Le Telco europee continuano a fare pressioni a Bruxelles per costringere le grandi aziende tecnologiche, soprattutto USA, a condividere 36 miliardi di costi di rete. Secondo i CEO delle maggiori compagnie TLC europee, che hanno recentemente inviato una lettera alla UE, le big tech dovrebbero farsi carico di alcuni dei costi di sviluppo delle reti di telecomunicazione europee, poiché ne fanno un uso troppo massiccio. I giganti del web – come Google, Amazon, Apple, Meta, Netflix e Microsoft – dovrebbero sostenere parte dei costi di realizzazione delle reti 5G e di quelle in fibra ottica data l’enorme quantità di traffico internet globale. La richiesta parte da 16 provider europei, tra cui Deutsche Telekom, Orange, Telefonica, Fastweb e Telecom Italia.
Dedica attenzione al tema Il quotidiano Il Sole 24 ore con un articolo a firma di Andrea Biondi, pubblicato lo scorso 27 settembre: I costi di rete generati dai giganti del tech sulle reti di telecomunicazioni nella Ue sono stimati in un intervallo compreso tra 15 e 36 miliardi di euro all’anno». È su questa, come su altre considerazioni contenute in una lettera inviata alla Commissione europea, che i ceo delle principali compagnie telefoniche del Vecchio continente hanno fatto leva per mettere nero su bianco una missiva scritta, si legge, «con un senso di urgenza, mentre la Commissione europea guarda alle priorità per l’ultimo, e importante, parte del suo mandato quinquennale». Quelli con cui si ha a che fare sono «tempi senza precedenti». Da qui una richiesta che non arriva out of the blue sulla scena. Non è la prima volta che la proposta viene avanzata, ma ora è lì, per iscritto, e soprattutto fatta mentre si avvicina la consultazione che la Commissione sta per far partire sul potenziale contributo dei big del web (Google, Facebook, ma anche Amazon, Netflix, Disney+ e via dicendo) alle infrastrutture di telecomunicazione.
Come ricorda Biondi nel suo articolo, accanto a questo c’è il tema della sostenibilità finanziaria e della tenuta del settore dal punto di vista dei conti economici. Il raggiungimento di questi obiettivi richiede però sforzi crescenti da parte del settore che, scrivono i ceo, attualmente investe circa 50 miliardi di euro all’anno in Europa. E a questo si deve aggiungere che «i costi di progettazione e costruzione stanno aumentando. I prezzi dei cavi in fibra ottica, ad esempio, sono quasi raddoppiati nel primo semestre del 2022. Allo stesso modo, gli aumenti dei prezzi dell’energia e di altri fattori produttivi stanno colpendo il settore della connettività».
Sempre nell’articolo viene ricordato la stretta connessione con le partite della sostenibilità e del risparmio energetico. «La digitalizzazione – scrivono i ceo – può ridurre le emissioni di CO2 fino al 20%. In questo contesto, la Ue dovrebbe intensificare i suoi sforzi per rendere la rete energetica europea più intelligente e accelerare l’adozione digitale in tutti i settori industriali. Noi siamo pronti».
Come ha scritto pochi giorni fa oggi l’agenzia Reuters potrebbe accadere, se si aggrava ulteriormente la crisi energetica, che anche la telefonia cellulare debba subire interruzioni di rete in tutta Europa, causa i black out di corrente elettrica. Gli operatori italiani hanno già chiesto alle autorità competenti che la rete mobile sia esclusa da qualsiasi interruzione di corrente o interruzione del risparmio energetico e che la questione verrà affrontata al più presto dal nuovo governo. Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni, con un articolo a firma di Domenico Aliperto, pubblicato lo scorso 29 settembre: Gli operatori di Francia, Svezia e Germania stanno già lavorando per garantire che le comunicazioni possano continuare anche se le interruzioni di corrente esauriranno le batterie di backup installate sulle migliaia di antenne cellulari sparse sul loro territorio. L’Europa ha quasi mezzo milione di torri di telecomunicazioni e la maggior parte di esse dispone di batterie di riserva che offrono un’autonomia dalla rete elettrica di circa 30 minuti.
Come ricordato nell’articolo, anche le società di telecomunicazioni in Svezia e Germania hanno sollevato preoccupazioni per potenziali carenze di elettricità con i loro governi: Il regolatore svedese delle telecomunicazioni sta lavorando con gli operatori e altre agenzie governative per identificare soluzioni. L’ente in particolare sta finanziando l’acquisto di stazioni di rifornimento trasportabili e stazioni base mobili che si collegano ai telefoni cellulari per gestire interruzioni di corrente più lunghe. In Italia, i rappresentanti di categoria hanno riferito a Reuters che vogliono che la rete mobile sia esclusa da qualsiasi interruzione di corrente o interruzione del risparmio energetico e che solleveranno la questione con il nuovo governo italiano. Sempre nell’articolo si sottolinea come a prescindere dalla tattica adottata nel breve termine, secondo Reuters, tutti gli operatori Tlc concordano sulla necessità di rivedere le loro reti per ridurre il consumo di energia extra e modernizzare le apparecchiature utilizzando progetti radio più efficienti dal punto di vista energetico.
L’Unione Europea ha posto la produzione di idrogeno fra gli obiettivi necessari per la decarbonizzazione, destinando notevoli investimenti al settore. La transizione ecologica solo in Italia vale oltre 60 miliardi di euro. Di questi 23,78 miliardi saranno destinati all’incremento della filiera delle energie rinnovabili in agricoltura, alla promozione di impianti innovativi (anche offshore), al trasporto locale sostenibile, alla dotazione di accumulatori per stoccare l’energia in eccesso, e alla rete intelligente per gestire i flussi energetici. Un ruolo importante riveste anche la gestione smart dell’idrogeno che assorbirà oltre 3 miliardi. Nello specifico: 2 miliardi per la riconversione delle imprese energivore (acciaierie, cementifici, etc), 160 milioni per la ricerca, 500 per la produzione di idrogeno in aree industriali, 530 per la sperimentazione nel trasporto stradale e o ferroviario. Poi ci sono altri 450 milioni a parte che andranno a finanziare lo sviluppo tecnologico nelle filiere di transizione verso l’idrogeno. Un ruolo particolarmente importante avranno le reti digitali al servizio della supervisione degli impianti per la produzione, distribuzione e gestione dell’idrogeno.
Rivolge attenzione al tema Il Corriere della Sera con un articolo a firma di Fausto Chiesa, pubblicato lo scorso 30 settembre. L’articolo prende spunto da Italgas che taglia il traguardo dei 185 anni di attività, per tracciare un quadro più generale dell’evoluzione tecnologico-digitale delle reti: E veniamo all’infrastruttura, che in un futuro non lontano dovrà essere in grado di trasportare un “mix energetico” variabile. “Questo – fa sapere l’azienda – implica di trasformare la rete, che da tradizionalmente nata per trasportare metano, consegnato da Snam nei punti di connessione con il metanodotto, dovrà essere in grado di ricevere altri gas, come l’idrogeno verde, provenienti da migliaia di impianti. Per questo servono una rete digitalizzata e software, che ricevono segnali dagli impianti li elaborano e impartiscono comandi”.
Lo scorso 7 Luglio, il Gruppo TIM aveva presentato ufficialmente in occasione del Capital Market Day il suo piano per la creazione della “nuova TIM”, che prevede la separazione della rete e dai servizi con la creazione di quattro nuove entità, suddivise fra NetCo e ServiceCo. Dopo la pausa agostana, sono iniziati gli aggiornamenti dei tanti dossier aperti, a partire dalla questione della rete unica. Parallelamente gli organi di stampa hanno ripreso a puntare gli occhi sullo scenario delle TLC, anche alla luce delle recenti elezioni politiche. Un esempio è l’articolo a firma di Federico De Rosa pubblicato sul Corriere della sera dello scorso 30 settembre: Il CEO Pietro Labriola ha illustrato ai consiglieri lo stato dell’arte del piano strategico che prevede la separazione della rete dalle attività commerciali, in attesa che la Cassa depositi e prestiti sblocchi la proposta per acquistare l’infrastruttura del gruppo telefonico. La Cassa avrebbe convocato un board la prossima settimana in cui potrebbe deliberare sull’offerta. È molto probabile ma non ancora scontato, visto che l’operazione sulla rete unica è nata con un forte imprimatur politico e il prossimo governo vuole avere visibilità sulle mosse della Cassa. La proposta tuttavia non sarà vincolante e dunque potrà subire modifiche nel corso dei negoziati. Ma, a quanto spiegano fonti vicine al dossier, i tempi non sono più dilazionabili.
Come ricordato nell’articolo, l’incognita principale rimane legata alla posizione di Vivendi, primo azionista di Tim, che vuole salvaguardare il valore dell’infrastruttura e non intende accettare un’offerta troppo distante dalle indicazioni date al consiglio. Si parla di 15-18 miliardi che la Cassa sarebbe disponibile a offrire contro i 31 indicati dai soci francesi al board. Nel corso del consiglio del 28 settembre Pietro Labriola ha fatto il punto anche sull’andamento del business del terzo trimestre — i conti saranno approvati il 9 novembre — per verificare il raggiungimento dei nuovi target, migliorativi dei precedenti. Così nell’articolo: Labriola aveva già dato qualche indicazione sull’andamento di luglio e agosto: «Il trend positivo è proseguito, dobbiamo quindi accelerare il passo» aveva detto. Il manager ha confermato l’avvio del piano per la valorizzazione delle attività di EnterpriseCo (dove saranno raggruppati i servizi del gruppo per aziende e pubblica amministrazione) attraverso un beauty contest per la ricerca di un partner. Al momento non risultano nuove proposte formali, dopo che la scorsa primavera si era fatto avanti il fondo Cvc con un’offerta che valorizzava in 6 miliardi il perimetro dei servizi «Corporate», cifra ritenuta troppo bassa. EnterpriseCo punta ad avere ricavi compresi tra 3 e 5 miliardi nel 2030 e un margine operativo vicino al miliardo e diversi fondi stanno studiando il dossier. Ci sarebbe stato anche un passaggio su Tim Vision e sul piano di migrazione sulla piattaforma MyCanal di proprietà di Vivendi.