L’intervista, condotta dal giornalista Cheo Codina, è realizzata considerando che tra poche settimane A2A presenterà il suo nuovo piano industriale.
Ecco alcuni dei passaggi più interessanti delle dichiarazioni di Patuano:
“Nel nostro piano ci saranno investimenti importanti su tutti i filoni. Il termoelettrico rimarrà una risorsa strategica per l’Italia che grazie all’idrogeno allungherà la sua vita in modo più sostenibile…”.
“…Chi opera nelle infrastrutture ha bisogno di tecnologia e capacità di realizzazione degli investimenti. Per questo è sbagliato dire che la chiave di sviluppo di A2A siano le aggregazioni territoriali. Semmai al contrario, queste ultime sono una straordinaria opportunità per realtà che non hanno ancora raggiunto la scala necessaria per stare sul mercato e che, con operazioni che rispettano la loro identità, si garantiscono un futuro”.
All’intervistatore che domanda: “FiberCop, siete interessanti al dossier?” Patuano risponde:
“Al momento direi di no, benché sia evidente che il futuro è nelle reti. Ma non è necessario essere investitori nelle infrastrutture digitali per erogare servizi integrati”.
Nell’articolo pubblicato su Il Sole 24 ore del 6 gennaio, a firma Carmine Fotina, si sottolinea come:
“Appena entrato in vigore con la legge di bilancio 2021, il piano Transizione 4.0 già si prepara a cambiare pelle. L’esigenza di rimodulare le spese a carico del Recovery Plan determinerà infatti una revisione dei crediti d’imposta: meno agevolazioni per i beni strumentali tradizionali (l’ex superammortamento), aiuti più generosi sui beni funzionali alla digitalizzazione delle imprese (l’ex iperammortamento). In questo modo, il governo intende recepire le osservazioni della Commissione europea che chiede per il Recovery Plan interventi che siano veramente legati alla svolta digitale dell’industria e non siano meri sostegni al ricambio di vecchi macchinari, veicoli commerciali o arredi per ufficio, per fare alcuni esempi. Solo in questo modo del resto si eviterà un vero autogol, cioè il blocco degli investimenti da parte delle imprese che senza retroattività potrebbero preferire attendere incentivi più generosi rispetto a quelli già in vigore…”.
Ricordiamo che la rivisitazione allo studio incide anche sulle cifre del Recovery Plan. Il pacchetto Transizione 4.0 era già passato da 24,8 a 21,7 miliardi. L’ex superammortamento esce dal perimetro delle coperture europee e, per il solo 2021, sarà finanziato da risorse statali. Anche le maggiorazioni allo studio per i beni digitali dovrebbero essere finanziate con coperture alternative a quelle targate Next Generation Eu. Scrive ancora Fotina:
“Il credito d’imposta per i beni strumentali materiali digitali (ex iperammortamento) vedrà confermata la maggiorazione al 50% anche nel 2022, e non solo per il 2021, per la quota di investimenti fino a 2,5 milioni (fruizione del credito in tre quote). Per i beni strumentali immateriali 4.0, principalmente i software, l’aliquota salirà al 25% dal 20% previsto dalla manovra (per il 2021 e 2022, con fruizione in tre quote). Cambierà anche l’agevolazione per i software di base, non 4.0, che salirà dal 10 al 15% al pari dei dispositivi per lo smart working, sia per il 2021 sia per il 2022 con massimale a 1 milione di euro. Modifiche riguarderanno anche il credito di imposta per investimenti R&S e innovazione. Il tax credit per ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale passerà dal 20 al 25% con tetto a 4 milioni; per innovazione tecnologica finalizzata alla digitalizzazione 4.0 o alla transizione ecologica si salirà dal 15 al 20% con limite a 2 milioni”.
Secondo il Centro Studi di Confindustria si potrà assistere nel 2021 ad un significativo rimbalzo dell’economia italiana ed in particolare delle aziende più solide e digitalizzate. Scrive Ettore Livini nel suo articolo pubblicato su Affari&Finanza del 28 dicembre:
“L’inedita troika formata dal vaccino, dal volano del recovery plan e dai paracadute della Bce prova a regalare all’economia italiana un 2021 in ripresa dopo l’annus horribilis del Covid. L’inerzia, malgrado il freno del secondo lockdown, resta positiva. «Ci sono dati solidi di ripartenza – conferma Francesco Daveri, direttore del programma Full-Time MBA della SDA Bocconi School of Management – che con il graduale allontanamento dalle restrizioni sociali sono destinati a consolidarsi”.
Nel momento che la fase acuta della pandemia sarà domata, inizierà la parte più difficile della ripresa e del rilancio, vale a dire rimettere in piedi l’economia nazionale ed Europea, come sottolinea ancora Livini dalle pagine del settimanale economico de La Repubblica: “Le imprese italiane oggi sono più mature rispetto alla situazione in cui erano all’epoca della crisi dei debiti sovrani, sono meglio capitalizzate, più digitalizzate e aperte alla struttura del capitale anche se quelle medio grandi avranno meno difficoltà nel dopo pandemia rispetto alla micro imprese (…) Il Jolly, comunque, vaccino a parte, resta il Recovery Plan: se vogliamo che il 2021 sia davvero l’anno della rinascita, l’Italia dovrà essere in grado di mettere in atto subito le procedure che scaricano in tempi rapidi a terra questi soldi…”
Scrive Riccardo Bruno sul Corriere della Sera del 30 dicembre 2020:
“Mina canta sulle note di un musical: «Questa è la storia di un’idea e di chi trovò la strada per farne una realtà. Seppure noi siamo lontani ci fa sentire più vicini e meno soli noi».
È molto di più di uno spot il video che la Tim manderà in onda da domani – debutto prima del messaggio di fine anno del capo dello Stato -. È la narrazione di 100 anni di progressi, da quando i telefoni sono entrati prepotentemente nelle nostre vite, l’innovazione che più ha cambiato la società.
Il Gruppo Tim ha una fondazione recente, ma è la diretta prosecuzione di una vicenda industriale lunga, che risale a Telecom, e prima alla Sip, e prima ancora alle società nate nei primi anni Venti del secolo scorso…”
Nell’articolo si ricorda che il telefono fu inventato alla fine dell’800. La sua diffusione prese corpo negli anni Venti tanto da portare a mettere ordine nel mercato di allora dividendo l’Italia in cinque grandi zone e affidandole a cinque società, che per impedire che le compagnie straniere controllassero il mercato: Stipel, Telve, Teti, Timo e Set. Questo era anche lo scenario nel quale decise di scendere in campo nel 1937 Cesare Valtellina, fondatore della nostra azienda. Il nuovo spot di TIM “racconta”, in un veloce viaggio nel tempo, caratterizzato da un ritmo narrativo incalzante, le evoluzioni delle telecomunicazioni, settore al quale Valtellina ha sempre dato un apporto importante in termini di lavoro al servizio delle reti. Lo spot TIM è stato ideato da Luca Josi, direttore Brand Strategy, Media & Multimedia Entertainment di Tim, che ha diretto il video di tre minuti e 49 secondi che scorre sulla voce di Mina che reinterpreta This is me (tra l’altro Tim ne è l’acronimo) del musical «The Greatest Showman» , Golden Globe nel 2018.
Sempre nell’articolo del Corriere della Sera del 30 dicembre si può leggere: «È il racconto di una rivoluzione che si è affacciata nel Novecento e di cui siamo protagonisti – afferma Josi -. La possibilità di connettersi a distanza, che adesso diamo per scontata, ha cambiato l’esistenza delle persone. E noi vogliamo celebrarla in modo leggero, nelle parole e nei toni, per aiutare ad ammorbidire la ruvidità del presente». La pandemia ha reso plastico quanto sia vitale restare uniti a distanza, per non perdere gli affetti o il lavoro. Smartphone e webinar sono solo l’ultimo anello di una catena, a partire da quelle centraliniste e dai laboratori di Torino che permisero le prime conversazioni telefoniche da cui prende le mosse lo spot. Quello legato al telefono è un universo popolato da oggetti a cui siamo legati, molti ormai scomparsi. Dai primi telefoni neri in bachelite a quelli bianchi delle case più agiate (che diedero il nome al filone di film sentimentali a cavallo tra le due Guerre). Oppure le cabine telefoniche, la prima in metallo e vetro vista nel febbraio 1952 in Piazza San Babila a Milano, ormai rese superflue dai cellulari. E ancora il telefono a disco, con quello scorrere della rotella quando si componevano i numeri che rendeva febbrile l’attesa. O i gettoni e poi le più evolute carte telefoniche ormai archeologia per noi…”.