Nei prossimi tre anni il Gruppo Enel intende concentrarsi su modelli di business integrati, know-how digitale nonché business e aree geografiche che possano aggiungere valore nonostante le complessità dell’attuale scenario. Con questo concetto di base, l’AD del Gruppo, Francesco Starace, ha presentato il piano strategico 2023-2025. Sempre secondo quanto dichiarato dall’AD, la struttura delle decisioni punta ad aumentare la resilienza di fronte a potenziali future persistenti turbolenze, oltre a posizionare la creazione di valore in un percorso di ulteriore crescita, a vantaggio di tutti gli stakeholder e accelerando l’indipendenza energetica nei Paesi core. Rivolge attenzione al tema La Repubblica, con un articolo a firma di Luca Pagni, pubblicato on line lo scorso 22 novembre e ripreso nell’edizione in carta del 23 novembre: Entrando nel dettaglio Enel punta “a un riposizionamento strategico dei business e delle aree geografiche”. Come primo passo un piano di dismissioni per 21 miliardi di euro in termini di contributo positivo alla riduzione dell’indebitamento netto: si vuole arrivare a 51-52 miliardi di euro entro la fine del 2023, dai 58-62 miliardi di euro stimati nel 2022. La società vuole sfruttare il momento “caldo” del mercato del gas per uscire completamente dal settore. mentre l’uscita dal carbone era già prevista al 2025. La riduzione del perimetro è anche geografica. Enel prevede così, entro la fine del 2025, di “conseguire una struttura più agile, focalizzandosi sui Paesi ‘core'”, quindi Italia, Spagna, Stati Uniti, Brasile, Cile e Colombia.
Sempre nell’articolo si sottolinea come le dismissioni intendono liberare risorse per nuovi investimenti: tra il 2023 e il 2025 Enel prevede di investire circa 37 miliardi di euro, di cui il 60% per la strategia commerciale integrata del Gruppo (generazione, clienti e servizi) e il 40% sulle reti per sostenere il loro ruolo nella transizione energetica. Così nell’articolo: Il colosso energetico punta a “focalizzarsi su una filiera industriale integrata verso un’elettrificazione sostenibile, soddisfacendo circa il 90% delle vendite a prezzo fisso con elettricità carbon-free nel 2025, portando la generazione da fonti rinnovabili a circa il 75% del totale, nonché digitalizzando circa l’80% dei clienti di rete”.
Come ricordato ancora nell’articolo pubblicato da La Repubblica, Starace ha anche risposto alle domande sulla sua permanenza alla guida del gruppo: Il CDA di Enel verrà rinnovato per un altro triennio la prossima primavera. Un appuntamento chiave per il nuovo governo guidato dalla premier Giorgia Meloni, visto che si rinnovano – tra gli altri – anche i vertici di Eni, Poste e Terna.
Il programma strategico “Percorso per il decennio digitale” istituisce un meccanismo di monitoraggio e cooperazione per conseguire gli obiettivi e i traguardi comuni per la trasformazione digitale dell’Europa. Tale quadro si basa su un meccanismo di cooperazione annuale che coinvolge la Commissione e gli Stati membri. La Commissione elabora le traiettorie previste dell’UE per ciascun obiettivo insieme agli Stati membri, che a loro volta proporranno tabelle di marcia strategiche nazionali per raggiungerli. La recente approvazione del Piano a livello comunitario apre di fatto le porte alla concretizzazione delle prospettive insite nel Piano stesso. Rivolge attenzione al tema Cor.Com – Il corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo a firma di Veronica Balocco pubblicato lo scorso 24 novembre: Competenze digitali: avanti tutta in Europa. La plenaria di Strasburgo del Parlamento Ue ha approvato – con 529 voti favorevoli, 22 contrari e 25 astensioni – l’accordo tra colegislatori sul programma strategico per il 2030 “Percorso per il decennio digitale” (Path to the Digital Decade), volto a garantire che l’Unione europea realizzi i suoi obiettivi per una trasformazione digitale conforme ai suoi valori. L’intesa dovrà ora essere formalmente approvata dal Consiglio prima della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
Come ricordato nell’articolo, la legislazione si pone come obiettivo primario che l’80% della popolazione di età compresa tra i 16 e i 74 anni abbia almeno competenze digitali di base. Viene inoltre sottolineato come durante i negoziati con il Consiglio, i deputati hanno chiesto che almeno il 75% delle imprese europee utilizzi servizi di cloud computing, big data e intelligenza artificiale e che oltre il 90% delle Pmi europee raggiunga almeno un livello base di intensità digitale. Quattro i punti cardinali su cui si articola la “bussola” proposta dall’Ue: competenze, infrastrutture digitali sicure e sostenibili, trasformazione digitale delle imprese e digitalizzazione dei servizi pubblici. Ancora nell’articolo: Il focus digital dell’Europa, intanto, si estende a 360 gradi anche su tutti gli altri aspetti della transizione. La costruzione del portale unico dell’Unione, in questo senso, è un esempio. Intervenendo al convegno digital Sme Alliance a Bruxelles, il vice direttore generale DG Grow, Hubert Gambs, ha spiegato che lo strumento, in fase di realizzazione, “renderà davvero più facile per le imprese accedere alle informazioni online se vogliono fare affari, ad esempio, in un altro Stato membro e anche avere accesso alle procedure che devono essere completamente online”.
Crescono le preoccupazioni sulla reale possibilità di chiudere nei tempi prefissati i principali progetti del PNRR sul digitale. A fare crescere ulteriormente le preoccupazioni le dichiarazioni del nuovo Governo, che hanno affermato come la situazione delle grandi opere infrastrutturali sarebbe più critica rispetto a quanto formalmente emerso nei mesi scorsi. In merito al Piano Italia a 1 Giga gli obiettivi dichiarati nel PNRR sono difficilmente perseguibili allo stato attuale dello scenario. Lo stesso stato di difficoltà caratterizzerebbe il piano Italia 5G. Si occupa della questione il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Andrea Biondi e Carmine Fotina, pubblicato lo scorso 24 novembre: I piani Italia a 1 Giga (fibra ottica) e 5G richiedono il rispetto delle coperture fissate dalle gare entro la metà del 2026, ma ci sono scadenze intermedie semestrali a livelli crescenti. E quelle del 2024 previste dai documenti di gara, soprattutto per la rete fissa, saranno già molto impegnative (40%), anche alla luce della mancanza di manodopera specializzata nella posa della fibra, problema sollevato più volte dagli operatori coinvolti.
Nell’articolo viene sottolineato come le gare per il pacchetto “connessioni veloci” del PNRR hanno assegnato 5,05 miliardi producendo risparmi rispetto alla base di partenza di 1,2 miliardi. È urgente decidere se confermare la destinazione di questi avanzi. Altro tema al centro del dibattito il Polo strategico nazionale, affidato alla cordata Tim-Cdp-Leonardo-Sogei con la formula del partenariato pubblico-privato, che dovrà ospitare in modalità cloud i dati più critici della Pubblica amministrazione. Così nell’articolo: C’è una scadenza immediata, cioè il collaudo tecnico dei data center entro il 31 dicembre 2022 e secondo alcuni fornitori non sarà così scontato tagliare il traguardo. E c’è un obiettivo di più lungo termine, la migrazione entro il 2026 delle Pa coinvolte (le risorse pubbliche sono pari a 900 milioni) che però, almeno per quanto riguarda le amministrazioni meno strategiche, in alternativa al Psn potrebbero scegliere anche di migrare sul cloud di uno tra gli operatori di mercato che saranno stati precedentemente certificati.
Le questioni riguardanti le TLC e la digitalizzazione si inseriscono in una più ampio intervento di monitoraggio riguardanti l’impiego dei fondi del PNRR. Il rischio complessivo di fattibilità ammonterebbe a circa 40 miliardi di euro per molteplici opere, sui 220 finanziati dal PNRR e dal Fondo nazionale complementare. Infrastrutture ferroviarie e progetti affidati ai comuni i settori in ritardo maggiore. Nei report ministeriali decine di criticità e d’imprevisti: archeologia, compatibilità ambientale, paesaggio, interferenze, slittamenti.
Il progetto di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) per dare sintesi tra la rete della controllata Open Fiber con quella della rivale Telecom Italia in una infrastruttura, è stato congelato dal nuovo esecutivo. Il Governo non ha condiviso la lettera d’intenti firmata da Cdp lo scorso maggio e che si sarebbe dovuta trasformare in un’offerta non vincolante entro mercoledì 30 novembre. Dedicano attenzione al tema tutti i principali organi di stampa, fra cui il Corriere della Sera, con un articolo a firma di Federico De Rosa pubblicato lo scorso 26 novembre: Il memorandum tra Cassa Depositi e prestiti e Tim sulla rete unica rischia seriamente di finire in un cassetto. Con l’avvicinarsi della scadenza del 30 novembre aumentano infatti le possibilità che l’offerta per la rete dell’ex monopolista non arrivi. Almeno per il momento e non nella forma prevista. Il governo avrebbe chiesto a Cdp di soprassedere per poter avere il tempo di valutare altre opzioni.
Come hanno sottolineato diversi organi di stampa, dopo mesi di lavoro il piano dell’Ad di Cdp Dario Scannapieco si trova di fronte a un freno di ordine politico. Cdp ha provato a rimodulare l’offerta, ha rinviato i termini e ha provato a definire un compromesso, anche tramite diversi ministeri, ma non si è giunti ad una decisione. Tanto è vero che il governo avrebbe chiesto un tavolo alternativo, per studiare nuove soluzioni da condividere con tutti gli stakeholders. Una indicazione che ha coinvolto sia i francesi di Vivendi (proprietari del 23,8% delle azioni di Tim), sia i rappresentati sindacali, portavoce degli oltre 40mila dipendenti del gruppo. Sempre gli organi di stampa hanno ricordato come dopo l’incontro governativo del 25 novembre sul tema “rete unica”, la premier Meloni ha deciso di affidare al sottosegretario Alessio Butti le deleghe per fare da coordinatore della questione. Butti a più volte ribadito pubblicamente la necessità di mantenere il controllo della rete Telecom in mani pubbliche, perché rilevando la maggioranza di Tim attraverso Cdp, la Cassa dovrebbe consolidare nei suoi bilanci anche tutti i 26 miliardi di debito dell’azienda telefonica.
Sempre Federico De Rosa nel suo articolo pubblicato da il Corriere della Sera puntualizza: Le consultazioni non sono comunque terminate (…) Lo stesso Butti la scorsa estate aveva fatto emergere l’esistenza di un piano di Fratelli d’Italia, “Progetto Minerva”, per creare la rete unica a controllo nazionale, con una formula diversa dall’acquisto dell’infrastruttura di Tim e la fusione con Open Fiber, la società per la rete in fibra controllata da Cassa e da Macquaire.