Da alcune settimane Wall Street si domanda: com’è possibile che il titolo di una delle maggiori realtà mondiali del digitale abbia perso il 40% da inizio anno? La congiuntura non favorevole, sicuramente, ma non può essere sollo quella. Se lo domanda anche Beniamino Pagliaro in un articolo su Affari&Finanza, magazine del quotidiano La Repubblica, pubblicato lo scorso 28 febbraio: Non è facile dare una risposta, e i fattori determinanti sono troppi per trovarne una sola. Prima c’è il contesto, l’inflazione, la Fed che alza i tassi, rendendo meno interessanti per gli investitori i titoli della tecnologia. Poi ci sono fenomeni industriali: la crescita degli utenti non può continuare con la stessa intensità degli anni Dieci perché i mercati occidentali sono maturi e quelli orientali proibitivi. Ma ci sono anche ragioni profonde, e di prodotto, che possono provare a spiegare la frenata di queste settimane. Meta ha cambiato nome per ampliare il campo di gioco ma oggi i ricavi arrivano in gran parte da Facebook: 117 miliardi di dollari di ricavi nel 2021, di cui 114 dalla pubblicità, e 33 miliardi di utile. Meta non distingue nei bilanci i ricavi da Facebook e da Instagram, ma alcune stime posizionano i ricavi di Facebook tra il 60 e il 65% e quelli di Instagram tra il 35 e il 40%. Quella di Instagram, che ha 2 miliardi di utenti attivi al mese, è una crescita poderosa: cinque anni fa i ricavi stimati sul totale del gruppo erano meno del 10.

Oltre a queste problematiche, appare evidente che qualcosa è mutato nel rapporto degli utenti con la creazione di Zuckerberg: per molti analisti sarebbe ormai un social media per adulti e non per giovani (o forse i primi utenti giovani sono ormai adulti…). Ma dietro ai numeri ci sono diverse variabili, come ricorda lo stesso Pagliaro: Quante volte aprendo il feed per abitudine ci troviamo davanti alla “notizia” di un lontano “amico”, con cui in verità non parliamo da dodici anni? L’effetto rete che ha garantito la crescita di Facebook dalle origini mette ovviamente a rischio la sua stabilità. Se la nostra cerchia di amici non condivide contenuti, foto, pensieri, saremo meno portati a frequentarlo. La tua rete sociale dipende da te, si diceva un tempo, e la teoria trova una conferma: il news feed di Facebook potrebbe essere ormai noioso per un utente ed essere un punto fisso della giornata per un altro. Ma una nuova consapevolezza sulla privacy ci porta a condividere meno, o preferire le Stories che scompaiono dopo 24 ore. E se non troviamo contenuti interessanti, guardiamo altrove. Il news feed era nato per fare ordine tra le “notizie” dei nostri amici.

Dove si spostano gli utenti di Facebook?, si chiede ancora Pagliaro. Su Instagram, TikTok e Whatsapp (2 miliardi di utenti attivi), tutti e comunque territori d’azione di Zuckerberg, che inoltre guarda al metaverso. La prima piattaforma di realtà virtuale di Meta, Horizon, ha superato i 300mila iscritti dal lancio a dicembre. Gli utenti ci possono entrare con il visore di realtà virtuale prodotto da Meta, “incontrare” altri utenti, partecipare a esperienze. Un grande aiuto nella corsa alla realtà aumentata (o virtuale) potrebbe arrivare poi da Apple. Il visore della casa di Cupertino potrebbe arrivare entro l’anno.

Sottolineare la discontinuità con le precedenti amministrazioni TIM tramite un nuovo piano per rilanciare il gruppo di vertice delle telecomunicazioni in Italia. Su questi due pilastri si installa il compito di Pietro Labriola, amministratore delegato TIM. Se ne è avuta conferma con il CdA tenutosi lo scorso 2 marzo. Hanno dedicato attenzione a quanto emerso dal CdA tutti i principali organi di stampa, tra cui il quotidiano La Repubblica con un articolo a firma Sara Bennewitz pubblicato lo scorso 3 marzo: Pietro Labriola ricompatta un cda lungo e diviso che dopo otto ore di acceso confronto approva ad unanimità una maxi pulizia di bilancio che porta Tim a una perdita di 8,7 miliardi nel 2021. Inoltre incassa il mandato all’ad a negoziare la vendita delle torri di Inwit e approva ad unanimità gli obiettivi del piano industriale 2022-2024, incluso il processo di separazione di Telecom Italia tra la società dei servizi ServiceCo, da quella della rete, detta Netco, che poi dovrebbe fondersi con la rivale Open Fiber. Oggi si terrà infatti un apposito consiglio della Cassa Depositi e Prestiti (azionista con il 60% di Open Fiber e al 9,8% di Tim) per discutere del progetto di rete unica, che punta a mettere insieme i cavi sottomarini di Sparkle, l’infrastruttura primaria e secondaria di Tim con quella del gruppo della fibra guidato da Mauro Rossetti.

L’agenda di Labriola punterebbe a sviluppare il fatturato in quattro aree di intervento: grandi clienti (pubblica amministrazione e grandi imprese), area consumer (pmi, consumatori individuali e famiglie), infrastrutture e Brasile. Un altro obiettivo consiste nel dare visibilità al valore degli asset della compagnia, a beneficio della quotazione in Borsa. La strada da percorrere in questo caso è la rete unica e a tal fine Labriola si muove sul tavolo con Cassa depositi e prestiti e Macquarie. Dietro l’angolo c’è ancora l’offerta di Kkr. Nel suo articolo Sara Bennewitz puntualizza: Ieri il cda dell’ex monopolista delle tlc ha dato il suo via libera al nuovo assetto societario dove Tim si farà in quattro società: la NetCo (rete primaria e secondaria, con dentro Sparkle) con a capo Stefano Siragusa, Tim Partecipacoes, e la socieeta dei servizi, ServiceCo che a sua volta sarà divisa in tre ovvero Tim Brasil che è già quotata e guidato da Alberto Griselli, la Consumer, la società dei servizi fissi e mobili con alla guida Andrea Rossini e l’Enterprice, quella dedicata alle aziende con Noovle, Telsy, Olivetti e i grandi clienti che sarà capitanata da Massimo Mancini. La nuova gestione di Labriola parte con una pulizia di bilancio che fa tabula rasa con il passato e svaluta crediti fiscali (per 3,8 miliardi) e avviamenti (il goodwill per 4,1 miliardi), accantonando poste straordinarie per 540 milioni relative al contratto con Dazn per la Serie A di calcio.

Il crescente sviluppo dell’“Internet of Things” sta coinvolgendo sempre più settori e imprese. È prevedibile un’ulteriore, forte sviluppo complice l’implementazione su larga scala del 5G. Secondo le stime dell’associazione di operatori mobili GSMA verranno raggiunte 1,8 miliardi di connessioni globali entro il 2025. Gli operatori di mercato entro pochi anni dovranno quindi inevitabilmente adeguare i propri prodotti a standard di telecomunicazione wireless. Un ruolo centrale avranno gli “Standard Essential Patent” – SEP, ovvero brevetti che proteggono tecnologie che devono essere necessariamente implementate per conformarsi a uno standard tecnico e consentire così la commercializzazione del prodotto. Si pensi, ad esempio, agli standard di telecomunicazione (che regolano il “linguaggio” di due terminali che devono dialogare tra loro) ed in particolare alle reti cellulari, come 3G, 4G e 5G, alle reti fisse ADSL, al Wi-Fi o al Bluetooth. Dedica attenzione al tema Cor.Com, – Il Corriere delle Comunicazioni, con un articolo firmato da Lorenzo Battarino e Maurizio Santoro (entrambi dello Studio legale Trevisa&Cuonzo) pubblicato lo scorso 4 marzo: Tutte le aziende che vorranno implementare standard di telecomunicazione dovranno quindi concludere una licenza con i titolari dei brevetti essenziali rilevanti. In tale contesto, saranno avvantaggiate le aziende del settore delle telecomunicazioni che potranno agire sulla base della consolidata esperienza in materia di altri standard quali 2G, 3G e 4G, a fronte invece di aziende non avvezze a queste dinamiche che patiranno la mancanza di esperienza circa la negoziazione delle licenze sui brevetti essenziali, le logiche che li governano e più in generale il panorama brevettuale nel settore di riferimento. È dunque consigliabile per tutte le aziende non abituate ad affrontare questi temi adottare un approccio proattivo per affrontare efficacemente il cambiamento di paradigma in atto. In questo processo di apprendimento e adeguamento ai nuovi standard richiesti, è bene che le aziende tengano presente che il numero di brevetti dichiarati essenziali è elevatissimo ed in costante aumento: uno studio condotto da IPlytics calcola che per il solo standard 5G siano già stati dichiarati essenziali più di 95.000 brevetti e che gli stessi siano nelle mani di molti titolari, con alcune grandi società (Huawei, Samsung, ZTE, LG, Nokia, Eriksson e Qualcomm), a far la parte del leone.

Nel loro articolo i due legali sottolineano inoltre come sarà fondamentale per le aziende analizzare la condotta dei licenziatari di brevetti essenziali, tenendo presente che, per massimizzare il profitto, i titolari tendono a concedere licenze al produttore del prodotto finale più che al produttore di singole componenti. Si rimarca infine l’assenza di un database pubblico delle licenze concesse, che riduce la trasparenza nel processo di negoziazione.

La guerra al ribasso tariffario nel settore delle telecomunicazioni sembra che dal mobile si stia trasferendo anche al fisso. La dinamica è orma ben nota: contendersi i clienti sulla base di politiche di sconti e di offerte, mai così favorevoli per gli utenti finali. Ma in economia non sempre fare new business significa generare utili. “Fotografa” la situazione il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Andrea Biondi pubblicato lo scorso 5 marzo: Negli ultimi 10 mesi si è così assistito a un drastico calo dei prezzi e di pari passo a un aumento della velocità nominale delle offerte. Tutto questo unitamente all’avanzata della fibra ottica e della sua copertura sul territorio. Stando ai numeri dell’Osservatorio di SOStariffe.it, la voce di costo che più è andata giù è l’attivazione (-43%). Da una media di circa 82 euro si è scesi a 46 euro. Più allettante ora è anche il canone mensile standard delle offerte per i nuovi clienti. Se a maggio 2021 servivano almeno 29 euro al mese per un servizio Internet da rete fissa, ora di euro ne bastano 27 (-8,3%). Anche i canoni promozionali stanno subendo una flessione (-7,8%): da una media di 27 euro al mese si è passati a poco più di 25 euro mensili. Inoltre, come ulteriore vantaggio per gli utenti, il periodo promozionale ha ormai una durata indeterminata. Di pari passo con la riduzione dei prezzi è invece raddoppiata la velocità nominale inclusa nei pacchetti Internet casa. Se 10 mesi fa si aggirava su circa 599 Megabit al secondo ora è pari in media a oltre un Gigabit (il dato rilevato è 1.167 Megabit).


Nel suo articolo Biondi sottolinea come l’aumento della velocità nominale sembra legato al fatto che le offerte in fibra ottica stanno gradualmente aumentando sia la propria copertura sia le prestazioni, in termini di velocità massima di connessione, messe a disposizione agli utenti. In conclusione l’articolista de Il Sole 24 Ore commenta: Insomma, margini di intervento non ce ne sono poi tanti. Piuttosto si può sperare in un bilanciamento fra abbassamento dei prezzi e crescita della customer base. Una scommessa. Di sicuro la guerra dei prezzi sulla fibra dopo quella nel segmento mobile non è il migliore dei viatici.

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