi l’ammontare dei fondi per l’infrastrutturazione pilastro indispensabile per la messa in opera delle iniziative legate alla digitalizzazione di imprese e PA.
Nel CdA del 24 febbraio è stato approvato il nuovo piano strategico TIM e la borsa ne ha subito ben recepito i contenuti espansivi. Dopo aver chiuso il 2020 con un utile di 7,2 miliardi di euro, rispetto ai 900 milioni del 2019 e superiore anche alle stime degli analisti, nelle prime ore di contrattazioni il titolo è arrivato a toccare rialzi molto significativi.
L’utile registrato nel 2020 è anche frutto dei benefici ottenuti dal riconoscimento fiscale di maggiori valori iscritti in bilancio, pari a 5,9 miliardi di euro. I ricavi della società sono arrivati a 15,8 miliardi, in calo rispetto ai 17,97 miliardi dell’anno precedente, mentre l’Ebitda organica ha toccato i 7,1 miliardi.
Scrive Federico De Rosa su Il Corriere della Sera del 25 febbraio: Digitale e rete unica saranno ancora al centro della strategia di Telecom Italia TIM. Dopo aver annunciato un 2020 brillante dal punto di vista del raggiungimento degli obiettivi, il numero uno del gruppo Luigi Gubitosi si è detto pronto a sfruttare ogni opportunità in Italia e in Brasile. Le dichiarazioni dell’amministratore delegato hanno così contribuito al rialzo della seduta di ieri in borsa: il titolo è salito di oltre il 9%, chiudendo a 0,415 euro. La centralità della rete passa al momento per FiberCop, la cui operatività, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, sarebbe già in corso, con il via libera entro il 31 marzo per il perfezionamento dell’operazione con Kkr e Fastweb. Il piano 2021-2023 di Tim, denominato “Beyond Connectivity”, prevede (al netto dell’acquisizione dell’operatore brasiliano Oi) ricavi di gruppo organici da servizi previsti stabili o in leggera crescita nel 2021 e in leggera crescita nel 2022 e 2023. Il piano si fonda, in buona parte, sulle iniziative strategiche portate avanti negli ultimi due anni, fra cui Noovle, il progetto di cloud ed edge computing per l’Italia che farà leva sui data center del gruppo; FiberCop, in fase di avvio, che punta alla copertura del Paese attraverso la realizzazione della rete di accesso secondaria in fibra ottica (l’obiettivo è il 76% delle unità immobiliari delle aree grigie e nere entro il 2025); Timvision, il servizio di streaming che prevede collaborazioni con diversi produttori di contenuti. Inoltre, precisa la società in un nota, Tim Brazil prosegue il suo percorso di crescita e si avvia a integrare gli asset di telefonia mobile di Oi, aggiudicati a Tim, Vivo e Claro lo scorso dicembre.
Parlando della rete unica, il numero uno di Tim ha dichiarato che “sono stati fatti buoni progressi. Enel ha annunciato la cessione della sua quota di Open Fiber a Macquarie. Questo conferma le nostre aspettative iniziali. Ci sono sinergie significative che devono essere raggiunte con la fusione tra le due reti”. Rispondendo alla domanda di un analisti relativa alle tempistiche sulla rete unica, Gubitosi ha inoltre aggiunto: “Cdp e noi abbiamo la stessa sensazione di urgenza, con la volontà del governo e di Cdp di implementare questo accordo e portare vantaggio al Paese, penso che la cosa succederà prima piuttosto che poi, ha continuato, spiegando che “il governo è stato appena formato, siamo in attesa di capire quale sarà la loro posizione a questo proposito, anche se abbiamo un accordo siglato non c’è nessun motivo per credere che ci siano cambiamenti di piani da parte del governo. C’è un accordo con Cdp che verrà onorato”.
L’articolo del Corriere della Sera commenta: La palla al momento passa quindi nel campo dell’Enel che si appresta a dare disco verde alla vendita del suo 50% di Open Fiber a Mecquaire dopo che la Cdp ha deciso di lasciare scadere la prelazione.