Nello scenario del mercato delle TLC Europeo, l’Italia si caratterizza per alcune condizioni che rendono lo scenario stesso particolarmente dinamico e competitivo. Si occupa del tema il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Andrea Biondi, pubblicato lo scorso 31 agosto: Quello italiano è un mercato «molto particolare. Ci sono 5 operatori mobili (Tim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb, ndr.): un unicum rispetto ad altri mercati europei. C’è inoltre in corso una aggressiva guerra dei prezzi». Thomas Reynaud, ceo del gruppo Iliad, risponde così a una domanda sull’Italia durante la conferenza stampa internazionale per la presentazione dei risultati della semestrale della telco con sede a Parigi. Da qui la conclusione del ragionamento: «Se dovessero profilarsi situazioni volte al consolidamento, saremmo interessati ad acquisire un nostro competitor».

Dopo questa considerazione di ordine generale, l’articolo di Biondi si focalizza proprio su Iliad, società da alcuni mesi particolarmente attiva sul mercato: Nel solo secondo trimestre il fatturato è salito del 6,6 per cento. E proprio su questo fronte il gruppo che fa capo a Xavier Niel esibisce, durante la presentazione, una slide per evidenziare come il suo +6,6% sia il miglior risultato fra le telco europee. Iliad è «l’operatore leader in Europa per crescita e vendite», puntualizza Reynaud. E tutto questo non partendo dalla posizione di incumbent. Nel suo articolo Biondi sottolinea che nei 4 miliardi di ricavi del gruppo del primo semestre ci sono gli 879 milioni realizzati in Polonia (+9,7%) dove Iliad ha acquisito Play e Upc; i 2,7 miliardi della Francia (+6,6%) e i 441 milioni dell’Italia (+15%). Il tutto per un gruppo che conta 44,7 milioni di clienti fra i 20,9 milioni della Francia, i 14,6 della Polonia e i 9,15 dell’Italia. Nell’articolo un focus è dedicato proprio all’Italia: Per quanto concerne la branch tricolore guidata dall’AD Benedetto Levi, agli atti c’è anche un EbitdaaL a quota 87 milioni nel semestre, rispetto ai 6 milioni del primo semestre 2021. Nel mobile gli utenti attivi sono 9,082 milioni (11,3% di quota di mercato a esclusione delle sim M2M). Il che significa 257mila in più rispetto al trimestre precedente.

Concludendo il suo articolo Biondi ribadisce, motivandola, la considerazione di un mercato in cui il panorama competitivo rimane aggressivo in particolare nelle offerte winback, cioè quelle dedicate agli ex clienti per invogliarli a tornare a operatori infrastrutturati (Tim, Vodafone e Wind Tre). Vengono proposte infatti condizioni di ingresso tipiche degli operatori virtuali, situazione che finisce per accentuare ulteriormente la competitività.

Il PNRR determinerà un’ulteriore svolta nella digitalizzazione delle imprese italiane. Questa è la stima del Centro Studi Tagliacarne, realtà di punta dell’informazione economica del Sistema camerale, che opera attraverso ricerche, studi e analisi sulle policy in collaborazione con le altre strutture delle Camere di commercio. Big data, tecnologie predittive e robotica le aree in cui si concentreranno gli investimenti. Rivolge attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni con un articolo a firma di Lorenzo Forlani pubblicato lo scorso 2 settembre: La strada della transizione digitale 4.0 verrà imboccata da 36 mila imprese in Italia entro il 2024, e tra esse una su quattro lo farà grazie alle risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Questo è quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro Studi Tagliacarne,svolta su un campione di 4.000 imprese manifatturiere e dei servizi tra 5 e 499 addetti, rappresentativo dell’universo di 494mila mila imprese.

Oggi però le imprese denunciano notevoli difficoltà di trovare sul mercato più di un terzo delle figure ricercate con competenze 4.0. Sempre nell’articolo si sottolinea come attualmente il 67% dell’universo delle imprese oggetto dell’indagine (332 mila in valori assoluti) non ha ancora investito in tecnologie 4.0. Una quota che sale al 70% al Mezzogiorno e caratterizza maggiormente i servizi (85%) rispetto al manifatturiero (60%). Più arretrate sono soprattutto le micro imprese (con 5-9 addetti ), l’84% di queste si trova infatti ancora ai nastri di partenza contro il 39% delle medio-grandi (50-499 addetti). Secondo lo Studio la svolta dovrebbe essere più forte proprio al Sud, dove il 13% delle imprese inizierà a virare verso le nuove frontiere digitali contro il 10% del Centro-Nord. Sono in particolare le imprese con più di quarant’anni di attività a sentire il bisogno di un cambio di passo per rinnovarsi (14% contro il 10% di quelle con minore anzianità).

Sempre nell’articolo si ricorda come: circa 2 imprese su 5 che hanno già avuto modo di investire nel 4.0 hanno dichiarato aumenti della produttività dei processi produttivi (in termini, ad esempio, di minori tempi di set-up, errori e fermi macchina) e delle risorse umane. Mentre una su tre ha evidenziato un aumento della velocità di produzione (passaggio più veloce dal prototipo alla produzione in serie) e della competitività, facendo leva sull’Internet of Things. Più in particolare, il 43% delle imprese che hanno aumentato i servizi alla clientela grazie all’Internet of Things prevede di superare quest’anno i livelli produttivi pre-Covid contro il 24% delle imprese 4.0 che non hanno seguito questa strategia.

Le digital skill sono ormai richieste e necessarie in ogni aspetto del quotidiano, dal modo di comunicare a quello di vivere e, soprattutto, a quello di lavorare. Mentre però l’industria e i “privati” stanno investendo molto per evolvere e l’Italia ha recuperato posizioni in Europa in tema di digitalizzazione, la Pubblica Amministrazione arranca. Lo conferma quanto emerge dall’annuale rapporto Capgemini sull’eGovernment. Dedica attenzione al tema il quotidiano La Repubblica, con un articolo a firma di Alessandro Longo pubblicato lo scorso 3 settembre: L’ Italia ancora non ce l’ha fatta a vincere il drago della burocrazia con la spada del digitale: sulla Pa digitale restiamo agli ultimi posti in Europa, come conferma l’annuale rapporto Capgemini sull’ eGovernment, in uscita. E come conferma l’incidente delle tessere sanitarie senza chip o un nuovo rapporto Confartigianato, secondo cui pmi e artigiani perdono all’anno 238 ore per colpa della burocrazia. Tempo sottratto alla produttività, con un impatto su ricavi e occupazione.

Come sottolineato nell’articolo, l’Italia si pone nella parte bassa della classifica generale, 24esima sotto la Bulgaria. Male in particolare per quanto riguarda competenze digitali e utilizzo dei servizi pubblici da parte della popolazione. Secondo Capgemini, i paesi europei stanno migliorando l’esperienza utente per i servizi pubblici digitali. Due terzi hanno un sistema di accesso via identità digitale; il 67% dei moduli online si trovano già pre-compilati. Il punteggio di maturità eGov dell’ Europa è al 68%, mentre l’ Italia è al 61%. La Francia si pone al 70%, la Spagna al 79%. Sempre nell’articolo si ricorda come il report contiene anche una pagella di dettaglio per Paese. L’ Italia fa bene per la costruzione di servizi online utili al cittadino. Va meno bene per l’adozione, nelle Pa, di strumenti come identità digitale e soprattutto per la presenza di moduli precompi-lati: spesso siamo costretti invece a scrivere informazioni che la Pa in teoria già conosce. Ancora nell’articolo: Debole l’Italia anche in trasparenza, ad esempio su come informa il cittadino sui servizi online o sulla disponibilità di questi strumenti per i cittadini che accedono da altri Paesi europei.

L’articolo si conclude evidenziando come la vera novità la vedremo fra dodici mesi circa: debutterà la piattaforma per l’ inter-operabilità delle infrastrutture informatiche delle Pa. Queste dovrebbero parlare meglio tra loro e smetteranno di chiedere certificazioni e adempimenti, perché le informazioni le avranno in automatico.

La pandemia di Covid e la crisi energetica mondiale stanno ridisegnato molte attività lavorative, così come stanno rimodulando le nostre aspettative sulla funzionalità degli spazi di vita. Le innovazioni tecnologiche e la trasformazione digitale sottendono questa rivoluzione, ponendo in primo piano il tema degli edifici connessi, delle case domotiche di nuova generazione. Lo confermano studi come lo Smart Building Report dell’E&S Group del Politecnico di Milano: digitalizzare gli edifici porta sostenibilità, comfort e valore economico per la filiera degli impianti e dell’edilizia. Basti pensare che oggi il mercato italiano vale la metà di quello francese e un quarto di quello britannico: la strada è lunga ma incoraggiante. Rivolge attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 ore con un articolo a firma di Gianni Rusconi, pubblicato lo scorso 4 settembre: La crisi energetica, ed economica, è reale e profonda. E in qualche modo si fa sentire anche fra i padiglioni di una Messe Berlin che dopo due anni torna a popolarsi di espositori e visitatori ma che non regala particolari novità, fatta eccezione per il mondo della casa intelligente. I temi forti che emergono da questa edizione di Ifa sono sostanzialmente due e si riflettono in uno scenario segnato in prospettiva da una significativa flessione delle vendite, vuoi per un naturale riflusso di domanda, vuoi per la necessità di svuotare magazzini riempiti alla massima capienza per ovviare alle note problematiche di supply chain.

Come si sottolinea nell’articolo di Rusconi, un’esigenza fondamentale è quella di rendere meno energivori e più eco sostenibili gli oggetti connessi che ci accompagnano nella vita quotidiana. In questo senso l’intelligenza artificiale dovrebbe essere la soluzione per ottimizzare e diminuire i consumi del proprio ecosistema di device. Il secondo tema è l’interoperabilità. Matter, il layer software nato per abbattere le barriere di comunicazione fra i dispositivi IoT è qualcosa di reale, e sempre più produttori lo stanno adottando. Ma per una casa connessa da vivere e gestire con un’unica app c’è ancora da aspettare, perché ogni brand coltiva il proprio ecosistema e rilascia le proprie app, obbligando gli utenti a destreggiarsi fra più applicazioni per controllare i diversi oggetti.

Nell’articolo sui ricorda inoltre che, secondo gli osservatori economici ed esperti di settore, l’applicazione delle nuove tecnologie potrà ridurre l’inquinamento da CO2 (secondo uno studio delle Nazioni Unite, oggi le case rappresentano il 20% delle emissioni globali) e contribuire in modo decisivo alla sostenibilità ambientale. In altre parole, l’efficienza energetica (e il contenimento dei costi) dentro casa è una priorità assoluta e la gestione intelligente e in chiave digitale dei consumi una necessità per rendere le abitazioni più efficienti mantenendo invariato (anzi migliorando) il livello di comfort offerto ai chi vi vive dentro. La kermesse di Berlino ha offerto spunti interessanti per capire i nuovi orizzonti della tecnologia applicata al mondo consumer. Un esempio il servizio di tado (Balance) che permette di attivare gli impianti di riscaldamento o raffreddamento sfruttando le migliori condizioni di prezzo dell’energia.

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