In base gli scenari delineati dal Centro Studi Confindustria, quando si tratterà di tirare le somme sul 2022 emergerà un impatto dello shock energetico nell’ordine di 110 miliardi di euro per le imprese italiane. Sempre Confindustria ricorda, rivolgendosi prima di tutto alla classe politica e al governo, che spendere bene le risorse del PNRR e farlo nei tempi previsti è cruciale. Dedica attenzione al tema il magazine Affari&Finanza con un articolo a firma di Luigi Dell’Olio pubblicato lo scorso 12 dicembre: L’attuazione del Pnrr, con la capacità di impiegare al meglio le risorse in arrivo, e il contrasto al caro-energia. Si gioca su questi due terreni la capacità di riuscire a superare senza troppi traumi il 2023, un anno che si annuncia difficile per il nostro Paese tra tensioni a livello globale e zavorre che da tempo pesano sulla crescita interna. Dopo un progresso nell’ordine del 3,8% atteso nell’anno che sta per concludersi, nel 2023 il Pil italiano dovrebbe rallentare a un modesto più 0,3% per accelerare solo leggermente (all’1,1%) nel 2024. Le stime della Commissione europea evidenziano le difficoltà che ci attendono, a fronte di un’inflazione che resta molto elevata e di un tasso di disoccupazione atteso in risalita di quattro decimali (all’8,7%) e a fronte di consumi che resteranno sotto pressione anche a causa dei nuovi rialzi dei tassi attesi dalla Banca centrale europea.

Come si sottolinea nell’articolo, in questo scenario l’arrivo dei fondi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza è atteso “come una manna dal cielo”. Ricordiamo che a inizio novembre la Commissione Ue ha dato il via libera al pagamento della seconda tranche da 21 miliardi di euro dopo aver attestato il raggiungimento dei 45 traguardi e obiettivi previsti dal piano. Tra questi, l’avvio delle riforme della pubblica amministrazione, degli appalti pubblici e della professione di docente e gli investimenti in settori chiave come il 5G, la ricerca e l’inno l’innovazione, il turismo e la cultura. Così nell’articolo di Dell’Olio: Il pagamento di questa rata, che segue il prefinanziamento di oltre 24 miliardi avvenuto nell’estate del 2021 e il versamento della prima rata di 21 miliardi lo scorso aprile, rappresenta un ulteriore rilevante passo in avanti nel percorso di attuazione delle riforme e degli investimenti previsti dal PNRR. Tuttavia il difficile arriva ora. Il nuovo governo ha fatto sapere che il piano andrà rivisto soprattutto a causa dell’iperinflazione che ha fatto impennare i costi dei materiali.

La previsione di spesa concordata con Bruxelles era di 42 miliardi di euro alla fine di quest’anno, poi rivista al ribasso una prima volta a 33 miliardi e una seconda a 22 miliardi, ma anche quest’ultima soglia appare difficile da raggiungere: L’esecutivo nazionale sottolinea che non si può non considerare che il piano è stato scritto prima della guerra in Ucraina e dell’ulteriore impennata dell’inflazione e quanto accaduto rende necessaria una revisione. Anche perché le condizionalità delle risorse comunitarie stanno spingendo l’Italia ad adottare riforme che si attendevano da diversi lustri e che sono destinate a produrre benefici per la crescita su base strutturale.

Per il Sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti il mondo delle telecomunicazioni deve evolvere anche al di là delle questioni legate all’accesso alla rete. Naturalmente strategici restano comunque i temi dello sviluppo della banda ultralarga e del 5G, dove il Governo non esclude interventi straordinari. Un’anticipazione alle dinamiche del 2023 che il Sottosegretario ha espresso durante il convegno “Telco per l’Italia” organizzato dal gruppo editoriale Digital 360, al quale appartiene anche la testata Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni. Proprio Cor.Com ha dato ampio spazio all’incontro con Butti, con un articolo a firma di Federica Meta pubblicato lo scorso 14 dicembre: “Il tavolo con gli operatori – ha spiegato – punta a mettere tutti nella condizione di contribuire e capire le intenzioni del governo su quello che insieme andremo a fare sulle Tlc”. Settore protagonista di una crisi determinata dalla guerra dei prezzi “che assottiglia i margini delle aziende con effetti negativi sul processo di manutenzione delle reti e, dunque, sulla qualità dei servizi offerti agli utenti finali”. Ma, secondo Butti, non è solo la questione dei prezzi a zavorrare il settore. Tra i problemi citati dal sottosegretario, il “combinato disposto” della difficoltà a trovare la forza lavoro e il caro energia.

Come sottolineato nell’articolo di Federica Meta, per quanto riguarda la banda ultralarga Butti ha evidenziato i ritardi rispetto ai target previsti per la fine dell’anno. “In questo quadro – ha detto – è necessario dotarsi di strumenti in grado di accelerare. Il ministro, Raffaele Fitto, e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, convocheranno spesso la cabina di regia del Pnrr: vogliamo utilizzare al meglio quelle risorse per la rete a banda ultralarga e il 5G, anche pensando all’esercizio dei poteri sostitutivi”. Ma per Butti anche uno sforzo eccezionale su reti e connettività non sono sufficienti. A detta del Sottosegretario serve un cambiamento più strutturale nel modello di business, che deve allargarsi a nuovi orizzonti, guardando al mondo dei nuovi servizi e alle integrazioni con altri settori verticali, da Industria 4.0 all’automotive, passando per la sanità e la smart mobility. Queste riflessioni sono giunte a completamento di quanto espresso da Butti il 12 dicembre in un’audizione alla camera dei deputati. Un’occasione nella quale parlando della rete unica Butti ha preferito chiamarla “rete nazionale”. Sempre Cor.Com, in un articolo del 13 Dicembre, cita l’intervento del Sottosegretario e riporta: Cessiamo gli equivoci su rete unica e non unica che va chiamata rete nazionale”, ha chiarito Butti, spiegando di aver ereditato una situazione complessa. “Ma il governo conferma i propri obiettivi nell’interesse dell’Italia, delle sue aziende, dei suoi cittadini e consumatori, e cioè tutelare gli interessi nazionali, delle società coinvolte e dei loro azionisti; garantire il controllo pubblico a questa infrastruttura nazionale fondamentale per il nostro Paese; dare attuazione piena alle norme nazionali e comunitarie; garantire, infine, gli equilibri economici, finanziari ed occupazionali”.

Come hanno sottolineato tutti gli organi di stampa, c’era grande attesa per la riunione del consiglio di amministrazione e l’incontro tecnico al tavolo istituito dal governo – entrambi in programma per giovedì 15 dicembre – tra Cassa depositi e prestiti e gli altri principali soci di TIM, con l’intento di trovare entro fine anno una soluzione per creare un’infrastruttura di telecomunicazioni nazionale.
Subito dopo l’incontro ha rivolto attenzione al tema La Repubblica con un articolo a firma di Sara Bennewitz pubblicato lo scorso 16 dicembre: Il primo tavolo tecnico tra gli esponenti del nuovo governo di Giorgia Meloni e gli azionisti di Telecom Italia per assicurare il controllo della rete di telefonia fissa e dei cavi sottomarini di Sparkle in mani pubbliche, si è svolto al ministero dello Sviluppo economico in un clima definito “costruttivo”. Tant’è che è stato già convocato un nuovo incontro per martedì prossimo, e pre-allertata una seconda riunione tra Natale e Capodanno. C’è la voglia da parte delle istituzioni di accelerare, e anche l’azienda quotata, gravata da 25 miliardi di debito, non ha certo tempo da perdere.

Come ricordato nell’articolo, era la prima volta i due soci forti di Tim, vale a dire la Cassa Depositi Prestiti (con il 9,9% del capitale) controllata dal Tesoro, e la francese Vivendi (23,8%), si sono incontrati per discutere su nuove basi, diverse da quelle del progetto di rete unica per intrecciare le infrastrutture di Tim e di Open Fiber, cha ha la Cdp come primo socio. Prosegue l’articolo: Anche se la strada è ancora lunga: il nuovo governo non ha ancora assunto in via formale un advisor per assisterlo in questa partita, mentre il precedente governo Draghi aveva dato mandato a Lazard come advisor finanziario del Tesoro nell’operazione.

Nello stesso 15 dicembre c’è stato poi un consiglio di Tim, che all’ordine del giorno aveva l’approvazione del budget e la sostituzione del consigliere Frank Cadoret, in quota Vivendi che si è dimesso un mese fa. Su indicazioni di Vivandi è stato eletto all’unanimità Massimo Sarmi, già AD di Poste Italiane, manager dichiaratamente stimato anche dal ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, che essendo presidente dell’Asstel e della rete secondaria di Tim (Fibercop) non ha potuto avere i requisiti di indipendenza. Classe 1948, Sarmi ha iniziato la sua carriera professionale in Sip, diventando nel 1995 direttore generale della divisione mobile, e tre anni dopo della capogruppo Telecom, da cui se n’è andato nel 2000 per andare a guidare Siemens Italia. Prosegue Sara Bennwitz: Sarmi è quindi un consigliere non esecutivo di Tim, ma dopo mesi di discussioni sulla sua nomina, tutte le riserve di Cdp al riguardo della candidatura di Sarmi sono venute meno: il presidente della Cassa, Giovanni Gorno Tempini è tra i membri del cda di Telecom che ieri ha votato a favore alla sua nomina di consigliere non esecutivo. Infine ora che è stato approvato il budget del 2023, l’ad di Tim Pietro Labriola potrà affinare il nuovo piano industriale da presentare al mercato il 14 febbraio, tenendo a mente che gli investimenti delle aree grigie delle gare del Pnrr aggiudicate a luglio accumulano già tre mesi di ritardo e hanno costi superiori al budget, a causa del caro materie prime.

Sempre nell’articolo si ricorda infine che ora che è stato approvato il budget del 2023, l’AD di Tim Pietro Labriola potrà affinare il nuovo piano industriale da presentare al mercato il 14 febbraio.

La mobilità sostenibile è una delle principali sfide che si sono date le istituzioni europee e si è compreso ampiamente che si potrebbe tramutare in tante opportunità sia per i cittadini sia per le aziende fin dai prossimi anni. La sinergia tra digitalizzazione, innovazione e mobilità è talmente importante da rientrare tra i punti cardine delle prossime riforme, anche in Italia. Il Ministero dell’Innovazione e delle Tecnologie proporrà un piano nazionale di che sfrutterà le potenzialità della tecnologia per migliorare la mobilità sostenibile. Sarebbe utile che le aziende, specie le piccole e medie imprese, siano sempre più consapevoli dell’importanza della digitalizzazione nel contesto della mobilità sostenibile. La transizione energetica e l’accelerazione verso la trazione elettrica sta trasformando la geografia dell’automotive. Importante notare come il cambiamento non riguarda solo le case costruttrici ma anche i fornitori di componenti. Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Mario Cianfone, strutturato con un’intervista ad Alessandro De Martino, amministratore delegato di Continental Italia, multinazionale che si trova coinvolta nella rivoluzione elettrico-digitale a 360 gradi dai pneumatici all’infotainment, dalle soluzioni per la guida assistita e la mobilità del futuro fino ai sistemi per le vetture a ioni di litio. Prospettive incoraggianti, non senza però degli ostacoli da superare: Nel percorso evolutivo dell’auto, verso digitalizzazione, elettrificazione e guida assistita, si è però posto l’ostacolo del chip shortage, cioè la carenza di semiconduttori che ha rallentato produzione e consegne. Secondo De Martino questo choc ha portato ad accelerare una revisione della cultura ingegneristica che ora punta alla progettazione di auto dove il numero dei chip è ridotto perché si tenderà a usare poche centraline/unità centrali che svolgono un maggior numero di compiti. Questo cambiamento è agevolato anche dalla semplificazione insita nelle auto elettriche. La rivoluzione delle vetture a zero emissioni, e la spinta delle case verso il premium con strategie che privilegiano i margini e non i volumi, implica che nei prossimi anni si venderanno meno macchine. «È vero – dice De Martino – si venderanno meno auto ma a più alto valore e in ogni caso bisogna considerare che stanno cambiando i modelli di consumo con la diffusione dello sharing e di varie forme pay per use. E qui secondo me nei canoni andrà inserito anche il costo della ricarica». Insomma un costo d’uso generale e questo potrebbe essere un cambiamento epocale nella mobilità con un modello di consumo più simile a quello degli smartphone o di Netflix e forse più vicino anche alla cultura delle nuove generazioni.

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