Enel ha chiude il 2020 con ricavi a 65 miliardi di euro, in diminuzione di 15,3 miliardi (-19,1%) rispetto agli 80,3 miliardi di euro realizzati nel 2019. Lo riferisce il gruppo in una nota, spiegando che il consiglio di amministrazione ha esaminato i risultati consolidati preliminari dell’esercizio 2020. L’Ebitda ordinario è pari a 17,9 miliardi di euro, in linea con il 2019. L’indebitamento finanziario netto a fine 2020 è pari a 45,4 miliardi di euro, in miglioramento rispetto alle attese.

Così “fotografa” i risultati Enel un articolo pubblicato il 5 febbraio scorso su Il Corriere della Sera a firma Stefano Agnoli: L’impatto della pandemia si sente soprattutto sui ricavi, mentre i margini economici restano invariati, sui livelli del 2019. Si tratta dei primi numeri del bilancio dell’Enel, il gruppo energetico guidato dal ceo Francesco Starace, che ieri (sotto la presidenza dell’avvocato Michele Crisostomo) ha tenuto il suo consiglio di amministrazione per esaminare i dati preliminari relativi al 2020.

I ricavi dello scorso esercizio sono stati di 65 miliardi di euro, in diminuzione di 15,3 miliardi (-19,1%) rispetto agli 80,3 miliardi dei dodici mesi precedenti. A pesare, come prevedibile, sono state le minori vendite di gas ed energia elettrica in Spagna e in Italia. In linea con il 2019 invece il margine operativo lordo ordinario (ebitda) a quota 17,9 miliardi, secondo le attese degli analisti finanziari. In particolare sono cresciuti gli apporti di Enel Green Power e della generazione termoelettrica e del trading. Il margine operativo lordo che include gli effetti delle operazioni straordinarie (i costi sostenuti per l’epidemia, gli adeguamenti dei valori dei magazzini e le ristrutturazioni) scende però a 16,8 miliardi di euro (17,7 nel 2019).

Il consiglio del gruppo energetico ha anche preso in esame l’indebitamento finanziario netto, che a fine 2020 è stato di 45,4 miliardi, «in miglioramento rispetto alle attese». Sempre alla data di fine dicembre l’Enel impiegava complessivamente 66.717 persone, in lieve calo rispetto ai 68.253 addetti dell’anno prima. Non potevano che essere in diminuzione, causa pandemia, anche i volumi di elettricità prodotti, scesi dai 229 terawattora del 2019 ai 207,1 terawattora dello scorso anno.

L’articolo pubblicato su Il Corriere della Sera a firma di Federico De Rosa, specifica che dopo un primo giro di ricognizione tra gli stakeholder TIM, i riscontri al piano del Presidente Rossi sarebbero positivi: TIM restringe la rosa dei potenziali candidati da inserire nella lista per il nuovo consiglio. Ieri sono stati illustrati i criteri di selezione messi a punto da Salvatore Rossi e dalla società di head hunting Egon Zehnder. L’obiettivo è dare continuità al processo di trasformazione digitale con un team “formato da competenze ed esperienze adeguate alla rapidità richiesta dal mercato”.

Sempre nell’articolo si sottolinea come “L’azionista Cassa Depositi e Prestiti, nel frattempo, si trova in una situazione delicata, essendo in possesso del 10% delle azioni della società, quota che la rende il secondo maggior azionista. CDP si è riservata di sottoporre al proprio consiglio di amministrazione ogni decisione in merito dovendo approvare la lista unica di Vivendi per evitare di far scattare l’obbligo di Opa”.

Ricordiamo che la lista sarebbe composta da 15 nomi, ma di questi è previsto che solo 10 entrino in consiglio. L’articolo infatti specifica come L’orientamento è quello di sostituire gli attuali consiglieri, eccetto l’attuale presidente e AD Luigi Gubitosi, che dovrebbe essere riconfermato. Anche Arnaud de Puyfontaine sarà in lista. Rimane da capire come si muoverà la CDP, al momento è attiva anche sul fronte Enel Open Fiber.

Fra gli obiettivi concreti e misurabili che può centrare il Recovery Plan, si collocano sviluppi infrastrutturali importanti nel campo della mobilità. Città più sostenibili grazie a un piano organico e dettagliato d’investimenti nella mobilità green, in sintonia anche con i progetti europei: metrò, ferrovie locali, rinnovo del parco autobus con mezzi elettrici, treni a idrogeno dove non c’è elettrificazione della linea.
Ne parla il quotidiano Il Sole 24 Ore in uno specifico articolo, pubblicato lo scorso 2 febbraio a firma di Giorgio Santilli: Lo studio Asvis si sofferma sugli interventi infrastrutturali: 14,3 miliardi previsti dal contratto di programma Rfi 2017-2021 per città metropolitane e stazioni (6,1 tendenziali e 8,2 aggiuntivi); 8,8 miliardi previsti dai Piani urbani per la mobilità sostenibile (Pums) dei comuni (7 tendenziali e 1,8 aggiuntivi). In tutto servono dieci miliardi di risorse aggiuntive.

Il piano prevede, ad esempio, forti investimenti di upgrading e nei Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile (PUMS): 1,6 miliardi RFI per upgrading infrastrutturale e tecnologico del nodo di Milano, i raddoppi delle linee ferroviarie Milano-Mortara prima fase e Tavazzano-Lodi. Nei PUMS 1,35 miliardi per il potenziamento delle metropolitane/tram e l’estensione della rete. A Napoli 710 milioni RFI per upgrading infrastrutturale e tecnologico del nodo di Napoli e 770 milioni del PUMS per potenziamento metropolitane/ferrovie ed estensione della rete metropolitane/tram. A Firenze 583 milioni per l’estensione della rete tramviaria. A Bologna 511 milioni per la linea 1 del tram, a Torino 334 milioni per l’estensione della rete metropolitana.

Nell’articolo è inserita una dichiarazione di Andrea Gibelli, presidente di Asstra, che argomenta le proposte. «Il Covid – dice – ha posto al settore cinque questioni che andranno affrontate con una riforma complessiva: 1) un nuovo modello di città che consenta un uso più razionale del trasporto pubblico; 2) l’integrazione di filiera con i fornitori del settore elettrico; 3) le piattaforme digitali per incrociare in modo più efficiente domanda e offerta; 4) il leasing operativo come nuovo modello di finanziamento del TPL; 5) il nuovo ruolo delle imprese di TPL».

Sono esattamente 4.656 le imprese che crescono nonostante le difficoltà degli ultimi anni e della pandemia, e in uno scenario economico molto complesso costituiscono un sistema trainante per l’economia italiana. Le ha individuate e indicate la seconda edizione dello studio condotto da Nomisma, fra le più autorevoli società che si occupano di indagini di mercato.

Tra i settori dove maggiore è il numero di aziende “virtuose” lo studio identifica: packaging, farmaceutica, autoveicoli, metallo e abbigliamento. Il settore che vede maggiormente aumentare il numero di imprese inserire nell’elenco Nomisma è la farmaceutica, con un’incidenza (+197%) tre volte superiore rispetto a quanto registrato nella manifattura; considerando invece i ricavi è il settore del packaging a posizionarsi al primo posto, con un’incidenza di oltre tre volte superiore (+215%).

Questo insieme di imprese ha tutte le capacità necessarie per superare la crisi che preoccupa lo scenario economico. Particolarmente interessante notare che molte di queste imprese hanno attraversato anche la stagnazione che aveva colpito l’economia già nei due anni prima della pandemia e l’hanno fatto in modo virtuoso, con fatturati in rapida crescita e una redditività a volte migliore dei concorrenti stranieri.

Lo ricorda Luca Piana in un suo articolo in Economia&Finanza (magazine settimanale de La Repubblica) pubblicato il 1 febbraio: Alcuni risultati sono sorprendenti, soprattutto se si confronta questa seconda edizione dello studio con quello di dodici mesi fa. L’anno passato avevano superato l’esame 4.829 imprese, questa volta sono state 173 in meno. Salta all’occhio però un altro dato: le “veterane”, presenti in entrambe le edizioni, superano quota duemila. Le “debuttanti”, che non erano presenti la prima volta ma ci sono nella seconda, sono quindi più numerose, quasi 2.600. Considerando che i parametri valorizzano gli anni dal 2014 in poi, e non una singola annata. È un buon segno: significa che le imprese che hanno chance di entrare nel campione sono numerose.

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