Mario Rossetti, Amministratore Delegato di Open Fiber, ha fatto il punto della situazione operativa della società in una recente intervista al gruppo editoriale Sole 24 Ore, ripresa nei contenuti da diverse testate giornalistiche, fra cui Cor.Com – Il Corriere delle telecomunicazioni in un articolo a firma del direttore Mila Fiordalisi, pubblicato lo scorso 28 agosto. L’articolo sottolinea come l’Ad punta sulla necessità di una migrazione a tecnologie più performanti se davvero si vuole spingere la digitalizzazione del Paese. Inoltre appare evidente l’intento dell’intervista di rispondere ai rumors sulle difficoltà della società, ricordando il rialzo degli investimenti e la forte crescita di ricavi ed ebitda. Un focus è dedicato anche sulla transizione ecologica: secondo Rossetti con l’Ftth i risparmi energetici possono raggiungere l’80%: “La rete in fibra ottica consente di risparmiare l’80% di energia e ha performance elevatissime”. Open Fiber in difficoltà? Niente affatto ci tiene a puntualizzare il manager nello smentire i rumors secondo cui la società sarebbe in difficoltà e avrebbe rallentato la roadmap in attesa che si sciolga il nodo del dossier Tim. Ammontano a 848 milioni gli investimenti messi sul piatto nel primo semestre 2023 contro i 582 di un anno fa. I ricavi a 267,5 milioni hanno registrato una crescita del 28%. E l’ebitda a 102,7 milioni è balzato del 33%.

Per quanto riguarda le componenti infrastrutturali, Rossetti ricorda come “Sulle aree bianche, abbiamo ereditato ritardi importanti dalla gestione precedente. Nell’articolo di Cor.Com viene ripreso, a questo proposito, un passaggio importante dell’intervista dell’AD di Open Fiber: Il piano andava chiuso al 2020, ma al 31 dicembre 2021 l’avanzamento era al 42 per cento. Oggi stiamo realizzando 20mila chilometri l’anno di infrastruttura, 50 chilometri al giorno sulle aree bianche. Se la società avesse lavorato sempre con questa velocità il progetto Banda Ultralarga, da 90mila chilometri, sarebbe già finito. Negli ultimi 19 mesi abbiamo realizzato più di 30mila chilometri. Nei 48 mesi fra 2017 e 2021 ne erano sono stati costruiti 37.500. Oggi siamo al 76% di avanzamento. Il che vuol dire che confermiamo al 2024 il termine dei lavori”. Rossetti ha poi evidenziato un altro risultato raggiunto dall’azienda, cioè l’abilitazione a consuntivazione di oltre 350 milioni di fondi europei entro la fine dell’anno sui Comuni finanziati con fondi Fesr nelle aree bianche. Infine, un’ultima considerazione è stata dedicata ai clienti. “Ci sono segnali positivi: da quando abbiamo ridotto i prezzi, da 16,7 a 12,5 euro a linea, abbiamo visto un interesse crescente degli operatori grazie anche alla riduzione dei tempi di attivazione e al miglioramento del servizio – ha sottolineato Rossetti.

Lo scorso 28 agosto il Consiglio dei Ministri ha approvato un Dpcm che autorizza l’ingresso del ministero dell’Economia nella Netco di Tim e un decreto che ne assicura le risorse finanziarie da destinare all’operazione. Rivolgono attenzione alla notizia tutti i principali gli organi di stampa, fra cui il Corriere della sera con un articolo a firma di Daniela Polizzi pubblicato lo scorso 29 agosto: Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha poi illustrato l’impegno nella partecipazione dello Stato, fino a 2,2 miliardi «finalizzato all’utilizzo dei poteri speciali e a incidere su questioni di sicurezza su un’infrastruttura decisiva per il futuro del Paese», ha sottolineato il ministro. Le coperture verranno dalle disponibilità che restano, pari a 2,5 miliardi, del «patrimonio destinato» creato dal Mef nel 2020 per operazioni su società di rilievo strategico individuate con dpcm. È un nuovo passo avanti per il gruppo Tim, guidato dal ceo Pietro Labriola, che dà seguito al memorandum d’intesa firmato il 10 agosto tra il ministero dell’Economia e il fondo americano Kkr finalizzato a presentare un’offerta vincolante al consiglio di Tim entro il 30 settembre.

Sempre nell’articolo de Il Corriere viene sottolineato quanto ribadito sempre dal Ministro Giorgetti sul ruolo degli americani di Kkr, che nella Netco alla fine dell’operazione dovrebbe avere il 65%, Giorgetti ha ribadito che «Kkr non è nuova a Telecom-Tim, esiste già la quota in Fibercop, è un naturale interlocutore. Quello che interessa al governo è ribadire il controllo pubblico su alcune scelte strategiche». Nel frattempo continuano i confronti tra i potenziali investitori italiani che dovrebbero assicurare una presa sul 35% della società della rete.

Come riportato sempre da tutti i principali organi di stampa, la premier Meloni ha dichiarato: “Questo è un primo passo, al quale seguiranno ovviamente logiche di mercato, ma finalmente possiamo dire che in Italia c’è un governo che su un dossier così importante si attiva a difesa dell’interesse nazionale e dei lavoratori. E che ha una strategia”. Ha inoltre aggiunto: “Dopo aver trovato una soluzione seria per Ita con un accordo con Lufthansa, è venuto il momento di dare una prospettiva a quello che è stato uno dei campioni internazionali delle telecomunicazioni. La direzione intrapresa dal governo è quella che il centrodestra ha sempre auspicato e sostenuto: assumere il controllo strategico della rete di telecomunicazioni e salvaguardare i posti di lavoro”. La dichiarazione è stata interpretata dagli analisti come un sigillo al Memorandum firmato il 10 agosto scorso tra il Mef e Kkr, il fondo americano già azionista di Tim che sta trattando in esclusiva per l’acquisto della società della rete.

La ricerca è stata presentata pubblicamente al Forum di Cernobbio da Giorgio Metta (direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, uno degli Advisor scientifici dell’iniziativa) e Corrado Panzeri (partner di The European House-Ambrosetti). L’obiettivo dell’indagine di capire l’impatto dell’AI sul nostro Paese e le sue imprese, partendo dal “censimento” di 23 tipologie diverse di casi, distribuiti su 15 settori economici e otto tipologie di processi aziendali. In Italia tra i settori più maturi nell’utilizzo dell’AI (già usata da una realtà su due, con il 70% degli intervistati che afferma di avere riscontrato vantaggi di produttività) c’è il manifatturiero e gli ambiti che traggono maggiori benefici dal suo utilizzo sono la R&S, la progettazione e la gestione della supply chain. Rivolge attenzione al tema il quotidiano La Repubblica, con un articolo a firma di Filippo Santelli, pubblicato lo scorso 1 settembre: Una massiccia iniezione di produttività, che in Italia ristagna da decenni. E un antidoto alla riduzione della forza lavoro, effetto del rapido invecchiamento della popolazione. Se le aziende e la pubblica amministrazione italiane adottassero in maniera diffusa l’Intelligenza artificiale, in particolare la sua frontiera “generativa”, il nostro Paese potrebbe vedere il Pil aumentare fino a 312 miliardi di euro, il 18%.

Uno dei dati dell’indagine che colpiscono di più è proprio quello inerente l’AI generativa, che a parità di valore aggiunto potrebbe liberare fino a 5,4 miliardi di ore, che corrispondono alle ore lavorate in un anno da 3,2 milioni di persone. A questo proposito nella ricerca si legge che «dato che l’Italia entro il 2040 perderà circa 3,7 milioni di occupati, un numero che contribuisce con gli attuali livelli di produttività a creare circa 267,8 miliardi di valore aggiunto, le nuove tecnologie consentiranno di mantenere invariato lo stesso standard di benessere economico». Sulla stessa lunghezza d’onda Giorgio Metta: «È necessario investire in maniera energica e tempestiva, per non farsi cogliere impreparati di fronte a questa nuova rivoluzione produttiva e sociale. L’Italia deve fare investimenti in ricerca, formazione e innovazione, per creare un ecosistema pubblico-privato in grado di colmare il gap con l’agguerrita competizione internazionale». Sempre nell’articolo di La Repubblica si sottolinea che il passo successivo è ipotizzare che in futuro quella percentuale massiccia di adozione si estenda a tutta Italia, e capire come cambierebbe l’attività delle imprese: Ecco la dibattuta e irrisolta questione: l’AI toglierà lavoro agli umani? Lo studio risponde che nel complesso non sarà così e di certo Microsoft, in prima linea nello sviluppo degli algoritmi, non ha interesse ad alimentare paure. Ma è vero che, prima della disoccupazione tecnologica, il problema dell’Italia è opposto: poca innovazione, poca crescita, poco lavoro di qualità. Gli allarmi che manda lo studio, allora, sono altri. Uno generale, sulla necessità che lo sviluppo dell’AI sia etico, attraverso un dialogo tutto da definire tra governi e aziende. E uno alla politica italiana. Perché l’adozione dell’AI sia capillare, bisogna prima rendere digitali 113 mila piccole imprese. E aumentare gli scritti a corsi di laurea hi-tech – oggi al livello più basso in Europa – di 130 mila unità. L’AI è un treno che l’Italia non può perdere, ma per poterci salire serve una svolta tutta da costruire.

All’inizio di questo mese di settembre alla Borsa di Francoforte ha subito gravi perdite Aurubis, maggiore produttore europeo di rame. L’azienda, che produce circa 1,1 milioni di tonnellate di cavi di rame all’anno che vengono utilizzati nell’industria mondiale, ha dichiarato di aver trovato «serie indicazioni di carenze del metallo» nei dati sulle scorte e di sospettare che un’organizzazione criminale abbia rubato parte del metallo. Il rame, che ormai costa mediamente 8000 dollari a tonnellata, è spesso al centro di azioni da parte della criminalità organizzata. Rivolgono attenzione alla notizia diversi organi di stampa, fra cui Il Sole 24 ore con un articolo a firma di Stefania Arcudi, pubblicato lo scorso 1 settembre: Il sospetto, fa sapere il gruppo, è che un’organizzazione criminale abbia rubato parte del metallo. Così il titolo è arrivato a perdere più del 14%, ai minimi in quasi dieci mesi, e ha bruciato circa 500 milioni di euro di capitalizzazione (attualmente si attesta a 2,96 miliardi). I danni potrebbero essere quantificati a circa 3 milionidi euro e potranno avere un impatto sui risultati dell’anno fiscale 2022-2023. Per questo motivo, la società non raggiungerà il target di 450-550 milioni di utili operativi al lordo delle tasse. anche il produttore tedesco di acciaio Salzgitter, che detiene una quota del 29,99% di Aurubis, ha sospeso le previsioni finanziarie, motivo per cui il titolo cala dell’1,6% circa.

Sono molteplici le ragioni per cui il rame è così ambito. Prima di tutto è essenziale in tutti i piani di transizione energetica, ecco perché i più autorevoli centri studi prevedono che nei prossimi anni si possa manifestare un sostanziale divario tra la domanda mondiale di rame e la sua produzione, fatto che spingerà i prezzi verso l’alto. Il prezzo del rame, oggi a 3,85 dollari al grammo, è fortemente correlato al ciclo economico mondiale ed è salito del 47% negli ultimi cinque anni, ma ha tenuto nelle ultime settimane nonostante i vistosi segnali di rallentamento dell’economia cinese, che ha una posizione preminente nella fusione (47%), raffinazione (42%) e utilizzo (54%) del rame a livello mondiale La domanda di rame raffinato è previsto che salga dai 25 milioni di tonnellate nel 2021 a 49 milioni di tonnellate nel 2035, secondo uno studio di S&P Global. Alcuni economisti si sono spinti a dire che la scarsità di rame nel 21 esimo secolo può rappresentare un elemento di destabilizzazione della sicurezza internazionale, provocando strozzature nelle catene dell’offerta. Un ruolo geopolitico paragonabile al petrolio del 20esimo secolo.

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