Nel difficilissimo scenario economico e industriale vissuto nel 2020 era quasi ovvio che la raccolta ordini di macchine utensili mostrasse un calo costante. E così è stato, come ricorda il quotidiano Il Sole 24 Ore in un articolo pubblicato lo scorso 22 gennaio a firma di Luca Orlando: L’elaborazione del centro studi di Ucimu-Sistemi per produrre rileva tra ottobre e dicembre una riduzione del 18,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dato su cui pesa in particolare l’arretramento del mercato domestico (-28%) mentre il calo oltreconfine si riduce al 14%. Ponendo come base i valori del 2015, l’Italia è comunque ancora 24 punti oltre quel livello. Mentre per l’export, che prima del varo del piano di incentivazione Industria 4.0 rappresentava il principale motore del comparto per uscire dalla crisi, resta ancora un gap di oltre 20 punti rispetto ai dati di cinque anni fa. Nel complesso del 2020 l’indice totale segna un arretramento del 18,6% rispetto all’anno precedente, risultato determinato dal crollo degli ordinativi raccolti sul mercato interno (-35,1%) e dalla riduzione di quelli raccolti sul mercato estero (-13,6%).
Secondo Barbara Colombo, presidente Ucimu, già nei primi mesi del 2021 dovrebbero vedersi segnali di miglioramento. Le ragioni che invitano all’ottimismo sono molteplici: misure governative di incentivo alla sostituzione dei macchinari obsoleti e alla transizione 4.0, disponibilità dei vaccini, insieme al ritorno di importanti eventi fieristici sul territorio italiano. Stiamo parlando di “Lamiera” ed “Emo Milano 2021”, entrambi previsti a Fieramilano Rho. Le stime di Ucimu indicano possibile, a determinate condizioni, una crescita a doppia cifra nel 2021 in grado di colmare gran parte del gap accumulato: la produzione potrebbe recuperare quasi un miliardo di euro (+16,6%). Sempre nell’articolo si sottolinea inoltre come: le misure previste dal piano Transizione 4.0 inserito nella Legge di Bilancio 2021 sono un ottimo incentivo alla ripresa in Italia degli investimenti in nuove tecnologie, digitali e non. Ora ciò che è fondamentale è una comunicazione adeguata alle imprese, affinché conoscano criteri, tecnicalità e opportunità delle norme contenute nel provvedimento così da poterle sfruttare al meglio, senza tralasciare l’aspetto centrale della formazione 4.0. Tra i punti visti con favore vi sono i crediti di imposta per gli acquisti di nuovi sistemi di produzione, l’incremento delle aliquote applicate agli investimenti in ricerca e sviluppo, il credito dedicato alla formazione. Che tra le novità contempla nel calcolo dello sgravio fiscale non soltanto il costo delle ore di formazione del personale coinvolto ma anche il costo del formatore, che in particolare per le Pmi rappresenta spesso l’aspetto più oneroso dell’attività sostenuta dall’impresa. Gran parte dell’ottimismo sulla progressiva normalizzazione dell’attività poggia per le imprese sul successo della campagna vaccinale, un modo per superare non solo l’emergenza sanitaria ma anche quello che ancora oggi rappresenta il maggiore ostacolo per ogni costruttore di impianti: la difficoltà alla mobilità internazionale.
Il CdA di Telecom Italia affida al suo Presidente di stilare preventivamente i componenti del Consiglio di Amministrazione. Si tratta di un’eventualità prevista dallo statuto Telecom che, però, non si era mai verificata prima di questo momento.
A tale proposito, in un articolo pubblicato il 21 gennaio a firma di Sara Bennewitz, il quotidiano La Repubblica ricorda e sottolinea come sulla decisione si sarebbe espressa anche la Consob. La commissione sostiene che questo tipo di governance non si addica a Tim, che sul libro soci ha un colosso francese come Vivendi e la CDP. Tuttavia, all’estero si tratta di una pratica quasi consolidata, e se ci sono stati altri precedenti a Piazza Affari: Telecom avrà la lista del management.
Sara Bennewitz sottolinea: La nuova lista di dieci membri includerà Rossi e l’amministratore delegato Gubitosi, ma anche Arnaud de Puyfontaine (Vivendi). Quattro posti saranno riservati alle quote rosa, mentre gli altri due saranno scelti da Rossi insieme agli advisor. Vivendi ha già detto sì, ma CDP ha tenuto in sospeso la decisione. Sarà Rossi allora a dover sondare la Cassa e convincerla a indicare le sue preferenze per il CdA in continuità.
L’assemblea per il rinnovo del consiglio TIM è prevista per il 31 marzo. Un margine di tempo talmente breve da lasciare poco spazio a cambiamenti repentini o in fase di avvicinamento a tale data.
Il gruppo guidato da Renato Mazzoncini allarga ulteriormente gli orizzonti, come ricorda Il Corriere della Sera in un articolo firmato da Francesca Basso: Sul tavolo ci sono investimenti per 16 miliardi nei prossimi dieci anni (quasi il triplo a livello annuo rispetto al periodo 2018-2021); 6 miliardi per dare impulso all’economia circolare e 10 miliardi per proseguire sulla transizione energetica (il target è triplicare a fine piano la capacità installata da fonti rinnovabili, arrivando a 5,7 GW).
E poi ci sono i clienti elettricità e gas: «Abbiamo un obiettivo a fine piano di 6 milioni di clienti contro gli attuali 2,9 milioni», ha spiegato Mazzoncini, aggiungendo che “il salto” avverrà con la fine della “maggior tutela” e il passaggio al mercato libero dal 2022. «Ipotizziamo acquisizioni di lotti da 300 mila clienti e l’acquisizione del 15% dei potenziali clienti sul mercato tramite canali tradizionali e il canale digitale NeN, che sta avendo numeri molto buoni».
A2A dichiara inoltre, tramite il suo CEO, un maggiore interesse per l’Europa, soprattutto in alcuni mercati: nelle rinnovabili e nella gestione di rifiuti. Sottolinea Francesca Basso nell’articolo: Per Mazzoncini il piano rappresenta «un punto di svolta per A2A», che «per la prima volta ha una strategia di lungo termine». Ma soprattutto gli investimenti rappresentano le «solide basi» che permetteranno alla multiutility, che ha come soci di maggioranza i Comuni di Milano e Brescia, «di realizzare infrastrutture strategiche, innovative ed essenziali per la crescita e il rilancio del Paese». L’amministratore delegato propone un «nuovo modello» con un riposizionamento strategico e culturale di A2A da multiutility a «life company», sfruttando il fatto che il core business è rappresentato dalla produzione e fornitura di energia, gestione dell’acqua e dei rifiuti, che nei prossimi anni diventeranno sempre più centrali all’interno dell’economia circolare. Mazzoncini ha messo A2A al centro della trasformazione in atto, della transizione energetica e digitale che sono anche il cuore del piano di ripresa europeo e nazionale.
Il piano strategico di A2A prevede un aumento del margine operativo lordo da circa 1,18 miliardi del 2020 a oltre 2,5 miliardi di euro del 2030. Lo sviluppo di nuovi impianti rinnovabili vedrà investimenti per 4,1 miliardi. Sempre secondo le dichiarazioni di Mazzoncini il 60% sarà fotovoltaico e il 40% eolico e il 12% avverrà per acquisizioni e il resto sarà crescita organica importante. Gli impianti a ciclo combinato a gas saranno resi più efficienti e in futuro vedranno un mix tra metano e idrogeno. L’utile netto è previsto in crescita dell’8% medio annuo e i dividendi di «almeno il 3%» dopo un rialzo dai 7,75 euro del 2019 agli 8 per il 2020. Fanno eccezione il 2021 (8,2 euro) e il 2022 (8,5 euro). Sono stimate 6 mila assunzioni a fronte di 4 mila uscite.
L’indagine è stata effettuata dall’Istat tra il 23 ottobre e il 16 novembre 2020 ed ha avuto come campione un milione di imprese con almeno 3 addetti e per un totale di oltre 12 milioni di dipendenti. Questo corrisponde a circa il 90% del valore aggiunto e i tre quarti dell’occupazione di manifatturiero e servizi. Lo precisa ed evidenzia L’Economia, magazine finanziario de Il Corriere della Sera, nell’articolo a firma Dario De Vico dedicato alla ricerca Istat: Se analizzando la Grande Crisi 2008-15 si finì per adottare lo schema avanzato dall’allora presidente di Confindustria Vincenzo Boccia (un terzo di imprese avevano superato la prova, un terzo in bilico anche dopo l’uscita dal tunnel e un terzo azzoppate mortalmente), oggi l’Istat ci ha dato in corsa uno strumento in più che fa dire a Roberto Monducci, direttore del dipartimento per la produzione statistica, come «la capacità di resistenza del sistema produttivo sia elevata» al punto che dopo quasi un anno di lockdown/restrizioni si possa usare la metafora del “bicchiere mezzo pieno”.
Al lavoro dell’Istat è stata applicata la classificazione cromatica usata di questi mesi (rosso, arancione, giallo e bianco) e aggiunto il verde per le imprese più avanzate. L’articolo di De Vico ne sintetizza così i contenuti delle categorie:
Zona rossa Statiche in crisi – Nel campione Istat valgono per il 28,6% e sono imprese che erano nei guai già prima del Covid. Sono basse propensione all’export, produttività del lavoro e valore aggiunto. In media hanno 6,5 addetti. L’istituto le definisce statiche perché non hanno sviluppato nuovi prodotti o processi, sono rimaste spiazzate dagli eventi e si sono limitate a usufruire dei sussidi (…)
Zona gialla Statiche resilienti – Rappresentano la maggioranza relativa (35,5%), hanno in pancia 3 milioni di dipendenti e un’occupazione media di 8,3 addetti. La scolarizzazione della forza lavoro non è molto migliore delle imprese rosse ma costo del lavoro, produttività e valore aggiunto sono nettamente superiori. L’export è migliore anche se non di molto. Appaiono aziende ben piantate, il nocciolo duro della resistenza imprenditoriale che non ha registrato una condizione di emergenza né sul versante della liquidità né della solidità finanziaria.
Zona arancione Proattive in sofferenza – Nel campione Istat valgono il 10,7%, danno lavoro a 1,2 milioni di persone per una media-azienda di 11,2 addetti. Per costo del lavoro, produttività e valore aggiunto sono nettamente più in basso delle imprese gialle, hanno invece stessa scolarità della forza lavoro e maggiore propensione ad esportare. Sono state duramente colpiti da lockdown e restrizioni ma hanno espresso su diversi piani azioni di contrasto. Nuovi prodotti, canali di vendita, riorganizzazione dei processi, intensificazione delle partnership (…).
Zona bianca Proattive in espansione – Sono il 19,4% del campione Istat e occupano 3,8 milioni di persone. In media hanno circa 20 dipendenti, con un costo del lavoro medio di 42.388 euro, una produttività elevata e ottimo valore aggiunto (…) Per far fronte al Covid hanno investito soprattutto nella trasformazione digitale. Possiamo pensare che rientrino in questa categoria le filiere di fornitura più efficienti e buona parte delle aziende dei distretti.
Zona verde Proattive avanzate – Rappresentano il 5,8% del campione, hanno una fortissima propensione all’export (circa il 20%) e un’occupazione media di 42,7 addetti. Il loro sentiero di crescita è rimasto invariato nonostante il virus, staccano tutte le altre categorie quanto a investimenti nel digitale e hanno fatto ampio ricorso allo smartworking.