Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del 6 settembre diventa operativo il decreto firmato dal ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti che assegna a Cdp Venture Capital – Società di gestione del risparmio 2 miliardi di euro per il sostegno e il rafforzamento degli investimenti in startup e pmi innovative, volti a favorire la crescita complessiva dell’ecosistema dell’innovazione in Italia. Ulteriori 550 milioni sono previsti per supportare i processi di transizione ecologica e digitale attraverso i fondi Green transition e Digital transition del Pnrr. Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il corriere delle comunicazione, con un articolo a firma del suo Direttore, Mila Fiordalisi, pubblicato lo scorso 7 settembre: Il “tesoretto” sale a 3,1 miliardi se si aggiungono i 600 milioni allocati da Cassa Depositi e Prestiti e investitori terzi, come previsto dal decreto infrastrutture. Risorse che andranno a incrementarel’attuale dotazione di Cdp Venture Capital che è pari a 1,8 miliardi. “Un significativo apporto di risorse che fungeranno da volano per la crescita del mercato del venture capital italiano che nell’ultimo anno ha superato i 1,9 miliardi di euro (+221% rispetto al 2020)”, evidenzia il Mise in una nota. Partecipata al 70% da Cdp Equity (holding di investimenti controllata da Cassa Depositi e Prestiti) e al 30% da Invitalia, Cdp Venture Capital “opererà consolidando le strategie di investimento attuali attraverso il rafforzamento dell’attività dei fondi operativi e, contemporaneamente – puntualizza il ministero – andrà ad ampliare il proprio raggio d’azione con il lancio di nuovi strumenti dedicati ad accelerare la crescita di tutti gli attori del mercato dell’innovazione”.
Nel prossimo triennio, l’obiettivo è di rendere il Venture Capital un asse portante dello sviluppo economico e dell’innovazione del Paese investendo rapidamente e in modo efficace i capitali assegnati e creando i presupposti per una crescita complessiva e sostenibile dell’intero ecosistema. Da ricordare che il fondo opera secondo le decisioni di volta in volta adottate dalla SGR anche sottoscrivendo quote di altri fondi di investimento promossi e gestiti da istituzioni finanziarie di sviluppo dell’UE, che abbiano una politica di investimento coerente con le finalità e gli ambiti del decreto. Nelle decisioni di investimento, la SGR deve dedicare almeno 300 milioni di euro agli investimenti indirizzati al supporto della transizione ambientale e digitale delle filiere produttive del Paese.
Una donna su due in Italia non ha ancora competenze digitali e quindi rischiano, sul lavoro, di restare indietro rispetto alle altre colleghe europee. A mancare alle donne italiane non sono solo le competenze, ma anche emancipazione lavorativa e finanziaria, in particolare nellediscipline Stem (Scienze, tecnologie, ingegneria e matematica). In tutti i settori che saranno volano dell’economia del futuro e che nel web rappresentano la chiave per la sicurezza di tutti. In Europa una specialista informatica su sei è donna e per l’Italia il numero è ancora più basso. Dedica attenzione al tema il Corriere della Sera, con un editoriale a firma di Vittorio Colao e Francesco Profumo (rispettivamente Ministro per l’innovazione tecnologica e Presidente Acri-Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio), pubblicato lo scorso 9 settembre: Nessuna trasformazione è efficace ed equa se non si concentra sulle persone. Oltre alle infrastrutture è necessario quindi investire sulle competenze dei cittadini per non correre il rischio di creare nuove disuguaglianze rendendo obsoleti mestieri tradizionali senza preparare tutti alle nuove professionalità. Per questo il governo ha stanziato circa mezzo miliardo di euro dedicati alle competenze digitali, prevedendo il Servizio civile digitale per aiutare i più fragili e i Centri di facilitazione digitale per insegnare a tutti come fruire di servizi online. In aggiunta a queste due iniziative Pnrr il governo ha previsto la creazione del Fondo per la Repubblica Digitale. Con 350 milioni circa stanziati, il Fondo vuole accrescere le competenze digitali per aumentare le opportunità di lavoro. (…) Il Fondo investirà anche su programmi specifici dedicati all’aumento delle competenze Ict delle donne che, a causa di discriminazioni di genere nel mondo della scuola e del lavoro, hanno meno opportunità e sono poco rappresentate nel settore digitale.
Come ricordato nell’articolo, per aver successo e reale impatto a livello nazionale questa iniziativa richiede una forte partnership tra attori da un lato capaci di dare una visione d’insieme e stabilire priorità di intervento e dall’altro che abbiano, grazie al loro radicamento territoriale, capacità operative e competenze nel campo della sperimentazione e valutazione, per concretizzare la visione e raggiungere gli obiettivi in tempi rapidi. È inoltre essenziale un agile approccio sperimentale, basato sull’evidenza, teso all’ottenimento dei risultati. Per raggiungere gli obiettivi in termini occupazionali, il Fondo deve poter finanziare progetti sperimentali, identificare i migliori modelli formativi e reinvestire solo in quelli a maggior impatto. Sempre nell’articolo si ricorda come i primi due avvisi — focalizzati su Neet e donne — verranno pubblicati a metà ottobre, per un totale di circa 13 milioni di euro. I successivi verranno pubblicati nel 2023, anno per il quale sono già previsti 85 milioni di euro circa di finanziamenti.
L’offerta per acquistare l’asset della rete da Tim dovrebbe arrivare la settimana dopo le elezioni politiche italiane del 25 settembre e prima del Cda ordinario Tim fissato per il 29 settembre. Anticipazioni giornalistiche hanno ipotizzato che la somma dovrebbe essere inferiore ai 20 miliardi. Ma il socio francese Vivendi valuta l’asset circa 30 miliardi di euro. Un vero e proprio “nodo finanziario” al quale dedica attenzione il quotidiano il Sole 24 ore con un articolo a firma di Andrea Biondi, pubblicato lo scorso 9 settembre: Dieci miliardi. Almeno. È la distanza, non piccola, che va colmata per centrare il traguardo della cosiddetta rete unica in cui unire gli asset di rete di Tim e Open Fiber. Chi vende (e qui il pensiero va a Vivendi, primo azionista di Tim con il 23,75%) chiede oltre 30 miliardi, basati su una valutazione fatta da Rothschild (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) da cui ha fatto capire di non essere intenzionata a recedere. Chi compra (e qui la palla va nel campo di Cdp azionista al 60% di Open Fiber e al 10% di Tim) sembrerebbe disposto a offrirne al massimo 20. Dopo mesi di trattative e approfondimenti, a pochi giorni dal voto emerge nella brutalità dei numeri il principale ostacolo – puramente finanziario – che resta da superare per la rete unica. Sempre che il nuovo governo, con le armi della politica, non intenda provare a superarlo
Come sottolineato nell’articolo, per i francesi la gestione dell’“operazione rete” resta strategica, alla luce del fatto che l’infrastruttura resta una delle parti più pregiate di Tim e determinanti ai fini della determinazione del suo valore. Andrea Biondi nel suo articolo ricorda che nel Cda Tim sono rappresentate entrambe le parti in gioco.
Biondi ricorda anche che da Fratelli d’Italia, partito che insieme a Forza Italia e Lega viene dato per avvantaggiato nel sondaggi sulle elezioni del 25 settembre, la leader Giorgia Meloni e Alessio Butti, responsabile delle tematiche riguardanti i media e le Tlc, hanno pubblicamente puntualizzato che nella loro visione la rete deve rimanere in capo a Tim e casomai dovrà essere l’ex monopolista a portare sotto di sé la rete di Open Fiber, all’interno di un piano che preveda la vendita dei servizi e di Tim Brasil. L’articolo si conclude evidenziando che secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, TIM avvierà a breve un processo formale per selezionare un partner di minoranza per EnterpriseCo, la società che raggrupperà i servizi di connettività per i grandi clienti e le attività cloud, cybersecurity e Internet of Thing.
Uno dei temi su cui si interrogano gli scienziati robotici e dell’intelligenza artificiale è la possibilità di arrivare un giorno a macchine in grado di pensare e “sentire” come l’uomo. L’argomento è appassionante e le opinioni al riguardo distinguono in sostanza due schieramenti: coloro che ritengono possibile un’intelligenza delle macchine paragonabile a quella umana e coloro che, invece, la considerano totalmente irrealizzabile. A questa seconda schiera appartiene un italiano a cui tutti dobbiamo moltissimo. È Federico Faggin, colui che ha progettato e realizzato, agli inizi degli anni Settanta, il primo microprocessore della storia, l’Intel 4004. In occasione della presentazione del suo libro dal titolo “Irriducibile” al festival Letterario di Mantova, dedica attenzione alle considerazioni di Faggin La repubblica, con un articolo a firma di Eleonora Chiuda, pubblicato lo scorso 8 settembre: “Siamo esseri spirituali, temporaneamente imprigionati in un corpo fisico simile a una macchina. Ma siamo molto più di una macchina. Siamo coscienza, entità infinite. Irriducibili”. Federico Faggin, il più grande inventore italiano vivente, padre del primo microprocessore, creatore della tecnologia touch prima di Steve Jobs, oggi si avventura in una nuova rivoluzione. Dopo anni di studi e ricerche ha capito che nell’essere umano c’è qualcosa di irriducibile, qualcosa per cui nessuna macchina potrà mai sostituirci. E Irriducibile è il titolo del suo nuovo libro (Mondadori), che sarà presentato al Festival Letteratura di Mantova il 10 settembre. “Per anni ho cercato di capire come la coscienza potesse nascere da segnali elettrici o biochimici – racconta nel corso di un lungo colloquio -. Segnali che possono produrre solo altri segnali, non sensazioni e sentimenti. La coscienza è irriducibile. Ossia non si può definire con concetti più semplici. È la coscienza che comprende, prova sentimenti ed emozioni. Senza questo sentire, saremmo robot. La macchina non sente. Non risponde se non è stata programmata. Invece noi dobbiamo impegnarci per trovare le risposte, dentro e fuori di noi. A partire dalla domanda principale: chi siamo?”.
Come sottolinea l’articolo, nel suo libro Fagginavanza l’ipotesi che l’universo abbia coscienza e libero arbitrio da sempre, concetto che lo scienziato sintetizza nella frase: “La materia è l’inchiostro con cui la coscienza scrive l’esperienza di sé”. Siamo realtà quantistiche che esistono in una realtà più vasta dello spazio-tempo, che contiene anche la realtà fisica. Cosi ancora bell’articolo: “Noi siamo infiniti, entità coscienti che vogliono conoscere sè stesse. Per farlo abbiamo bisogno di vivere esperienze in cui capire chi siamo attraverso il nostro comportamento”. C’è però un problema alla base di questa rivoluzione. Noi stessi. “Non vogliamo vivere nella realtà, ma nell’illusione dei social che inebetiscono. Non educhiamo i nostri figli a capire chi sono. Pensiamo che le macchine siano meglio di noi. È vero che un chip fa un miliardo di moltiplicazioni al secondo mentre noi ne facciamo una al minuto. Ma se pensiamo di essere meno delle macchine ci facciamo mettere nel sacco da chi le controlla dalla porticina dietro.