Vodafone Italia chiude il primo semestre del bilancio 2021-2022 con ricavi da servizi a 2.187 milioni di euro, in calo del 2,5% rispetto allo stesso semestre dell’anno precedente, anche se in costante miglioramento (+6,4 punti percentuali) nei sei mesi presi in considerazione. Dedica attenzione al tema il Corriere della Sera, in una nota stampa pubblicata lo scorso 17 novembre: Vodafone Italia, guidata dall’amministratore delegato Aldo Bisio, ha registrato nel semestre chiuso il 30 settembre ricavi totali stabili per 2,5 miliardi di euro con “i minori ricavi per servizi compensati da maggiori ricavi per apparecchiature”. L’Adjusted Ebitda è in aumento del 14,7% a 917 milioni, beneficiando di 105 milioni dalla risoluzione di controversie legali senza le quali sarebbe stato comunque in crescita sdel’1,6%. “Il miglioramento del trend è dovuto alla stabilizzazione dei ricavi da roaming e dai visitatori stranieri in Italia”, “nonché alla crescita del segmento wholesale”, spiega una nota.

Il Gruppo supera quindi le attese degli analisti: revenues a 22,5 miliardi, pari a un balzo del 5%. I clienti in banda larga hanno superato i tre milioni, in crescita dell’1,7% rispetto allo stesso semestre dell’anno precedente. I servizi in fibra di Vodafone raggiungono 24,4 milioni di famiglie e imprese, di cui 8,6 milioni di unità immobiliari attraverso la propria rete ultra broadband e la partnership con Open Fiber. Sul fronte del brand ho, la divisione low cost ha raggiunto i 2,7 milioni di clienti.

Secondo l’Ftth Council Europe è necessario accelerare sui piani di spegnimento delle reti in rame per spingere la diffusione del Vhcn e in particolare della fibra. Sempre secondo l’Associazione “La transizione deve essere preparata in modo che nessun cittadino o impresa venga lasciato indietro”. Rivolge attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle comunicazioni, con un editoriale del suo Direttore, Mila Fiordalisi, pubblicato lo scorso 19 novembre: Spegnimento del rame e digitalizzazione dei servizi pubblici: sono questi, secondo l’Ftth Council Europe, le leve su cui fare forza per spingere la domanda di fibra che continua a non essere in linea con la disponibilità di infrastrutture a livello europeo. Nel ricordare i dati appena pubblicati dalla Commissione Ue nel Desi le reti ad altissima capacità Vhcn sono disponibili per il 59% delle famiglie rispetto al 50% di un anno fa (e stando alle stime si salirà all’80% entro il 2026) – l’associazione evidenzia però che il gap resta forte fra offerta e domanda e invita i responsabili politici a prendere in considerazione alcune misure per massimizzare il potenziale degli investimenti interamente in fibra. Determinante la digitalizzazione dei servizi pubblici, peraltro riconosciuta come asse portante dalla Commissione Europea nell’ambito del Next Generation Eu. “In combinazione con misure sul lato della domanda come i voucher, può essere un forte incentivo per i cittadini a usufruire di servizi in fibra”.

Nell’articolo di Mila Fiordalsi si ricorda come anche il raggiungimento degli obiettivi delle transizioni gemelle (verde e digitale) avrà un impatto sull’adozione della fibra: “La fibra è la tecnologia più a prova di futuro ed efficiente dal punto di vista energetico ed è la chiave per allineare le agende digitali e di sostenibilità”. Pertanto, l‘Ftth Council Europe “ritiene che i decisori politici dovrebbero prendere in considerazione il cambiamento delle politiche pubbliche passando da un approccio votato alla neutralità tecnologica ad uno più orientato a sostenere la fibra ottica.

Come molti dei dossier economici del nostro Paese, anche una delle questioni centrali per le telecomunicazioni e la digitalizzazione dell’Italia passa da Bruxelles. Esprimendosi sulle dinamiche evolutive di Open Fiber, la Commissione europea ha chiesto infatti assicurazioni prima di dare il via libera all’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti e fondo Macquarie. Ne parla il quotidiano La Repubblica in uno specifico articolo a firma di Claudio Tito, pubblicato lo scorso 20 novembre: E un via libera apparentemente neutrale come quello concesso la scorsa settimana dall’Antitrust comunitario all’operazione Open Fiber, in realtà cela l’orientamento della Commissione Ue: la rete unica, almeno nelle condizioni attuali, in Italia non si può fare. Cosa è accaduto? L’11 novembre scorso gli uffici della Concorrenza europea ha acceso il disco verde per la “salita” di Cdp dal 50 al 60 per cento in Open Fiber (società nata per costruire la rete a banda ultralarga) e per l’acquisizione del restante 40 per cento da parte del fondo austrialiano Macquarie, che subentra a Enel. Nel dossier presentato agli uffici di Bruxelles per avere il via libera all’operazione erano illustrati anche alcuni specifici patti tra i due azionisti. E tra questi ce ne era uno in cui Macquarie si impegnava a valutare positivamente una eventuale operazione riguardante la rete unica. Quindi a sostenerla e a finanziarla. La Commissione su quel punto è stata netta: o eliminate quel “patto” o non diamo il nostro ok. Sostanzialmente l’Antitrust ha posto come condizione che si cancellasse il riferimento alla rete unica. In primo luogo perché questo è l’indirizzo dell’Ue. E poi perché, in caso contrario, si sarebbe aperto tutto un altro capitolo, su cui svolgere un esame ulteriore.

Come ricorda Tito nel suo articolo, già in passato l’Antitrust aveva spiegato che in linea puramente di principio non poteva essere esclusa un’infrastruttura del genere. Ma che si tratterebbe quasi di un unicum nell’Unione e che comunque sarebbe compatibile con la legislazione europea solo se quel soggetto fosse in grado di assicurare la totale neutralità rispetto agli operatori telefonici e televisivi. La presenza di attori verticalmente integrati, anche in una posizione di minoranza ma rilevante, rischierebbe di non superare il vaglio dell’anticoncorrenza.

Sempre nell’articolo si sottolinea come che la posizione assunta in questa vicenda dall’esecutivo europeo impatta anche sulle scelte di Tim. Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi, del tutto informale, circa la disponibilità della stessa Tim a partecipare a una società per la rete unica scendendo sotto il 50 per cento delle azioni. Una opzione di importanza non secondaria per una società telefonica che detiene la proprietà integrale della vecchia rete in rame.

Il fondo d’investimento USA KKR ha dichiarato una manifestazione d’interesse, allo stato non vincolante e indicativa, a lanciare un’Opa totalitaria finalizzata al delisting che sarebbe valida al raggiungimento di almeno il 51% del capitale. Il consiglio di amministrazione di Telecom ha preso atto della proposta arrivata dal fondo Usa Kkr, già partner della compagnia in FiberCop. Dedica attenzione alla notizia, che movimenta ulteriormente lo scenario delle TLC italiane , il quotidiano Il Sole 24 ore, con un articolo a firma Antonella Olivieri pubblicato il 21 novembre.

La nota Telecom riferisce che Kkr ha qualificato la propria manifestazione d’interesse come «amichevole» e che aspira a ottenere «il gradimento degli amministratori della società e del management», nonché il gradimento del Governo visto che Telecom detiene diversi asset considerati strategici sui quali insiste il golden power. L’operazione è condizionata allo svolgimento di una due diligence confirmatoria, della durata ipotizzabile di quattro settimane. La cosa strana è che ieri il consiglio, non avendo deliberato, non avrebbe dato il via libera alla due diligence richiesta dal fondo. Non è stato possibile ottenere da Telecom un chiarimento su quando e come sarà data una risposta al partner americano. (…) Nessun dettaglio è stato fornito sul progetto, ma – secondo quanto risulta, Kkr ha intenzione di valorizzare i singoli asset del gruppo, offrendo a termine, nel giro di qualche anno, la rete a Cdp. In questo modo, negli intenti, sarebbe sciolto il nodo del golden power. Probabilmente occorrerebbe fare una riflessione anche su Sparkle (la rete dei cavi internazionali) e sui Data center.

Come sottolineato nell’articolo di Antonella Olivieri, il Governo ha preso atto dell’interesse manifestato per Tim da investitori istituzionali qualificati. Nello stesso tempo l’importanza e la delicatezza della questione hanno portato il Governo a decisioni rapide. Così nell’articolo: Sull’operazione, è la linea dettata dall’Economia, vigilerà un super comitato di ministri ed esperti che ne monitorerà gli sviluppi. Nel comitato, secondo quanto si apprende, dovrebbero figurare i ministri dell’Economia Daniele Franco, dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, dell’innovazione digitale Vittorio Colao, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, il sottosegretario con delega ai servizi segreti Franco Gabrielli, il consulente economico di Chigi Francesco Giavazzi e il capo di gabinetto del Mef Giuseppe Chinè.

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