Secondo il report di aggiornamento recentemente pubblicato da Open Fiber, la velocità di costruzione dell’infrastruttura nelle cosiddette Aree Bianche è in linea con le tempistiche condivise nel giugno scorso con Infratel ed il MISE e presentate ad inizio luglio al Comitato Interministeriale per la Transizione Digitale. Dedica attenzione al tema Borsa Italiana, con un articolo pubblicato lo scorso 29 novembre sulla propria testata online: Al 31 ottobre 2022, infatti, sono stati realizzati oltre 53.000 km di rete, ovvero il 60% del totale previsto dal piano. Nei soli 10 mesi da inizio 2022 al 31 ottobre sono stati costruiti circa 15.500 km di infrastruttura, che si prevede saliranno a circa 20.000 per fine anno: in soli 12 mesi, quindi, i km realizzati saranno più del 50% dei 37.000 km circa costruiti nei quattro anni che vanno dall’inizio delle attività nel 2017 a fine del 2021. “Con oltre centomila chilometri di infrastruttura costruita, già oggi abbiamo la rete di accesso in fibra più estesa d’Italia, abbiamo investito 4,5 miliardi di un piano che vale 15 miliardi ed il prossimo anno prevediamo di investirne altri due. In sintesi: abbiamo iniziato a correre”, commenta l’Amministratore delegato del gruppo Mario Rossetti sulle pagine del Corriere della Sera.
Come sottolineato nell’articolo, i Comuni oggi coperti dall’infrastruttura FTTH di Open Fiber sono 3.770, pari a circa il 60% del totale dei 6.232 comuni previsti dalla Concessione Infratel. A questi Comuni corrispondono circa 3,47 milioni di Unità Immobiliari (+43% rispetto alla fine del 2021). Dalla fine del 2021 sono stati completati 1.160 nuovi Comuni per circa 1,05 milioni di nuove Unità Immobiliari (2,64 milioni di Unità Immobiliari in vendibilità, +44% rispetto alla fine del 2021).
Sul delicato tema dei ritardi rispetto al cronoprogramma originario, lo stesso Rossetti ha dichiarato: “Ci sono stati doversi fattori che hanno ritardato i programmi sin dall’inizio a partire dalla burocrazia, altri si sono acuiti nell’ultimo anno, come la mancanza di manodopera specializzata nei cantieri”.
Ancora nell’articolo: …sulla manodopera che scarseggia il manager ha spiegato che attualmente nei cantieri sono impiegate 2000-3000 persone, ma ne serviranno 4000-5000 per completare i piani, considerando anche le aree grigie e nere.
Interessanti dati emergono dall’indagine sulla presenza in Italia dei maggiori gruppi mondiali Software & Web realizzato dall’area Studi di Mediobanca. La ricerca analizza i primi nove mesi 2022 e quelli del triennio 2019–2021 delle 25 maggiori WebSoft internazionali, con ricavi superiori a 12 miliardi di euro ciascuna, di cui 11 hanno sede negli Stati Uniti, nove in Cina, due in Germania e Giappone e una in Corea del Sud. Rivolge attenzione alla ricerca Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo pubblicato lo scorso 30 novembre, puntando prima di tutto a sottolineare lo sviluppo delle risorse umane impiegate: Il numero dei dipendenti è aumentato di circa 4mila unità rispetto al 2020: si tratta in prevalenza di assunti dal gruppo Amazon, che in Italia è quello che conta sul maggior numero di dipendenti: 11.911 nel 2021. Quanto al versante fiscale, i giganti del Web hanno versato in Italia 150 milioni di euro in tasse, pari a un tax rate del 25,1%, ma si arriva al 33,5% se a questo si aggiungono anche gli accantonamenti per il pagamento della digital service tax.
Sempre nell’articolo vengono evidenziati alcuni dati particolarmente significativi per tracciare lo scenario attuale del settore e le principali prospettive future a livello internazionale: tra gennaio e settembre 2022 i maggiori operatori sono cresciuti in termini di fatturato aggregato del +9,5% (sui primi nove mesi 2021), con situazioni diversificate a livello geografico – spiega il report di MedioBanca – il Nord America (+13,7%) tiene più di Europa e Asia la cui crescita è limitata a una singola cifra (rispettivamente +8,2% e +6,6%), con l’America Latina in forte accelerazione (+24,9%), pur con valori ancora contenuti (1,5% del fatturato complessivo). Il ritorno alla normalità dopo la pandemia si riflette nel rimbalzo dei comparti più penalizzati da Covid-19: sharing mobility (+111,6% di ricavi a/a) e vendite online di viaggi (+55,5%). L’incremento del giro d’affari appare invece più contenuto per quei settori che avevano già beneficiato dei cambiamenti nelle abitudini dei consumatori, come ad esempio il food delivery (+27,0%), cloud (+21,3%) ed e–commerce (+3,8%).
Ancora nell’articolo di Cor.Com si sottolinea: A differenza delle multinazionali manifatturiere, che nel periodo 2019-2021 hanno registrato una crescita dei ricavi del 7,6%, le WebSoft hanno marciato a un passo più sostenuto con il loro +50% di fatturato nello stesso periodo. I primi tre player, inoltre (Amazon, Alphabet e Microsoft), rappresentano la metà dei ricavi aggregati, con Amazon (414,8 miliardi di euro, di cui il 50,9% generato dal retail), in prima posizione dal 2014, che ne concentra da sola oltre un quarto.
Una fabbrica intelligente e digitale può ottenere i massimi benefici dall’evoluzione 4.0 se la transizione avviene secondo un piano strategico attentamente pianificato. È quanto emerge dal report annuale di Efeso Consulting, società di consulenza di direzione che, ogni anno, monitora le aziende industriali che hanno intrapreso strategie di trasformazioni digitali ben strutturate, evidenziando i principali risultati e premiando le iniziative più innovative. Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Raoul de Forcade pubblicato lo scorso 2 dicembre: Lo scenario macroeconomico in cui le industrie oggi si trovano a operare, con un mercato sempre più competitivo, la necessità di puntare sulla sostenibilità e quella di governare dinamiche di mercato imprevedibili spinge gli imprenditori (per lo meno quelli più illuminati) verso un’evoluzione dell’organizzazione aziendale sempre più rivolta al digitale e alla fabbrica “intelligente”. La scelta, se fatta con le dovute accortezze, è quella giusta, perché, in generale, i benefici medi raggiungibili dall’implementazione di piani di trasformazione digitale strutturati includono miglioramenti dell’efficienza dal 10 al 15% nel medio termine e dal 20 al 40% nel lungo; garantendo riduzioni dei costi energetici del 7,5%, dei consumi di materia prima del 15%, del capitale circolante del 45%, degli scarti del 55% e una riduzione della merce in magazzino del 45%.
L’implementazione di piani di trasformazione digitale, sempre secondo Efeso Consulting, ha portato miglioramenti di produttività, misurata sul costo di trasformazione, in tutti i settori monitorati. Ancora nell’articolo: L’incidenza della digitalizzazione, in programmi di questa tipologia, consente di ottenere miglioramenti del 50% nella riduzione dei costi di trasformazione: un tipico programma di eccellenza operativa tradizionale, a regime, consente di ottenere risparmi annui sul costo di trasformazione dal 4 al 7%; tuttavia, se il programma è supportato da un piano di trasformazione digitale, i risparmi possono arrivare dal 6 al 10% del costo di trasformazione. Sempre nell’articolo si sottolinea come, però, non mancano alcuni pericoli quando questo sviluppo non è affrontato correttamente. In particolare il percorso di trasformazione digitale delle aziende dovrebbe essere accompagnato da una strategia di digitalizzazione con un approccio adattato alle peculiarità dell’azienda. Il report presenta alcuni casi in cui gli investimenti per l’implementazione di tecnologie digitali sono stati concentrati solo in determinate aree del processo produttivo, senza un approccio che interessasse l’intera catena del valore. Tutto ciò ha portato a non poter sfruttare le vere potenzialità delle tecnologie digitali. Una corretta strategia di digitalizzazione deve partire dagli obiettivi di medio-lungo termine dell’azienda, declinati in opportuni target operativi di fabbrica e attraverso una valutazione dello stato di maturità digitale dell’impresa.
Lo scorso 30 novembre TIM ha emesso un comunicato conseguente alle dichiarazioni dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy in relazione al progetto di creazione di una Rete Nazionale. TIM ha manifestato la propria disponibilità a continuare il confronto nelle sedi istituzionali. Nella nota di TIM, ripresa da tutti gli organi di stampa, si poteva leggere: “In particolare, TIM proseguirà, in linea con il piano di delayering presentato al mercato lo scorso 7 luglio, a valutare tutte le opzioni strategiche, che consentano di perseguire al meglio gli obiettivi del superamento dell’integrazione verticale e della riduzione dell’indebitamento. Inoltre, il Consiglio di Amministrazione, riunitosi in data odierna sotto la presidenza di Salvatore Rossi, ha preso atto del comunicato congiunto diffuso oggi da CDP Equity, Macquarie Asset Management, e Open Fiber relativo al Memorandum of Understanding sottoscritto lo scorso 29 maggio, che può pertanto considerarsi decaduto e privo di effetti”.
Riprende il tema il Corriere della Sera in un articolo a firma di Federico De Rosa, pubblicato lo scorso 4 dicembre: Il tempo stringe. La prossima settimana il tavolo istituzionale del governo per trovare una soluzione sulla rete unica e sul futuro di TIM dovrebbe iniziare le verifiche “tecniche”.
Da parte governativa continuano intanto a moltiplicarsi gli annunci che indicano come prioritario trovare una soluzione entro fine anno per la partita della rete unica. È infatti l’intenzione dichiarata dal Ministero delle Imprese: “Tenendo conto delle priorità di valorizzare le risorse umane di Tim e dar attuazione ad una efficiente e capillare Rete Nazionale a controllo pubblico – scrive il Ministero delle Imprese – il Governo intende promuovere un tavolo di lavoro che entro il 31 dicembre possa contribuire alla definizione delle migliori soluzioni di mercato percorribili per massimizzare gli interessi del Paese, delle società coinvolte e dei loro azionisti e Stakeholder, tenendo conto delle normative esistenti a livello nazionale ed europeo e degli equilibri economici, finanziari ed occupazionali”. Nel frattempo il governo è impegnato anche nella delicata questione della legge di bilancio, nella quale il tema della rete unica si lega a sua volta alle questioni connesse all’utilizzo dei fondi del PNRR. Non sono mancati affondi anche aspri su presunti ritardi accumulati nei mesi scorsi da parte dell’amministrazione pubblica nell’impiego delle risorse.