Come hanno evidenziato tutti i principali organi di stampa, sembra che nelle ultime settimane la politica industriale del 4.0 stia tornando all’attenzione della politica. Il motivo contingente riguarda le scelte fatte dal governo Meloni in materia di manovra finanziaria, che hanno alimentato il dibattito, in particolare da parte Confindustriale. Da qui una fitta rete di contatti e l’idea di affrontare alcune di queste partite legate alle agevolazioni fiscali per favorire gli investimenti con dei tavoli ministeriali convocati ad hoc, già forse nella prima decade di dicembre. Dedica attenzione al tema il magazine Affari&Finanza con un articolo a firma di Dario Di Vico pubblicato lo scorso 5 dicembre: Con una procedura inedita in Italia, la premier Giorgia Meloni ha ricevuto uno dei leader delle opposizioni parlamentari, Carlo Calenda, proprio in merito a possibili miglioramenti del testo della manovra. Ebbene come tutti sanno Calenda è stato il ministro del governo Renzi che diede il via all’esperienza di Industria 4.0 fino a farne quasi un brand del suo successivo ingresso in politica. Ed era pressoché scontato che il leader di Azione nei suoi colloqui con Meloni e i ministri competenti tirasse fuori i temi del finanziamento dell’innovazione e quindi del 4.0.
Sempre nell’articolo si cita il significativo commento di Stefano Firpo, oggi direttore generale di Assonime e primo estensore del Piano 4.0, che ha ricordato come la manovra varata con Calenda è stata sicuramente un’esperienza di politica industriale che ha funzionato, perché è riuscita a concentrare sull’obiettivo risorse significative e ha utilizzato il tradizionale canale di ammodernamento tecnologico degli imprenditori italiani (il rinnovo del parco macchine). Così l’articolo: Più Pmi ne hanno usufruito, ma in misura (finanziaria) minore. È una fase che è stata scandita dai due governi presieduti da Giuseppe Conte e che hanno visto come responsabili del Mise prima Luigi Di Maio e poi Stefano Patuanelli. «Al di là però dell’avvicendarsi di ministri, che magari avevano una visione differente del 4.0 e delle platee di riferimento, un limite che non si è riusciti a valicare è stato quello di non aver creato — come era nelle ambizioni di partenza — quella infrastruttura di politica industriale che è la forza dei nostri partner europei e che alle nostre Pmi sarebbe servita come il pane», spiega Firpo. La parola d’ordine iniziale era «costruiamo i Fraunhofer italiani» con riferimento a quelle “case” dell’innovazione e del trasferimento tecnologico vanto del sistema tedesco, ma onestamente non è andata così.
L’articolo si chiude con la considerazione che bisognerà incominciare a concretizzare un nuovo dialogo tra governo Meloni e Confindustria, che può che orientarsi alla ricerca di soluzioni costruttive e non conflittuali. Come ha ribadito anche Alfredo Mariotti, direttore di Ucimu, il presupposto è quello di rendere «strutturale» il finanziamento del 4.0.
Cambio al vertice di Vodafone: lascia a fine dicembre Nick Read, attuale amministratore delegato del Gruppo e arriva l’Italiana Margherita Della Valle. Una decisione repentina, tanto è vero che la Della Valle, attuale responsabile finanza del Gruppo, manterrà ad interim anche questo incarico in attesa che la ricerca di un nuovo group chief executive da parte del consiglio di amministrazione porti all’individuazione di un nuovo amministratore delegato. Rivolgono attenzione al tema diversi organi di stampa, fra cui La Repubblica con un articolo a firma di Sara Bennewitz pubblicato lo scorso 6 dicembre: Dopo quattro anni alla guida di Vodafone, Read lascia le sue deleghe a interim a Margherita Della Valle, attuale cfo del gruppo, numero due nei piani di successione, per anni braccio destro di Vittorio Colao. L’ex ministro del governo Draghi è stato ceo di Vodafone dal 2008 al 2018. Della Valle è una delle quindici donne più in vista del Ftse 100, l’indice principale della Borsa di Londra: bocconiana doc – tanto che quest’anno è stata insignita del premio Alumni dell’università milanese – si è sempre spesa in prima persona per la parità di genere e per agevolare la crescita delle quote rosa ai vertici delle aziende quotate. Chi la conosce la descrive come una donna preparata e una lettrice indefessa, amante dei libri che raccontano le avventure dell’esploratore Ernest Henry Shackleton, noto per aver portato in salvo tutta la sua squadra da una drammatica spedizione al Polo sud. Sposata con due figli, viene descritta dai suoi collaboratori come una manager che sa ascoltare, che si spende in prima persona e che va al lavoro a piedi.
A questo punto, come sottolinea l’articolo su La Repubblica, toccherà alla 57enne Della Valle, tirare le fila del gruppo, e provare a ripartire proprio dall’Italia, trovando anche un compromesso con l’azionista Niel. Ricordiamo infatti che Iliad, nel marzo scorso, aveva offerto 11,2 miliardi di euro per la divisione italiana del Gruppo Vodafone. Ma allora il board, sotto la guida di Read, aveva rigettato l’offerta di Niel perché «non era nel miglior interesse degli azionisti di Vodafone». Sempre nell’articolo si ricorda: «Un cambio al vertice ha senso solo se il nuovo ad ha una strategia chiara e condivisa con il board – ha dichiarato ieri Niel, strizzando l’occhio a Della Valle – e questa road map dovrebbe puntare a razionalizzare Vodafone: vendere le infrastrutture approfittando degli alti multipli del settore per ridurre i debiti, puntare sulla generazione di cassa e migliorare i margini».
“Sono stati salvaguardati circa 430 milioni di euro”, ha commentato il Ministro per le imprese e Made in Italy, Adolfo Urso. La Ue ha approvato la misura, che era in scadenza il 15 dicembre, per i sostegni alle imprese, soprattutto PMI, per i servizi di connettività in banda ultralarga. Inoltre, sempre il Ministro, ha affermato che sono in corso interlocuzioni con la Commissione europea per come utilizzare le risorse del PNRR anche dopo la scadenza del 31 dicembre. Dedica attenzione al duplice tema Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo a firma di Federica Meta pubblicato lo scorso 6 dicembre: “È arrivata al nostro ministero l’autorizzazione della Commissione europea per prorogare nel 2023 i voucher per la banda ultralarga destinati alle piccole e medie imprese e ai professionisti con partita Iva – ha detto Urso – Questa decisione permetterà di salvaguardare oltre 430 milioni, quasi tre quarti delle risorse che erano state complessivamente stanziate, che erano rimasti non utilizzati, che oggi siamo in condizione di poter assegnare e che saranno usati il prossimo anno”. La misura sarebbe scaduta il 15 dicembre e per questo il ministero delle Imprese aveva chiesto il prolungamento fino al 31 dicembre del prossimo anno. La misura si rivolge alle imprese e alle persone fisiche titolari di partita Iva presenti su tutto il territorio nazionale che potranno richiedere un contributo, da un minimo di 300 euro ad un massimo di 2.500 euro, per servizi di connettività a banda ultralarga da 30 Mbit/s ad 1 Gbit/s (e superiori).
Sempre nell’articolo si sottolinea come la misura è coerente con la Strategia Italiana per la banda ultralarga, che detta i principi in base ai quali sono adottate le iniziative pubbliche a sostegno dello sviluppo delle reti in Italia, ed è finanziata con i Fondi Sviluppo e Coesione (FSC) 2014-2020. Ancora nell’articolo si ricorda che in audizione il Ministro si è anche soffermato sul piano Transizione 4.0, per il quale non sono previste misure ad hoc nella manovra 2023 ma che verrà finanziato, stando alle intenzioni del governo, in provvedimenti successivi: La Corte dei conti ha evidenziato l’impatto che le misure per la Transizione 4.0 e la Nuova Sabatini hanno sul sistema Paese. In particolare la Nuova Sabatini nel corso degli anni “si è mostrata efficace nell’aiuto al finanziamento degli investimenti privati, in particolare in quelli utili alla trasformazione digitale”, spiega la magistratura contabile. “Negli ultimi esercizi lo strumento agevolativo ‘Nuova Sabatini’ è stato destinatario di un flusso costante di stanziamenti, in ragione della domanda elevata da parte delle imprese”, si legge nel documento Audizione sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025. In dettaglio, la spesa stanziata ammonta a circa 500 milioni nel 2020, 1,5 miliardi nel 2021 e circa 600 milioni nel 2022. A legislazione vigente le risorse previste ammontano a 500 milioni per il 2023 e 300 milioni per il 2024.
Il fondo statunitense Kkr sarebbe nuovamente disponibile a lanciare un’offerta su Tim ma solo se anche il governo Meloni “accetta di essere un partner nell’affare”. I rumors rilanciati dall’agenzia Bloomberg e ripresi da tutti i principali organi di stampa hanno fatto fare un balzo al titolo del 4%. Il fondo, secondo l’agenzia, vorrebbe creare una joint venture con una società o un veicolo partecipato dallo Stato. Dedica attenzione all’argomento anche Il Corriere della Sera, con un articolo pubblicato lo scorso 10 dicembre: Kkr ci riprova con Tim. Il fondo americano che un anno fa era pronto a lanciare un’Opa da 11 miliardi per l’intera società di telecomunicazioni, ieri si sarebbe fatta di nuovo avanti e starebbe valutando un’offerta, questa volta però solo per la rete e a condizione che il governo accetti di essere partner nell’operazione. L’indiscrezione di Bloomberg, piombata nel mezzo delle strategie dell’esecutivo Meloni sull’ex monopolista di Stato, ha sferzato il titolo, salito del 4% e attestatosi a 0,20 centesimi di euro a fine seduta. Kkr — che già possiede una quota di minoranza in Fibercop, la controllata di Tim specializzata in fibre ottiche, del valore di 2 miliardi di euro — avrebbe recapitato a Roma la sua disponibilità, ma solo come parte di una joint venture con un’azienda sostenuta dallo Stato o nel caso venisse creato un nuovo veicolo finanziario di proprietà pubblica.
Kkr sarebbe quindi interessato anche a soluzioni che il Governo stesso potrebbe proporre. Sempre secondo le indiscrezioni raccolte dagli organi di stampa, il fondo però avrebbe detto chiaramente che sarebbe pronto solo a valorizzare la rete, nessuna Opa all’orizzonte. Probabile che a rispondere a questi requisiti sia di nuovo Cassa Depositi e Prestiti, socia al 10% della telco, e nei giorni scorsi ritiratasi dall’offerta per acquisire l’infrastruttura di Tim e fonderla con Open Fiber creando così la rete unica. Nell’articolo del Corriere della Sera si sottolinea: L’esecutivo però avrebbe già manifestato chiaramente il suo orientamento, ovvero non cedere la maggioranza della società di Tlc ai fondi. Il memorandum of understanding che prevedeva l’offerta di acquisto della rete con Cdp al 35% e Kkr e Macquarie al 65% si sarebbe arenato anche per questi motivi. Il sottosegretario con delega all’Innovazione, Alessio Butti, ha confermato che «per ora» non c’è alcuna un’acquisizione completa di Telecom Italia. Secondo altre indiscrezioni riportate invece da Reuters, sarebbe la stessa Tim a sondare l’interesse degli investitori per i suoi asset e il ceo Pietro Labriola starebbe lavorando per la Netco in particolare con il fondo Usa, ma avrebbe preso contatti pure con Iliad e Poste.