Le reti mobili di quinta generazione sono destinate a coprire quasi l’intero territorio nazionale entro il 2025. Le previsioni indicano anche un forte sviluppo dei telefoni “predisposti” 5G già nel 2022. Ma le promesse del 5G sono ancora maggiori. Per questo si parla di una tecnologia «trasformativa», in grado di cambiare la società. E tra questi mutamenti c’è anche il mondo dell’auto. Dedica attenzione al tema Il Corriere della Sera, con un articolo a firma Paolo Ottolina pubblicato lo scorso 27 settembre: Il Centro Studi Tim ha pubblicato il rapporto “Smart Italy 5G” curato da Michele Palermo e Guido Ponte, che fa i conti dei benefici delle nuove reti per l’economia italiana, da oggi fino al 2040. Il settore dell’automotive è tra i più impattati, con 3,2 miliardi di euro l’anno a partire dal 2025. Si punta a maggior efficienza nei processi produttivi, ma anche noi guidatori avremo ricadute positive. Il 5G sarà un tassello fondamentale per avere maggior sicurezza, meno stress, più intrattenimento a bordo, meno inquinamento e perdite di tempo (con semafori e parcheggi «davvero» smart), per andare meno in officina con campagne di richiamo e aggiornamenti a distanza (…). Una tipica applicazione che già entro 2-3 potrebbe essere operativa è legata alla sicurezza, con possibilità finora impensabili. «Il primo grande ambito è il supporto alla guida umana — spiega Miragliotta —. Un’auto moderna può essere dotata di tutti i sensori possibili ma “vedrà” sempre e soltanto in linea ottica. Immaginate se dietro l’angolo c’è un bambino che attraversa all’improvviso. Il veicolo non lo può sapere. Ma lo può sapere un semaforo o un altro mezzo parcheggiato lì vicino. E attraverso le nuove reti lo possono comunicare alla nostra auto, che può avvisarci o agire di conseguenza». Con uno scenario di questo tipo è facile immaginare che gli attori coinvolti siano molti, e questa è una delle complessità (non tecnologiche, ma «di sistema») del 5G.
Sempre nell’articolo si ricorda come una struttura di ricerca all’avanguardia in ambito IoT come il Politecnico di Milano, sottolinea come: «Il 5G non è monolitico ma è una generazione di tecnologie in evoluzione. Ogni anno vengono rilasciate nuove specifiche che coprono diverse possibilità funzionali. Ad esempio le società che gestiscono autostrade e superstrade potranno fare accordi con i produttori per innovativi servizi di informazione su traffico e pericoli. Sempre nell’articolo pubblicato su Il Corriere della Sera si cita il fatto che Umberto Ferrero, Responsabile 5G & Digital Trasformation di Tim, ha sottolineato come il 5G si abbini ad altre tecnologie come cloud, big data, Internet delle cose e Intelligenza Artificiale: «È una delle leve fondamentali per accelerare la digitalizzazione e come Tim stiamo lavorando per sviluppare importanti soluzioni verticali, tra cui la smart mobility.
Dopo intensi scambi di pareri e proposte incrociate, si è giunti ad una formalizzazione di interesse per l’infrastruttura virtuale destinata a rendere digitali i dati e i servizi fondamentali della Pubblica amministrazione. Tim, Leonardo, Sogei e Cdp Equity sono le quattro realtà interessate alla concretizzazione del progetto. Ne parla il quotidiano La Repubblica in una articolo a firma Aldo Fontanarossa pubblicato lo scorso 29 settembre: Le quattro società – che puntano sulla capacità di fare gioco di squadra – presentano al ministero dell’Innovazione tecnologica una proposta di alleanza, cioè di partenariato tra Stato e privati. Insieme i quattro soggetti darebbero vita a una nuova società (una Newco) che, per la precisione, realizzerebbe il Polo Strategico Nazionale (cioè la regia unica del cloud). Leonardo – che è detenuta per il 30,2 per cento dal ministero dell’Economia – avrà una fetta importante della Newco: un quarto, il 25 per cento. Un altro soggetto pubblico (Cdp Equity) ne avrà il 20. Infine Sogei (a totale controllo dell’Economia) un ulteriore 10 per cento. In questo modo, la Newco sarebbe per il 55 per cento nelle mani dello Stato. L’altro 45 sarà invece della Tim. La Newco non parteciperà a una vera e propria gara, che avrebbe procedure complicate e inutilmente lunghe. Ribadirà una proposta di collaborazione che lo Stato valuterà, con il ministero dell’Innovazione tecnologica nelle vesti del giurato più influente.
Sempre nell’articolo si sottolinea come per convincere lo Stato, Tim, Leonardo, Sogei e Cdp Equity si accreditano come una squadra complementare, ben assortita, capace di creare un cloud sicuro, flessibile, moderno. Così Aldo Fontanarossa: In particolare, Cdp Equity sarà il socio finanziatore perché la sua missione è sostenere le iniziative strategiche del Paese. Sogei si farà carico della formazione dei dipendenti pubblici ai quali bisognerà spiegare come si guida una macchina da Formula 1, come appunto è il cloud. Tim invece fornirà le infrastrutture e le tecnologie perché questo è il suo mestiere. Infine Leonardo – campione nazionale nel campo dell’aerospazio e della difesa blinderà il cloud in termini di sicurezza. Tim e Leonardo si impegnano a sostenere il cloud nazionale con quattro centri dati di generazione avanzata, collocati in due diverse regioni e classificati come Tier IV. Sono strutture che garantiscono la maggiore resistenza in caso di “eventi avversi” (come un terremoto o un attacco informatico). Le quattro società chiariscono anche che si muoveranno nel rispetto dei «principi di sovranità» che il governo ha fissato. Il 7 settembre, il ministro Vittorio Colao (Innovazione) ha chiarito che l’Italia non realizzerà un solo cloud, ma cinque diversi, a seconda del carattere strategico dei dati da custodire in forma digitale. Il cloud più importante, quello criptato, avrà dati e server collocati obbligatoriamente nei confini dell’Ue. Nel documento Strategia Cloud Italia, pur senza nominarli, il governo esclude poi dalla partita i partner tecnologici cinesi. Tim Leonardo, Cdp e Sogei non sono soli nella corsa al cloud italiano. Si candida anche una mini-cordata tra Almaviva e Aruba.
In una intervista pubblicata lo scorso 30 settembre da Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni, la Direttrice Mila Fiordalisi ha raccolto pareri e indicazioni di Eric Festraets, Presidente dell’Ftth Council Europe, che si è espresso su diverse questioni inerenti lo dello scenario e sulle azioni da intraprendere. Alla domanda dell’intervistatrice “Festraets, quali sono gli ostacoli sul cammino?”, così ha risposto il Presidente: Innanzitutto, riteniamo che lo sviluppo di nuovi servizi di massa basati sulla capacità del full-fibre (velocità, latenza, robustezza, affidabilità) farà scattare gli abbonamenti degli utenti finali. Altro elemento chiave sarà l’upgrade della connettività domestica per evitare i colli di bottiglia nella larghezza di banda ai margini della rete. In Ftth Council stiamo attualmente lavorando sulla questione nell’ambito del nostro comitato per l’eccellenza della banda larga domestica. Una delle questioni è poi quella delle offerte: è fondamentale evitare la pubblicità ingannevole, vale a dire l’utilizzo di “fibra” o “velocità della fibra” negli annunci per la banda larga basata su rame, quando l’offerta pubblicizzata non è realmente basata su una connessione in fibra. L’uso improprio della parola fibra nelle offerte impedisce ai consumatori di fare una scelta informata sui prodotti a loro disposizione e rischia di ostacolare il decollo della fibra e lo sviluppo di business case.
A suo parere l’uso di reti interamente in fibra è il modo più semplice per raggiungere l’obiettivo della carbon neutrality come stabilito nel Green Deal europeo. Mila Fiordalisi ha quindi posto al Presidente il tema di come la Next Generation Eu preveda una grande quantità di fondi per il digitale e di conseguenza per le reti in fibra e 5G. Festraets ha risposto: Nei giorni scorsi, durante il suo discorso sullo stato dell’Unione, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha definito il digitale il problema “make or break”, mettendo la fibra e il 5G al centro della strategia europea. La proposta di decisione della Commissione Ue che istituisce il programma politico 2030 “Path to the Digital Decade” definisce obiettivi molto chiari per la trasformazione digitale dell’Europa entro il 2030. C’è ancora molta strada da fare prima di raggiungere gli obiettivi, ma ora abbiamo un percorso con metriche chiare su cui lavorare. Ritengo che la soluzione sia nel mix di investimenti privati integrati con fondi pubblici in aree specifiche, facendo leva sulle risorse del Next Generation EU ed i Recovery and Resilience Facility Fund nelle aree in cui non è prevista la posa della fibra.
Infine Mila Fiordalisi ha sottolineato le attuali difficoltà del mercato TLC. In particolare agli operatori di telecomunicazioni viene chiesto di spingere gli investimenti in fibra per dare la possibilità a un numero sempre maggiore di cittadini e imprese di poter contare su connessioni ad alta capacità, anche a seguito della forte diffusione dello smart working. Ma le Telco europee sono tutte più o meno in sofferenza. Festraets ha risposto: A nostro avviso, gli operatori di telecomunicazioni possono ora fare affidamento sul nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche che ha aggiunto l’obiettivo di investimento ai tre obiettivi normativi preesistenti di promuovere la concorrenza, promuovere il mercato interno e promuovere gli interessi dei cittadini dell’Ue. Questo nuovo obiettivo di investimento garantisce che eventuali obblighi normativi tengano conto dei rischi sostenuti dagli operatori che investono garantendo nel contempo la concorrenza. Con più abbonati si otterrà un ritorno sugli investimenti più rapido e più elevato ed è per questo che l’adozione della fibra sia il problema su cui pensiamo che i responsabili politici dovrebbero agire.
L’evoluzione delle tecnologie di comunicazione individuale, siano essi utilizzati per lavoro o per intrattenimento, costituisce uno dei più interessanti temi del cosiddetto Umanesimo tecnologico. Dedica attenzione all’argomento Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Gianni Rusconi pubblicato lo scorso 3 ottobre: Siamo nell’era della produttività e dell’intrattenimento ibrido. Stare al pc rimbalzando fra una postazione e l’altra (casa, coworking, ufficio oppure direttamente in viaggio) è un’abitudine che interessa molti fra professionisti, manager e studenti. E la flessibilità che può garantire l’oggetto tecnologico con cui si lavora o ci si diverte guardando film e serie Tv fa spesso fa la differenza. Di computer ibridi si parla da anni, da quando il classico notebook ha lasciato spazio all’ascesa esponenziale dei portatili 2 in 1 capaci di trasformarsi in tablet e viceversa. Uno dei fattori che ne hanno decretato il successo, oltre alla tecnologia touchscreen, è la convergenza dei formati, che ha cambiato faccia al “laptop” così come l’abbiamo sempre conosciuto. Il principale vantaggio dei portatili 2 in 1 è infatti la possibilità di “switchare” comodamente tra la modalità notebook e quella tablet, separando lo schermo dalla tastiera oppure ruotando il display di 360 gradi per sovrapporlo alla stessa.
È indubbio che il mobile computing stia vivendo una fase di grande trasformazione che, ad esempio, punta molto sugli schermi pieghevoli. Poliedricità è la parola d’ordine, ad esempio con schermi ibridi touch ad altissima risoluzione che si appoggiano alla tastiera per essere usati come un tablet. Ancora dall’articolo di Gianni Rusconi: L’idea che serva un doppio display per rendere il multitasking un’operazione realmente efficace è nata quando l’esigenza di scorrere, modificare e controllare simultaneamente documenti, immagini e pagine Web ha messo completamente a nudo i difetti del design dei tradizionali notebook. I computer foldable potrebbero superare, ma non è certo scontato, anche i limiti dei device a doppio schermo caratterizzati da cerniere estremamente visibili. Nei pc pieghevoli è infatti il display stesso del computer a piegarsi in due come un libro, senza giunture e senza soluzione di continuità, per aumentare la qualità di visione dei filmati in streaming e delle presentazioni a tutto schermo. Una sfida tecnica (meccanica, elettronica e strutturale) complessa che ancora deve vincere la partita dell’esperienza d’uso.