Come sottolineato con puntualità dal quotidiano economico-finanziario Il Sole 24 Ore in un articolo pubblicato l’11 febbraio a firma di Carmine Fotina, dopo il passaggio di consegne fra il vecchio e il nuovo governo, al ministero dello Sviluppo economico (Mise) Giancarlo Giorgetti dovrà occuparsi subito di urgenze ereditate. Il primo dossier, già pronto, è costituito dalle norme che correggono il piano Transizione 4.0 e che nelle intenzioni dell’ex ministro Stefano Patuanelli sarebbero dovute entrare nel prossimo decreto ristori sfruttando una parte dei 32 miliardi di nuovo deficit autorizzati a inizio anno dal Parlamento. Si tratta, come anticipato dal Sole 24 Ore del 6 e del 15 gennaio, di circa 6,7 miliardi. Per i crediti di imposta sui beni strumentali, ricerca e formazione la legge di bilancio a valere sul Recovery Fund aveva previsto 23,8 miliardi in cinque anni. Il piano italiano per i fondi Ue ne contiene solo 15,7. Il Mise, però, nel frattempo ha previsto una nuova versione delle norme, meno costosa rispetto allo schema della legge di bilancio, e la differenza da colmare sarebbe appunto di 6,7 miliardi. La correzione è in gran parte legata al ridimensionamento della parte relativa al credito di imposta sui beni strumentali tradizionali (l’ex superammortamento), come macchinari non digitalizzati, veicoli commerciali, arredi per ufficio.
Difficile pensare che il piano del precedente ministro Patuanelli venga ribaltato, vista l’urgenza del tema e i tempi stretti per il varo del decreto che dovrà utilizzare i 32 miliardi di nuovo deficit. Per Carmine Fotina, come scrive nel suo articolo, il nuovo piano 4.0 è forse la prima urgenza, insieme ai dossier Alitalia e Ilva. Dopodiché conclude: Su altri temi cruciali per l’industria, ad esempio la strategia per l’idrogeno o le scelte sui costi in bolletta per le grandi industrie energivore, Giorgetti sarà invece costretto a cedere la palla al nuovo ministero della Transizione ecologica di Cingolani. Ultimo atto di un processo di forte ridimensionamento del Mise che ha perso nell’ordine le competenze sulle politiche di coesione (passate a fine 2014 alla presidenza del Consiglio), sul commercio estero (traslocate nel 2020 agli Esteri), sull’energia (trasferite ora alla Transizione ecologica).
Il report annuale che ha come tutor Huawei classifica annualmente 79 nazioni in base agli investimenti e sviluppi per quanto riguarda innovazione tecnologica, in particolare nei settori TLC, ICT e 4.0. I dati sono sintetizzabili nel termine “performance economica digitale”. Da due anni a questa parte il report considera anche con grande attenzione la crescente influenza dell’IA sull’economia globale.
In uno specifico articolo pubblicato lo scorso 11 febbraio sul magazine on line COR.COM, la direttrice della testata Mila Fiordalisi scrive: L’Italia si piazza al 26mo posto del Global Connectivity Index (Gci) di Huawei la classifica annuale che mappa l’andamento delle economie digitali mondiali (79 i paesi presi in esame) tenendo conto di efficienza delle attività, efficienza funzionale, efficienza del sistema, efficienza e agilità organizzativa ed efficienza e resilienza dell’ecosistema. Di fatto restiamo al palo e – dato eclatante – sul fronte della banda ultralarga addirittura perdiamo punti rispetto a un anno fa (da 80 a 78). “Nell’ultimo anno c’è stato sì uno sviluppo delle infrastrutture ma non in linea con quanto atteso e con l’avanzamento di altri Paesi”, spiega Huawei a CorCom nel commentare i dati. E non a caso ci piazziamo a metà del guado, fra i cosiddetti Adopter, i Paesi a metà strada fra i Paesi ‘Starter’ – che stanno velocemente e progressivamente riducendo il loro divario digitale ed i “Frontrunner”, economie più mature che stanno dando la priorità al mantenimento dei propri budget IT e che mediamente hanno ridotto la spesa IT da 2,5 a 3,5 volte in meno.
Come ricorda lo stesso articolo di COR.COM, i cosiddetti Paesi Starter hanno compiuto progressi significativi nella copertura a banda larga: il tasso medio di penetrazione della banda larga mobile in questi Paesi è aumentato di oltre 2,5 volte, gli abbonamenti 4G sono cresciuti dall’1% al 19% e la banda larga mobile è diventata più conveniente del 25%.
Per quanto riguarda l’Italia, Mila Fiordalisi ricorda: …ci sono però anche notizie positive: cresce in un anno di 12 punti l’IoT (63 punti nel 2020 vs 51 nel 2019), seguito dall’intelligenza artificiale e dal cloud (rispettivamente invariati con 36 e 39). E nell’analizzare i pilastri del Gci, è la categoria relativa alle potenzialità del mercato italiano quella a registrare la maggiore crescita rispetto al 2019, in aumento di ben tre punti (60 vs 57). “In particolare, tra le opportunità a livello italiano si segnala la crescente capacità dell’Ict di influenzare i modelli di business e la crescita del mercato dell’IoT su base costante. Il settore delle nuove tecnologie connesse sta infatti assumendo sempre più un ruolo determinante all’interno dell’economia italiana, forte di trovare nel Paese un terreno estremamente fertile”, evidenzia il report.
Viaggiare veloci come una pallottola, anzi: a bordo di una pallottola. A levitazione magnetica e sparata a 1.200 chilometri all’ora all’interno di un tubo sotto vuoto. Con queste accattivanti prospettive si apre l’articolo a firma di Federico Cella pubblicato su Il Corriere della Sera dello scorso 11 febbraio. Il treno della fantascienza, ma concreto e già sperimentato, nasce ancora una volta dalla mente visionaria ed imprenditoriale di Elon Musk, che dopo essere diventato l’uomo più ricco del mondo grazie a Tesla (e non solo), in questo progetto ferroviario ha preso spunto dai treni avveniristici che già si muovono in Cina e Giappone.
L’articolo del Corriere della Sera continua ricordando che lo scorso novembre, a due passi da Las Vegas, è stato realizzato il primo test di una capsula Hyperloop con passeggeri a bordo: 500 metri percorsi a «soli» 400 km/h (a causa della brevità del tragitto). I tecnici hanno dichiarato: “Proseguiremo i test con passeggeri in una nuova area dedicata in West Virginia. Sarà un lavoro intenso, di anni, e ci fornirà i riscontri per essere operativi sul territorio americano entro la fine della decade”.
Nel suo articolo Federico Cella aggiunge: “Vagoni sospesi, ma i piedi sono per terra. Alcune tratte sono pronte, almeno sulla carta. Da Chicago a Pittsburgh, per esempio: 742 chilometri in 30 minuti contro le due ore in aereo. L’ottimismo è poi rafforzato dal documento del Dipartimento dei Trasporti della scorsa estate che include il progetto Hyperloop tra le tecnologie di trasporto su cui si muoverà l’America di domani. Gli Usa non sono poi l’unica prospettiva a medio termine. Il progetto ha raccolto centinaia di milioni di euro in tutto il mondo: si stanno progettando tratte Hyperloop in India, negli Emirati Arabi gli ingegneri sono al lavoro per collegare Abu Dhabi a Dubai in 12 minuti.
C’è anche un imprenditore italiano nella compagine del progetto Hyperloop. È Paolo Barletta, con la sua società Alchimia. L’articolo lo cita direttamente: «Il progetto è così complesso da necessitare dei migliori partner tecnologici», spiega l’imprenditore romano di 34 anni. Tra questi anche grandi gruppi italiani. «Leonardo sta lavorando sull’ingegnerizzazione delle capsule, e le prime tratte in Italia le vogliamo realizzare assieme a Ferrovie». Servono competenze d’eccellenza, ma anche tanti soldi: è stato calcolato che per costruire un chilometro di infrastruttura Hyperloop ci vogliono intorno ai 60 milioni di euro. Ma in Italia arriverà, e il nostro sarà tra i primi Paesi al mondo. «Da noi inizieremo, e parlo del 2030 o giù di lì, con tratte brevi: Milano-Malpensa e Roma-Fiumicino da percorrere in meno di 2 minuti. Poi il progetto è costruire una grande metropolitana del Nord, un sistema di tubi che vada da Torino a Venezia con fermate intermedie». Infine il collegamento italiano per eccellenza, Milano-Roma. Non parliamo certo di domani, ma la suggestione è forte. «A regime ci vorranno meno di 30 minuti», conclude Barletta. «Con costi per il passeggero a metà tra i 70 euro del treno e i 140 dell’aereo.
I cavi sottomarini forniscono il 90% dei collegamenti Internet del pianeta. Oltre l’80% dei cavi è di proprietà delle big tech della Silicon Valley, come Facebook e Google. E lo sviluppo prosegue senza soste, diventando sempre più intenso e coinvolgente, come ricorda un articolo pubblicato lo scorso 8 febbraio su Il Corriere della Sera a firma di Stefano Montefiori: A una cinquantina di chilometri da Bordeaux c’è la spiaggia di Le Porge, sull’Atlantico: pineta, piste ciclabili, scuole di surf e passeggiate a cavallo. Tra due anni, se i tempi saranno rispettati, Le Porge sarà anche il punto di arrivo europeo di «Amitié», il più potente cavo transatlantico mai progettato, che garantirà lungo 6.600 chilometri il traffico Internet tra il Nordamerica e l’Europa. Come gli oleodotti e i gasdotti per gli idrocarburi, le infrastrutture per le comunicazioni digitali hanno una crescente importanza geopolitica ed economica: il traffico transatlantico di dati raddoppia in media ogni due anni, con un picco imprevisto nella primavera scorsa, durante il primo lockdown.
Gli stessi governi e società TLC sono fortemente coinvolte: la Francia, ad esempio, si sta muovendo tramite Orange, il primo operatore del Paese, che sulla questione dei cavi sottomarini si è alleato prima con Google e adesso anche con Facebook.
Nell’articolo viene infatti sottolineato come: In questi giorni sta entrando in funzione «Dunant» (in omaggio a Henry Dunant fondatore della Croce Rossa), il cavo sottomarino costruito da Google e Orange che collega Virginia Beach negli Stati Uniti con Saint-Hilaire-de-Riez, poco lontano da Nantes, con una capacità di 300 Tbps (terabit per secondo). Ma il cavo transatlantico più potente mai realizzato, con una velocità progettata di 368 Tbps, sarà Amitié, realizzato da un consorzio composto da Orange, Facebook, Microsoft, l’irlandese Aqua Comms e Vodafone. Il cavo partirà dal Massachusetts, dall’antica Lynn che all’inizio del Seicento era nota come «la città del peccato», e dopo circa 5200 chilometri sul fondale marino dovrà biforcarsi causa Brexit: un’estremità punterà verso Nord, percorrerà altri 600 chilometri e arriverà a Bude, nel Sud dell’Inghilterra; un’altra svolterà a Sud e fatti altri 800 chilometri arriverà a Le Porge, vicino a Bordeaux.
E l’Italia? Si sta muovendo. Lo segnala anche l’articolo di Montefoschi che ricorda: Secondo il Wall Street Journal Telecom Italia potrebbe partecipare assieme a Google e a Oman Telecommunications alla costruzione di un cavo lungo oltre 8000 chilometri, il «Blue Raman» (in omaggio al fisico indiano Chandrasekhara Venkata Raman) che dovrebbe collegare l’India all’Europa. E non attraverso la rotta già congestionata e poco affidabile dell’Egitto ma tramite gli ex nemici Arabia Saudita e Israele, coinvolti entrambi nel progetto dopo l’incontro (poco) segreto dello scorso novembre tra il premier Netanyahu e il principe saudita Mohammed Bin Salman.