Il ministero dell’Innovazione e Transizione digitale, guidato da Vittorio Colao, apre di fatto la discussione sul tema della connettività sui treni ad alta velocità e si rivolge ai vertici di Rfi (Rete ferroviaria italiana – Gruppo FS) e ai principali operatori mobili –  Tim, Vodafone, WindTre, Iliad e Fastweb. Il tavolo di lavoro punta a chiarire come risolvere la questione della connettività e del servizio di telefonia mobile sui treni. Dedica attenzione all’argomento Mila Fiordalisi, Direttore di Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni, in un suo editoriale del 3 settembre scorso: L’interruzione del servizio in particolare nelle gallerie (e non solo) è questione annosa. Ma non sarà semplice venirne a capo per una serie di motivi di ordine tecnico, autorizzativo e finanche economico. Tanto per cominciare bisognerà definire il perimetro dell’operazione: su quali tratte dell’Alta velocità si intende intervenire? Su tutta la tratta? E quale dovrebbe essere la roadmap in termini di execution e delle relative tempistiche? La principale questione tecnica riguarda proprio l’installazione delle antenne e degli apparati all’interno delle gallerie: per consentire i lavori potrebbe essere inevitabile uno stop o quantomeno una diluzione del passaggio dei treni, aspetto non banale considerata l’elevata movimentazione proprio nella tratta dell’Alta Velocità. Alcune gallerie, infatti, non hanno lo spazio sufficiente per consentire la presenza di squadre all’opera e l’elevata velocità di percorrenza dei veicoli rappresenta un pericolo non da poco.

Nell’articolo si sottolinea come il secondo aspetto della questione, altrettanto delicato, è quello degli iter autorizzativi: da verificare quanti e quali soggetti siano coinvolti lungo le tratte e quindi le tempistiche necessarie per l’avvio dei cantieri. Da sciogliere anche un altro importante nodo: quello delle risorse. Qual è il costo dell’operazione? Chi dovrebbe farsi carico degli investimenti e in quale quota parte? Si può accedere ai fondi del Pnrr nella porzione destinata alla banda ultralarga? Insomma la strada è in salita, ma la convocazione dell’incontro rappresenta senza dubbio l’attenzione del ministro al tema della connettività e della qualità del servizio mobile a bordo treni nonché la volontà di sbloccare l’impasse per garantire un servizio di qualità ai viaggiatori. Un’operazione win-win per tutti gli attori coinvolti – Stato, Rfi e Telco – ma fra il dire e il fare non sarà una passeggiata.

Aziende più efficienti con smart working e digitale: sembra questo il mix ideale per continuare in quella evoluzione che la pandemia Covid aveva accelerato nel 2020. Ma ora, con maggiore tranquillità, c’è bisogno di strategie caratterizzate da una integrazione funzionale tra lavoro in presenza e telelavoro. È quanto emerge dallo specifico studio The European House Ambrosetti, condotto con Microsoft. Curato da Patrizia Lombardi, Prorettore del Politecnico di Torino, propone le linee guida di uno scenario virtuoso: la cultura digitale e quella ambientale, che spesso viaggiano separati, devono incontrarsi. Dedica attenzione al tema il quotidiano La Repubblica in un articolo a firma di Aldo Fontanarosa, pubblicato lo scorso 3 settembre: Lo studio (“Digitalizzazione e sostenibilità per la ripresa dell’Italia” realizzato in collaborazione con Microsoft) ragiona sulle scelte del Paese ora che la pandemia sembra sotto controllo. E tra le righe prende di mira i “pentiti” dello smart working. Sono le aziende – non poche – e gli uffici pubblici che hanno fretta di riportare i loro dipendenti e manager nelle sedi fisiche perché le riunioni – pensano alcuni – vanno fatte guardandosi negli occhi, come una volta.  “D’altra parte – spiega proprio Patrizia Lombardi – l’Italia deve fare i conti con un presente che la pone agli ultimi posti della classifica europea nel campo delle perfomance digitali. (…) Dice Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia: “Se da un lato la pandemia ha mostrato la capacità di molte organizzazioni di adattarsi alla situazione, adottando rapidi cambiamenti per abbracciare nuovi modelli operativi, dall’altro ha messo in evidenza le grandi sfide globali: l’impatto del cambiamento climatico, la necessità di modelli di business sostenibili e digitali, l’inclusione sociale, il benessere condiviso”.

Del resto, come si ricorda nell’articolo, i dati dello studio evidenziano che le aziende ben digitalizzate hanno una produttività del lavoro superiore del 64% rispetto alle non digitalizzate. Lo studio ha anche sentito 212 imprese per capire se fossero consapevoli di quanto un approccio green possa migliorare il rendimento dei dipendenti, il conto economico, il rapporto con i clienti. Su questo specifico punto sottolinea l’articolo: I dati della Commissione europea, che lo studio rielabora, sono d’altra parte inequivocabili. La sensibilità ambientale è ormai parte della nostra società, al punto che: – il 64,3% dei cittadini europei chiede di ridurre l’uso della plastica; – il 61% è preoccupato del cambiamento climatico; – il 59,7% chiede di ridurre lo spreco di cibo. In questo scenario, gli imprenditori più illuminati – forti dell’esperienza pandemia – vogliono conservare la rotta più giusta.

Nel cloud di Stato italiano «ci sarà posto per tutti con regole chiare». Il ministro dell’Innovazione tecnologica e dalla transizione digitale Vittorio Colao, intervenuto al Forum Ambrosetti di Cernobbio, ha indicato le linee strategiche del piano rivolto a gestire da parte dello Stato gli elementi più sensibili del web, primo fra tutti gli archivi dati. Ne parla il quotidiano La Repubblica in un articolo a firma di Andrea Greco, pubblicato lo scorso 5 settembre: Dietro le quinte i maggiori gruppi italiani e internazionali da un anno si muovono per attrezzarsi a partecipare alla gara d’appalto pluriennale di gestione del servizio. E più fonti ipotizzano che le soluzioni tecniche per salvare la capra (connessione in rete dei dati) e i cavoli (tutela di privacy e sicurezza) saranno due, e potrebbero entrare nelle specifiche delle cordate in preparazione. La prima è il meccanismo della “doppia chiave crittografica”. Una doppia cifratura dei dati, con una chiave in mano agli amministratori italiani e l’altra ai gestori del cloud, verosimilmente statunitensi dato che gli Usa sono leader mondiali in questa tecnologia, e già dominano negli stoccaggi dei dati commerciali italiani. La seconda è la “licenza esclusiva”, concessa sulle tecnologie cloud dai colossi Usa ai gestori italiani, un po’ come fatto nella vicina – e sciovinista – Francia.

Sempre nell’articolo si sottolinea come è realistico ipotizzare una coalizione di soggetti e soluzioni, anche in base ai livelli di sicurezza richiesta dai dati pubblici. Sarebbero in arrivo almeno tre diverse classificazioni.

«Chiaro che i dati del ministero della Difesa non avranno lo stesso livello di segretezza di quelli sulle multe al cavalcavia che prendo a Milano», ha detto Colao, che ha poi stimato la tempistica delle proposte vincolanti: «Avevamo detto fine estate, l’estate finisce il 21 settembre, spero non andremo lunghi per chiudere le consultazioni e cominciare il disegno delle gare». Prima di fine anno il ministro prevede «l’avvio dell’interoperabilità per i dati di alcuni ministeri, mentre nel 2022 avremo il grande lancio: saranno anni di lavoro ma direi che siamo in linea con i tempi che ci eravamo dati nel Pnrr».

Ancora Greco, nel suo articolo, ricorda come poche ore dalle dichiarazioni di Colao, sempre da Cernobbio, sono giunte quelle di Luigi Gubitosi, che ha annunciato la prossima discesa in campo nella gara di TIM per il Psn: «Lavoriamo con Cdp, Leonardo e Sogei, c’è un consorzio. Il ministro Colao non rimarrà deluso, l’offerta ci sarà», ha detto. Tim ha come partner tecnico Google, mentre Leonardo utilizza Microsoft, operatore di riferimento della Pa italiana. Difficile che questa cordata resti a bocca asciutta. Ma cercano spazio e profitti dal Psn anche altri nomi. Come il duo nostrano Almaviva-Aruba, che ha già annunciato la sua presenza. Oppure, sullo sfondo, le altre due cordate Fincantieri-Amazon e Poligrafico-Fastweb: che tuttavia potrebbero naufragare prima della gara, perché si mormora che il Mef stia cercando di scoraggiare altre società pubbliche a fare concorrenza allo squadrone in cui militano Cdp, Sogei, Leonardo, Tim, di cui il governo è socio a vario titolo.

In occasione del Centenario dalla fondazione di Sparkle, erede della grande tradizione di Italcable, fondata nel 1921 e prima azienda a posare un cavo transoceanico fra l’Argentina e l’Europa, l’attuale AD dell’azienda, Elisabetta Romano, ha concesso un’intervista a Il Sole 24 ore, a cura di Monica D’Ascenzio, evidenziando il suo pensiero sulla fase di forte trasformazione delle imprese, sollecitata prima di tutto da robotica e digitalizzazione.
«La sfida attuale è in una società italiana che opera a livello internazionale e questo mi inorgoglisce. È una sfida di trasformazione culturale, non solo legata ai sistemi e ai processi». Trent’anni nel settore delle telecomunicazioni, IT e media e la metà della carriera all’estero, tra Belgio, Svezia e Silicon Valley. Elisabetta Romano, nata a Milano ma cresciuta ad Avellino come tiene a sottolineare, dal luglio 2018 fa parte del gruppo TIM, prima come chief technology officer, poi come head of chief innovation & partnership dal novembre 2019 e infine dall’agosto 2020 ricopre il ruolo di amministratrice delegata di Telecom Italia Sparkle, operatore globale del gruppo che fornisce servizi TLC wholesale, con una rete proprietaria in fibra che si estende per circa 600mila km attraverso Europa, Africa, le Americhe e Asia.
Le radici e la storia aziendale vanno rispettate, ma è necessario guardare al futuro: «C’è un’inerzia della macchina che è complicatissimo far evolvere. Anche solo a cominciare dalla terminologia. Per trasformare un’azienda devi agire sull’aspetto culturale. Ci sono persone che sono in azienda da lungo tempo e bisogna capire che solo cambiando si può migliorare, altrimenti si sopravvive ma non si cresce».

Come lei stessa ricorda nell’intervista, dopo l’esperienza tecnica in Alcatel, la carriera è proseguita in Ericsson, dove è entrata nel 1998 e nel 2012 è diventata head of operations support systems con sede a Stoccolma e nel 2015 head of TV & Media, con sede a Santa Clara, California. Alcuni giorni fa la manager ha ricevuto un nuovo premio, il “Telecommunication Woman of the Year” nel corso della cerimonia dei Carrier Community Global Awards tenutasi a Berlino. Il premio è stata l’occasione giusta per sottolineare il suo pensiero in merito alle sfide italiane, che ora richiedono una spinta verso il futuro più accentuata dopo la pandemia: «Abbiamo bisogno che i giovani vadano a fare esperienza all’estero. Sono cervelli che devono aprirsi all’altro, evolversi e crescere per unire i punti di forza italiani a quelli appresi all’estero. Lasciarli andare vuol dire avere una classe dirigente di tutto rispetto in futuro quando torneranno (…). La materia prima c’è, i giovani vanno aiutati. Sono state fatte cose per semplificare ma va fatto di più. Ci vogliono persone che lo abbiano fatto all’estero e bisogna creare posti di aggregazione, coaching, mentorship. All’estero viene insegnato fin dai primi anni di scuola a saper fare un progetto e a presentarlo. Se la scuola non si evolve in questa direzione, è necessario che li si aiuti a sviluppare le intuizioni». L’innovazione è sempre più necessaria anche nelle aziende più tradizionali e la pandemia ha accelerato anche il cambiamento dell’organizzazione del lavoro. «Io sono molto esigente, ma empatica allo stesso tempo. Guido con l’esempio». Ama definire così il suo stile di leadership in un momento storico in cui anche i modelli di management vengono messi in discussione e si cerca di disegnare un nuovo identikit di manager più adatto a un mondo del lavoro più flessibile e in continua evoluzione.

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