“L’Italia è per noi molto importante in questo momento per le opportunità che offre”, hanno recentemente affermato i vertici della società australiana. Ed hanno ribadito che sulla rete unica in Itala restano aperti a soluzioni che sosterranno l’inclusione digitale e gli interessi dei loro investitori. Dedica attenzione al tema il settimanale L’Economia del Corriere della Sera, con un articolo a firma di Alessandra Puato, pubblicato lo scorso 24 gennaio: Macquarie vuole investire ancora in Italia, che considera centrale nello sviluppo delle infrastrutture dalla banda larga ai big data, al cloud, all’energia rinnovabile. Perciò intende aprire un quartier generale entro i prossimi sei mesi a Milano. Azionista di Open Fiber al 40% (pagato 2,12 miliardi) e di Autostrade per l’Italia al 21,5% (2,27 miliardi), al fianco del socio pubblico-privato Cassa depositi e prestiti, il gruppo australiano ha «grandi progetti sul Paese». Li raccontano Roberto Purcaro, a capo di Macquarie Capital Italia, e Nathan Luckey che guida in Europa la squadra Digital Infrastructure di Macquarie asset management, il maggiore gestore di infrastrutture al mondo con beni in gestione per 459 miliardi. Il gruppo australiano, che sta investendo in Europa attraverso il sesto fondo da 6 miliardi, si chiama fuori dall’infuocato dibattito di queste settimane sulla rete unica fra Tim e Open Fiber, la società per portare fibra ottica in tutta Italia dove Cdp ha oggi il 60% e dal cui azionariato Enel è uscita. Vada come vada, è il ragionamento, Open Fiber è un bene che vale di per sè. Ma sulla rete unica, in linea di principio, non c’è opposizione. Dipenderà dal risultato sulla digitalizzazione del Paese. La fase attuale è vista come un momento di collaborazione fra gli operatori, non di contrapposizione.

Come sottolinea Alessandra Puato nel suo articolo, Macquire ha dichiarato inoltre che l’obiettivo per loro come per gli altri grandi player delle Tlc è coprire davvero il divario digitale del Paese. Per Macquire è possibile attuare implementazioni del programma di sviluppo sulla rete tali da portare l’Italia ad avere nei prossimi cinque-sette anni una delle migliori reti digitali d’Europa: Sul digitale c’è la spinta maggiore. «Se il governo, come ha annunciato, risolverà il problema delle aree grigie attraverso le gare, l’Italia avrà una connessione forte e potrà risalire la classifica europea – dice Luckey -. Open Fiber ha le potenzialità per diventare ancora più grande, ma c’è ancora molto lavoro da fare». «Le gare con Infratel ci consentiranno di avere un modello di cooperazione con altri operatori, anche attraverso i fondi del Pnrr – nota Purcaro -. Ma il piano in Italia va oltre la rete. Cloud e data center sono essenziali per la transizione digitale».

Con smartphone, laptop, tablet siamo in grado di rimanere sempre connessi. il mondo virtuale è sempre più a portata di mano. Lo smart working ha ulteriormente intensificato il tempo e le modalità di connessione, rendendo sempre più labili i confini tra lavoro e vita privata. Ma gli esperti dicono: ogni tanto meglio “Staccare la spina” dai dispositivi elettronici. Inutile negare l’utilità dei dispositivi digitali: ci aiutano migliorare l’efficienza e la rapidità del lavoro e delle comunicazioni. Tuttavia, una eccessiva attività online sottrae tempo ed energie alla salute mentale e fisica. L’uso continuo della tecnologia può portare, infatti, a una vera e propria dipendenza da smartphone. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la disconnessione dagli stimoli forniti dal mondo digitale offrirebbe al sistema nervoso la possibilità di “spegnere” e riequilibrarsi. Dedica all’argomento attenzione il magazine Affari&Finanza, settimanale allegato al quotidiano La Repubblica, con un articolo pubblicato lo scorso 24 gennaio: “Così molte aziende – afferma Massimo Begelle, Regional manager di Top Employers Insitute – in attesa che si arrivi ad un regolamentare il diritto alla disconnessione a livello legislativo, stanno cercando di garantire il benessere dei dipendenti, con iniziative per favorire uno stop ed evitare il fenomeno della connessione perenne(…) La situazione in Italia la fotografa la Randstad, multinazionale olandese di servizi per le risorse umane. Questa ha osservato che sette lavoratori italiani su dieci (71%) rispondono ai messaggi inviati al di fuori dall’orario di lavoro, quasi lo stesso numero lo fa immediatamente (68%) per sentirsi coinvolto o perché le aziende se lo aspettano”.

In molti casi però questa ansia non è giustificata. Gli esperti chiamano questo fenomeno FOMO, acronimo per l’espressione inglese fear of missing out, letteralmente: “paura di essere tagliati fuori”. In genere questa espressione fa riferimento ad una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti. Considerando questa situazione cresce il dibattito sulla opportunità di applicare una vera e propria “fascia oraria di disconnessione”, meglio se indicata dalle aziende stesse.

Il manager che ha preso il testimone di Gubitosi sta preparando il piano industriale che sarà presentato in CdA il prossimo 2 marzo. Le indiscrezioni della stampa parlano apertamente della possibilità di arrivare ad una separazione della rete dai servizi. Resta da capire se accadrà con l’appoggio degli attuali soci di maggioranza (Vivendi-Cdp) o con la partecipazione anche del fondo USA Kkr. Fra le molte testate che dedicano spazio al tema il Corriere della Sera, con un articolo a firma Federico De Rosa pubblicato lo scorso 27 gennaio: Labriola sta definendo un percorso che attraverso il rilancio dei singoli business punta a far emergere valore da Tim e a riposizionare l’attività dividendo i destini della rete da quello degli asset “di mercato”, i servizi. Nel corso della riunione, il manager «ha evidenziato come sia necessario intraprendere un percorso di trasformazione delle offerte e dei servizi alle persone e alle famiglie e sviluppare i servizi alle imprese nell’ambito del Cloud, IoT, Cybersecurity» ha spiegato Tim in una nota, in cui si sottolinea «l’importanza di assicurare all’infrastruttura di rete una prospettiva industriale di crescita, che sia stabile e duratura nell’interesse di tutti gli stakeholder». Una strada che passerebbe per una scissione. Il consiglio ha dato mandato a Labriola «di esplorare possibili opzioni strategiche mirate a massimizzare la creazione di valore per gli azionisti, con specifico riferimento agli asset infrastrutturali del Gruppo, anche attraverso soluzioni che comportino il superamento dell’integrazione verticale». Il board apre dunque a una scissione della rete da Tim, per «esplorare opzioni strategiche» che con ogni probabilità inizieranno con Open Fiber. Il nuovo piano strategico passa anche per la valorizzazione delle attività destinate alla cosidetta ServiceCo, la società in cui resterebbero le altre attività di Tim una volta separata la rete, tra cui la parte commerciale del business su rete fissa e mobile, Tim Vision, Olivetti, Tim Brasil e Inwit.

Come sottolineato nell’articolo de Il Corriere, nei vertici del Consiglio TIM si è parlato anche di Kkr ma senza prendere decisioni. Il board ha ribadito che la proposta di Opa del fondo Usa sarà messa a confronto con «le alternative strategiche destinate ad esser considerate nel quadro del piano». Gli advisor stanno proseguendo con le verifiche e per il momento non sono in vista accelerazioni.

È in moto la macchina tecnico-amministrativa destinata a creare le condizioni affinché l’alta connettività giunga in oltre 12mila strutture sanitarie e circa 10mila sedi scolastiche. Velocità simmetriche di almeno 1 Gbps. Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle comunicazioni con un editoriale del suo Direttore Mila Fiordalisi, pubblicato lo scorso 28 gennaio: Pubblicati i bandi di gara “Sanità connessa” e “Scuole connesse”, che fanno seguito a quello di inizio gennaio “Italia a 1 Giga”. Avanti tutta dunque sull’assegnazione dei fondi pubblici del Pnrr e nell’ambito della“Strategia Italia digitale 2026” in capo al ministro per la Transizione digitale Vittorio Colao. Dei 5 bandi previsti ne mancano dunque all’appello solo due:quello per il piano 5G e quello da recuperare per la connettività delle isole minori andato deserto alla prima tornata. Le gare, in capo a Infratel – la in house guidata da Marco Bellezza – sono state suddivise in lotti a livello nazionale, otto aree geografiche per entrambi i bandi. Bisognerà garantire velocità simmetriche di almeno 1 Gbps (uno stesso soggetto potrà aggiudicarsifino ad un massimo di quattro lotti) includendo fornitura e posa in opera della rete di accesso e i servizi di gestione, assistenza tecnica e manutenzione. Le attività di infrastrutturazione dovranno concludersi entro il 30 giugno 2026, garantendo i servizi di connettività almeno per i sei anni successivi.

Come precisa Mila Fiordalisi nel suo articolo, gli operatori potranno presentare le offerte entro il prossimo 15 marzo e nei bandi sono previsti criteri di assegnazione, uguali per tutti i lotti, che comprendono: offerta economica; miglioramento delle performance di connettività richieste e delle condizioni tecniche ed economiche minime previste, anche sui servizi di sicurezza; copertura wi-fi delle strutture; qualità dei piani di assunzione e formazione del personale e di gestione del progetto; impegni relativi a inclusione, diversità di genere, persone con disabilità e sostegno a categorie svantaggiate; eventuali miglioramenti dei requisiti minimi.

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