Nelle bozze del disegno di legge per la concorrenza sono stati posti due articoli che, in poche righe, dovrebbero favorire la competizione nel mercato della banda ultralarga. Un intervento ritenuto necessario da Palazzo Chigi anche in vista della gara che assegnerà i 3,8 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destinati al progetto “Italia a 1 Giga”. Dedica attenzione al tema Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Carmine Fotina pubblicatolo scorso 2 novembre: Con una modifica del decreto legislativo 33 del 2016, si punta a rendere la vita molto più difficile ai gestori di un’infrastruttura (idrica, elettrica, stradale, ferroviaria) e agli stessi operatori di rete TLC che volessero negare l’accesso a un’altra compagnia di telecomunicazioni. E si stabilisce l’obbligo di coordinamento per le opere di genio civile relative all’installazione delle reti. Gli interventi sembrano stare a cuore al governo in vista degli assetti di mercato e dello sviluppo della rete in fibra che si concretizzeranno con il progetto “Italia a 1 Giga”. Si vogliono aggirare possibili ritardi dovuti ai veti delle società che gestiscono le infrastrutture dei servizi locali ma, anche, possibili complicazioni legate alla competizione tra società di TLC. Da questo punto di vista, ad esempio, si guarda con attenzione agli sviluppi regolamentari dell’offerta di coinvestimento notificata da Tim per Fibercop, la newco per la fibra ottica all’ingrosso in cui sono soci anche Fastweb e il fondo Kkr.
Come sottolineato nell’articolo di Fotina, l’intervento allo studio prevede che il gestore dell’infrastruttura e l’operatore di rete che rifiutino a un concorrente l’accesso per ospitare elementi di rete ad alta velocità dovrà motivare il diniego allegando documenti che provino la supposta inidoneità di ogni singola tratta oggetto di richiesta. La medesima motivazione, con relativa documentazione, è necessaria anche se si opporrà l’indisponibilità di spazio. I motivi del rifiuto dovranno essere esplicitati per iscritto entro 1 mese (e non più 2 come oggi) dalla data di ricevimento della domanda d’accesso. Così nell’articolo: Si tratta in altre parole di una serie di vincoli che, nelle intenzioni del governo, dovrebbero scoraggiare eventuali rifiuti immotivati, strumentali o mossi da una mera logica anticoncorrenziale. Una garanzia ritenuta importante anche in vista della gara sui fondi del Piano di ripresa e resilienza in arrivo all’inizio del 2022: per evitare che chi si aggiudicherà i lotti chiuda senza validi motivi l’accesso a determinati operatori. L’intenzione di non sprecare nulla della gara da 3,8 miliardi muove anche il secondo intervento allo studio, volto al coordinamento delle operazioni di scavo. Qui lo scopo sembra essere anche quello di evitare che si pianifichino investimenti privati con il fine di spiazzare i piani degli operatori rivali finendo per duplicare inutilmente le infrastrutture e per vanificare in alcuni casi gli interventi finanziati dallo Stato. Ogni gestore di infrastrutture e ogni operatore di rete che esegue direttamente o indirettamente opere di genio civile per l’installazione delle reti in fibra avrà l’obbligo di coordinarsi con altre società che hanno dichiarato piani di realizzazione nella stessa area. Il coordinamento riguarderà permessi, opere da eseguire, condivisione dei costi. L’Authority per le comunicazioni potrà imporre le modalità di coordinamento e in caso di inadempienza scatteranno sanzioni.
Secondo l’agenzia Finanziaria Bloomberg l’amministratore delegato di Tim, Luigi Gubitosi, sarebbe pronto a rinunciare al controllo della rete di Telecom Italia, un asset che vale miliardi di euro, per rilanciare l’accordo con Open Fiber sulla creazione di una società per la rete unica. La nuova versione del piano messo a punto da Tim ha anche lo scopo di affrontare preoccupazioni della Commissione Ue sul fatto che l’integrazione con Open Fiber potrebbe ostacolare la concorrenza. Dedica attenzione al tema La Repubblica in uno specifico articolo a firma Sara Bennewitz, pubblicato lo scorso 5 novembre: Le indiscrezioni rilanciate da Bloomberg circa la possibilità di dar vita a una rete unica con l’infrastruttura di Open Fiber — con un assetto tale da portare Telecom in minoranza — hanno fatto volare le azioni in Borsa. Salvo correggere di poco dopo la precisazione della società secondo cui nessun progetto di questo tipo è mai stato discusso in cda. Il prossimo consiglio straordinario di Tim è convocato per giovedì 11, a valle dell’atteso via libera della Ue (in agenda per il 10) al consolidamento da parte di Cdp del 60% di Open Fiber, la rete in fibra concorrente a quella dell’ex monopolista. Il consiglio della prossima settimana ha all’ordine del giorno questioni di governance, ed è stato convocato su istanza dei due esponenti di Vivendi (primo azionista con il 23,9%), avallato anche da tre amministratori indipendenti.
Come si ricorda nell’articolo, la società francese che in principio non aveva votato a favore della nomina di Luigi Gubitosi, in un secondo momento ha appoggiato l’ad, tanto da supportare la lista del management, votata dal 99% dei soci presenti in assemblea lo scorso marzo. Così nell’articolo: Tuttavia, dopo due allarmi utili in tre mesi — e data la persistente debolezza del titolo — Gubitosi non avrebbe più la fiducia del suo maggior azionista. Cassa Depositi e Prestiti (secondo socio di Tim con il 9,9%) non si sarebbe ancora espressa ufficialmente al riguardo. È infatti ancora in corso l’analisi dell’Antitrust Ue, che deve stabilire se sia di ostacolo alla concorrenza il fatto che Cdp salga dal 50 al 60% di Open Fiber, in seguito all’operazione che ha portato all’uscita di Enel e all’ingresso del fondo australiano Macquarie, la cui conclusione è prevista per fine anno. Fonti finanziarie si aspettano che al cda dell’11, Cdp palesi la sua opinione al riguardo.
Secondo gli analisti finanziari, Tim dovrebbe conservare una partecipazione di minoranza nella nuova società che nascerebbe dal matrimonio tra FiberCop (rete secondaria) e Open Fiber.
Nel consiglio di amministrazione di ENEL tenutosi lo scorso 4 novembre, sono stati presentati e approvati i risultati dei primi nove mesi dell’anno. Al tema il Corriere della Sera dedica uno specifico articolo, a firma di Fausta Chiesa, pubblicato lo scorso 5 dicembre: Investimenti e gigawatt di rinnovabili in crescita per il gruppo Enel, che ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con ricavi a 57.914 milioni di euro (+17,1%), un Ebitda ordinario a 12.631 milioni (-3,9%) e un utile netto ordinario a 3.289 milioni (-8,5%). I risultati sono stati approvati ieri dal consiglio di amministrazione presieduto da Michele Crisostomo, che ha confermato la guidance per l’intero anno (Ebitda ordinario compreso tra 18,7 e 19,3 miliardi, utile netto ordinario tra 5,4 e 5,6 miliardi) e deliberato la distribuzione di un acconto sul dividendo per l’esercizio 2021 pari a 0,19 euro per azione, in crescita dell’8,6% rispetto all’acconto distribuito a gennaio di quest’anno, che verrà messo in pagamento a decorrere dal 26 gennaio 2022. L’aumento del fatturato – spiega la nota – «è attribuibile ai maggiori ricavi di tutte le linee di business e, in particolare, di Generazione Termoelettrica e Trading, Enel Green Power e Mercati Finali per le maggiori quantità di energia venduta, di Infrastrutture e Reti per le maggiori quantità trasportate e di Enel X. Tali effetti hanno più che compensato il negativo andamento dei cambi in America Latina».
Come sottolineato all’interno dell’articolo, gli investimenti salgono del 20,4% a 7.9 miliardi. La crescita è principalmente attribuibile alla crescita degli investimenti in Infrastrutture e Reti, in Enel Green Power, nei Mercati finali e in Enel X. Così nell’articolo: «Nei primi nove mesi del 2021 — ha commentato il Ceo Francesco Starace — abbiamo continuato il percorso di crescita industriale, registrando un miglioramento della performance operativa in tutte le linee di business». Starace ha confermato la politica dei dividendi: la cedola complessiva sull’esercizio 2021 è pari a 0,38 euro ad azione. L’indebitamento finanziario netto sale a 54.389 milioni da 45.415 milioni a fine 2020 (+19,8%) «principalmente per gli investimenti del periodo – si legge sempre nella nota – per l’acquisizione di un’ulteriore quota di partecipazione in Enel Américas e per l’effetto cambi negativo». I risultati sono stati spiegati in conference call dal Cfo Alberto De Paoli. Su Open Fiber — ha detto — «confermiamo il closing del deal nel quarto trimestre, abbiamo ottenuto le autorizzazioni relative alla golden power e sappiamo che l’Antitriust europea sta ultimando il giudizio finale per dare l’autorizzazione ed è attesa a metà di questo mese».
Da ricordare infine che la nuova capacità installata di rinnovabili è di 4 gigawatt e a fine anno dovrebbe superare i 5 Gwh. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, includendo anche i volumi da capacità gestita, ha raggiunto i 88,1 TWh (+4%), più della produzione da fonte termoelettrica (63,5 TWh).
In occasione dell’evento annuale “Quadrato della Radio” recentemente tenutosi Cernobbio sarebbero tra le 10mila e 12mila le stazioni radiobase che necessitano di backhauling in fibra e che potrebbero dunque rientrare nella gara 5G a cui lavora il Governo nell’ambito dell’allocazione dei fondi del PNRR. Sottolinea l’importanza del tema Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni, in un editoriale del suo Direttore, Mila Fiordalisi: La mappatura effettuata da Infratel (gli operatori avranno tempo fino al 26 luglio per inviare tutta la documentazione) – e si tratta di un’assoluta prima europea – ha riguardato l’intero territorio nazionale con l’obiettivo di verificare quali aree sono già coperte da reti mobili 4G e 5G e soprattutto quali saranno coperte con la quinta generazione mobile sulla base dei piani degli operatori considerato il quinquennio 2021-2026, evidenziandone le caratteristiche anche in termini di backhauling delle stazioni radio base. I dati della mappatura non sono ancora stati ufficialmente resi noti ma da quanto emerso alla convention di Cernobbio le stazioni “vetuste” sono comprese fra le 10mila e le 12mila unità. La gara per il 5G vale circa 2 miliardi e sulla base delle direttive della Commissione europea potrà essere finanziata esclusivamente la parte passiva delle infrastrutture (stazioni radiobase, tralicci ecc) e non quindi quella attiva (le antenne) per la copertura “generica” del territorio nazionale. Nella partita rientra dunque a pieno titolo il backhauling considerato il “cappello” Vhcn, alias le reti a banda ultralarga ad altissima velocità.
Come ricorda Mila Fiordalisi nel suo articolo, la mappatura 5G effettuata da Infratel per ora non è stata pubblicata e, stando a quanto risulta, l’obiettivo del ministro Vittorio Colao sarebbe di rendere noti i dati contestualmente alla presentazione del Piano Italia 5G che dovrà essere messo a consultazione e da presentare a Bruxelles.