Digitalizzare sempre meglio le scuole e le Università: un obiettivo di grande rilevanza considerando non solo che Covid19 ha determinato la necessità di sviluppare sempre più la Didattica a distanza, ma che queste sperimentazioni di DAD, diventate poi una pratica quotidiana, saranno la base di un modello “ibrido” che quasi certamente verrà applicato dopo la fine della Pandemia. Dal punto di vista di connettività e reti, lo scenario generale del mondo scolastico e formativo italiano non è molto buono. Anche questo elemento entra quindi di diritto fra le priorità della politica e trova sostegno dai privati, come ricorda Andrea Biondi dalle pagine de Il Sole 24 Ore del 20 febbraio: Mentre si discute sul futuro della rete unica, come anche sulla necessità di dare un’accelerata all’infrastrutturazione in banda ultralarga del Paese, un capitolo di non poco conto arriva alle battute finali. Come già segnalato da Radiocor saranno Fastweb, Tim e Intred a portare la banda ultralarga a valle del bando Infratel, la società in house del Mise, da 273 milioni a base d’asta. Forniranno connessioni in fibra ottica ad 1 Gigabit, apparati di terminazione e sicurezza, reti wi-fi per parte degli istituti scolastici e il servizio di assistenza tecnica e manutenzione. Inoltre una volta completata e collaudata la nuova infrastruttura, la proprietà rimarrà in capo al ministero dello Sviluppo con gestione a Infratel. Per l’ufficializzazione saranno da ultimare le verifiche. A ogni modo, Fastweb si è aggiudicata 4 dei 7 lotti, con un valore totale dell’aggiudicazione di 147,8 milioni di euro per cablare 16.700 scuole: per più del 50% delle scuole si impegna ad attivare la connessione entro il primo anno (il bando chiedeva il 25%) e 2.600 scuole saranno dotate anche di collegamento wi-fi. Intred, per 40 milioni in cinque anni, si è aggiudicata un lotto (Lombardia) e Tim si è aggiudicata due lotti che ricomprendono le regioni Toscana, Veneto e Marche, Abruzzo, Molise e Puglia.
Riguardo ai fondi necessari per fare crescere le potenzialità TLC nel Paese, era stata chiara l’indicazione di Asstel, associazione delle principali aziende del settore “servizi per infrastrutture”, alla quale aderisce anche Valtellina: almeno 10 miliardi del Recovery Fund dovrebbero essere destinati a questo obiettivo, molto di più di quanto prevedeva il primo piano del Governo Conte. Draghi rimodulerà i fondi? La questione non è da poco, perché la disponibilità di risorse pubbliche è importante per spingere le coperture, abbattere i divide e anche per mettere a punto un progetto che guardi in avanti, la famosa politica industriale per le TLC.
Inoltre: chi sarà chiamato nel nuovo governo ad assumersi la responsabilità di occuparsi di un tema così strategico come reti e digitalizzazione? Alcune idee le esprime Mila Fiordalisi, direttrice di COR.COM – Il corriere delle comunicazioni, in uno specifico editoriale dello scorso 15 febbraio: …la Lega, secondo quanto risulta a CorCom intende avere un ruolo forte proprio relativamente ai dossier TLC. Il deputato Massimiliano Capitanio è quello che più da vicino segue le tematiche sul fronte dell’infrastrutturazione e che nei mesi scorsi ha evidenziato più volte la necessità di dare priorità alle azioni necessarie: completamento del piano aree bianche, piano banda ultralarga per le scuole, spinta all’Fwa per colmare i digital divide sui territori, reti veloci per le imprese. Il tutto anche in deroga, se necessario, alla normativa esistente per superare le impasse burocratiche. E anche sul 5G la Lega ha cercato di sgombrare il campo dalle fake news per arginare l’ondata delle ordinanze e dei provvedimenti comunali che hanno già rallentato la macchina operativa.
Ricordiamo che Il ministero della Transizione Digitale è stato affidato a Vittorio Colao, ex numero uno di Vodafone. Sempre secondo COR.COM la nomina di Colao avrebbe già fatto drizzare le antenne a più di qualcuno. Resta il fatto che i compiti sul terreno sono imponenti: portare la banda ultralarga nelle aree grigie, completare il piano aree bianche, accelerare la roadmap 5G e venire a capo del dossier rete unica Tim-Open Fiber: sono questi i dossier caldi nel settore delle TLC sul tavolo del nuovo Governo Draghi.
Sottolinea ancora Mila Fiordalisi: Il precedente Governo Conte ha mostrato tutta una serie di debolezze sul fronte della governance: al Mise di Stefano Patuanelli lo sdoppiamento delle competenze – 5G a Mirella Liuzzi e banda ultralarga fissa a Gian Paolo Manzella – certamente non ha aiutato il coordinamento né l’execution. Liuzzi e Manzella saranno confermati? E se sì, esattamente nel ruolo “sdoppiato”? Per non parlare dalla presidenza del Cobul, il Comitato banda ultralarga, affidato all’ex ministra dell’Innovazione Paola Pisano. Una governance “tricefala” inspiegabile quanto inadatta a spingere le politiche di infrastrutturazione. È evidente dunque la necessità di una “regia” unitaria, magari con un Sottosegretario alle Comunicazioni o alle TLC che dir si voglia. E altrettanto importanti saranno figure quali il Capo di gabinetto e il capo della Segretaria tecnica, figure operative determinanti. Giorgetti ha chiamato come capo di gabinetto al Mise Paolo Visca, che aveva guidato l’ufficio di Matteo Salvini ai tempi della vicepresidenza del primo governo Conte.
Il tema della sicurezza informatica è sempre più centrale, soprattutto dopo l’imponente accelerazione delle dinamiche che hanno accompagnato la pandemia di Covid19. Oggi, di fatto, molte aziende “vivono” e lavorano in rete, sono costituite da “dati” forse ancora prima che da prodotti. Sicuramente molto più di un tempo. Chiaramente questo ha scatenato anche i criminali informatici, che sono sempre più aggressivi e pericolosi. Purtroppo in molti casi le aziende attaccate non denunciano cosa è avvenuto, temendo conseguenze per la propria reputazione. Lo ricorda con efficacia Michela Gabanelli, giornalista molto nota per le sue inchieste televisive, in un articolo pubblicato lo scorso 15 febbraio su Il Corriere della sera all’interno della rubrica Dataroom: è un mondo di delinquenti evoluti che fanno marketing di sé stessi. Esiste infatti un ranking reputazionale delle organizzazioni di cybercriminali, da esse stesse alimentato: serve a garantire della loro «serietà» le aziende o le organizzazioni attaccate. Ti dicono, insomma, se mantengono le promesse in un senso (pubblicando o vendendo i dati sensibili se non vengono pagati) o nell’altro (sbloccando e non diffondendo i dati dopo aver incassato). Al ranking corrisponde anche un listino prezzi: il riscatto medio richiesto dal gruppo hacker Maze nel primo semestre 2020 è pari a 420.000 dollari, mentre Ryuk e Netwalker si attestano rispettivamente sui 282.590 e 176.190 dollari.
Altrettanto significativo il fatto che sempre di più il prezzo dell’estorsione sia richiesto in bitcoin, che vengono acquistati sulle piattaforme di vendita, poi entrano in un portafoglio elettronico e vengono versati all’indirizzo indicato dall’estorsore (un codice di 27 caratteri alfanumerici); da lì transitano spacchettati da un wallet all’altro, scomparendo in paradisi fiscali come Hong Kong, Singapore o le gettonatissime Seychelles e Maldive. Solo quando il bitcoin viene trasformato in denaro reale c’è qualche possibilità di identificare l’estorsore, ma poi devi fare i conti con i Paesi off shore che quasi mai collaborano con le autorità giudiziarie. Ma questa moneta virtuale potrebbe non emergere mai, visto che sta diventando un mezzo di pagamento.
Michela Gabanelli è molto chiara nel denunciare la gravità del fenomeno: solo il Covid sta facendo più danni all’economia della criminalità informatica. Il cybercrime, soprattutto quello degli attacchi mirati con richiesta di riscatto, è in spaventosa crescita nutrendosi delle sue due principali caratteristiche: è apolide e chi lo subisce tende a non denunciarlo. E infine aggiunge: anche in Italia come nel resto del mondo la qualità degli attacchi è in rapida trasformazione verso il «Big game hunting»: caccia alle prede più grosse e meno «pesca a strascico». Questo porta a una corsa al rialzo dei riscatti. E una vittima su quattro paga sull’unghia anziché denunciare, temendo danni alla reputazione che però sarebbe molto più pericolosamente messa a rischio se emergesse l’«accordo» con gli estorsori.
Il termine Smart City è ormai entrato nell’uso comune, ma per passare dalla parola ai fatti, è necessario applicare la tecnologia e la digitalizzazione nelle dinamiche concrete delle aree urbane. È il caso delle reti idriche, forse il sistema più delicato e sensibile di una Smart City, subito dopo il network delle connessioni digitali. Non è un caso oggi i due aspetti sono sempre più legati fra loro, fino a diventare sinergici al 100%.
Fra le priorità della città del futuro, un futuro che è sempre più contemporaneo, bisogna rendere intelligente l’approvvigionamento dell’acqua. Il primo passo verso questo obiettivo è quello di aggiornare e modernizzare le obsolete infrastrutture idriche, alcune delle quali sono in funzione da più di un secolo, con le tecnologie dell’Internet delle cose, in modo da consentirne la reciproca connessione e la comunicazione con altre parti dell’impianto e della città.
Lo ricorda un articolo pubblicato lo scorso 15 febbraio su Affari&Finanza, magazine economico del quotidiano La Repubblica. L’articolo dà la parola ad Alessandro Russo, del gruppo Cap, società che gestisce il servizio idrico della città metropolitana di Milano: Nella Smart City del futuro disegnata da Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo Cap, si condensano alcuni degli elementi più importanti del paradigma della cosiddetta “sostenibilità digitale”: la rivoluzione tecnologica, lo sviluppo sostenibile, la governance del cambiamento e la valorizzazione dei territori (…) “Il servizio idrico ha ormai ben poco di meramente idraulico. Già oggi, spiega Russo, la filiera dell’acqua è animata da un cuore tecnologico inserito nei processi core. L’internet della cose ci sta dando la possibilità di rendere i nostri tubi intelligenti: ad esempio, i sensori inseriti direttamente nelle tubature consentono analisi e monitoraggio in tempo reale, riusciamo a controllare le perdite per ridurre la dispersione, a monitorare l’acqua che scorre nel rubinetto, a prevenire gli abusi di sversamenti inquinanti e, grazie alla robotica, siamo in grado di gestire meglio e con più sicurezza le operazioni pesanti e pericolose sugli impianti idrici.
L’articolo ricorda come gli impianti idrici intelligenti, proprio come gli impianti energetici intelligenti, utilizzano sensori attivati dall’IoT per raccogliere dati in tempo reale. Ciò permette un’ottimizzazione delle strutture idriche mediante il rilevamento di perdite o il controllo della distribuzione dell’acqua sulla rete e consente alle persone di prendere decisioni più consapevoli in merito alla gestione delle risorse idriche. Questi sensori intelligenti, ad esempio, possono rilevare delle perdite nelle condutture e avvisare immediatamente gli ingegneri della necessità di intraprendere delle misure per attenuarne le conseguenze. La gestione idrica in tempo reale può determinare grandi risparmi in termini di efficienza. Questi vantaggi si estendono anche agli utilizzatori finali, che hanno la possibilità di monitorare a distanza il proprio consumo mediante app. Sempre nell’articolo di Affari&Finanza si sottolinea il fatto che Ad aprire scenari che fino a qualche anno fa potevano sembrare fantascientifici è stato soprattutto l’avvento dei big data. Ed è proprio dalla capacità di trasformare i dati in modelli di sviluppo sostenibile, sostiene Russo, che passerà una buona quota del futuro delle città.