Il Centro per la mobilità sostenibile è uno dei cinque ecosistemi innovativi finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ente proponente e capofila del progetto – che riunisce 25 università e 24 grandi imprese – è il Politecnico di Milano. Il Polimi investirà 394 milioni di euro per il triennio 2023-2025, e rappresenterà l’epicentro dell’hub da cui dipenderanno 14 strutture da Nord a Sud e a cui faranno capo 696 ricercatori dedicati e 574 neoassunti. I primi reclutamenti e le prime attività partiranno a settembre. Fa il punto sull’operatività un articolo pubblicato da il Corriere della Sera dello scorso 18 luglio: Tra le aziende fondatrici A2A, Almaviva, Angelo Holding, Autostrade per l’Italia, Eni, Ferrari, Fincantieri, Fnm, Fs, Intesa Sanpaolo, Iveco, Leonardo, Pirelli, Poste Italiane, UnipolSai, Snam. Tra quelle aderenti Accenture, Atos, Avio Aero, Brembo, Hitachi, Teoresi Group, Thales Alenia Space (joint venture tra Thales e Leonardo) e Stellantis. A guardare i nomi è chiara la missione del Centro: rendere il sistema della mobilità più ecologico e digitale attraverso soluzioni leggere e sistemi di propulsione elettrica e a idrogeno; creare sistemi hi-tech per la riduzione degli incidenti e soluzioni più efficaci per il trasporto pubblico e la logistica. Le aree in cui opererà saranno l’aerospazio; i veicoli stradali sostenibili; il trasporto per vie d’acqua e ferroviario; i veicoli leggeri e la mobilità attiva. I temi strategici le propulsioni non convenzionali, che oltre a powertrain elettrico e idrogeno contempleranno anche i biocarburanti; i materiali, e dunque le batterie; e i servizi, come la guida autonoma e connessa.

Come ricorda l’articolo pubblicato dal Corriere, il Centro nazionale per la mobilità risponde a una delle missioni chiave del PNRR: passare dalla ricerca all’impresa in un’ottica di filiera e di collaborazione estesa. Il modo di operare del Centro sarà così strutturato: non appena le 14 strutture sviluppate tra Torino, Milano, la Motor Valley, Roma e Bari, svilupperanno attività promettenti per il mercato, brevetti o proof of concept, un comitato investimenti si occuperà di vagliarli e accelerarne la sperimentazione. Il Centro desidera così accompagnare la transizione green e digitale in una ottica sostenibile, garantendo la transizione industriale del comparto e accompagnando le istituzioni locali a implementare soluzioni moderne, sostenibili e inclusive nelle città e nelle regioni del Paese. È una risposta concreta ai bisogni di crescita di un settore chiave per l’economia che da solo, si stima, raggiungerà un valore complessivo di 220 miliardi di euro nel 2030, assorbendo il 12% della forza lavoro.

Un nuovo aggiornamento dell’Ocse indica come l’Internet in fibra ad alta velocità ha per la prima volta superato il cavo (“cable”, non adottato in Italia) diventando la principale tecnologia a banda larga fissa nei 38 paesi membri dell’organizzazione. A quota 34,9% gli abbonamenti a banda larga fissa. L’Italia si piazza in ottava posizione fra i Top Ten dell’accelerazione sulla fibra, registrando nel 2021 una crescita degli abbonamenti del 43,3%. Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni, con un articolo pubblicato lo scorso 21 luglio: “Una buona notizia – commentano dall’Ocse – per la fornitura di servizi e applicazioni ad alta intensità di dati, data la capacità simmetrica offerta dalla fibra”. La crescita maggiore è stata in Costa Rica, Israele, Grecia e Belgio, che nel 2021 hanno tutti aumentato le connessioni in fibra di oltre l’80%. Cile, Finlandia, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Norvegia e Portogallo e oltre il 70% in Islanda, Giappone, Corea, Lettonia, Lituania, Spagna e Svezia. Gli abbonamenti a banda larga fissa continuano a crescere in quasi tutti i paesi dell’Ocse, aumentando del 3,9% nell’area Ocse nel 2021 per un totale di 472 milioni, da 454 milioni di dicembre 2020, a una media di 34,4 abbonamenti ogni 100 abitanti nell’Ocse. La Svizzera guida il gruppo con un tasso di penetrazione di 48,4 abbonamenti ogni 100 persone, seguita da Francia (46%), Norvegia (45%) e Danimarca (45%).

Sempre nell’articolo di Cor.Com si sottolinea come l’utilizzo dei dati mobili per abbonamento è aumentato del 15% nel 2021, meno che nel 2020, ma con un aumento del 79% nei tre anni fino alla fine del 2021. La quantità di dati consumati è in media di 8,4 GB per abbonamento Ocse al mese, ma varia notevolmente in base al Paese. Nonostante l’altissima penetrazione degli abbonamenti a banda larga mobile, il 2021 ha comunque registrato una crescita significativa del 5,5%. Così nell’articolo: La penetrazione della banda larga mobile è più alta in Giappone, Estonia, Stati Uniti e Finlandia, con abbonamenti ogni 100 abitanti rispettivamente del 191%, 180%, 169% e 157%. L’Islanda è di gran lunga il leader nelle comunicazioni M2M con 317 schede sim M2M ogni 100 abitanti. L’alto numero è guidato dalla fornitura di abbonamenti M2M da parte di Vodafone Iceland. Anche Svezia, Austria, Norvegia e Germania sono ai primi posti in termini di schede sim M2M pro capite. Complessivamente, gli abbonamenti M2M/cellulari integrati sono aumentati di oltre il 16% (58 milioni di nuovi abbonamenti) nell’ultimo anno nei paesi per i quali erano disponibili dati.

La Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, pionieri della biorobotica, stanno sperimentando nuove soluzioni per la sicurezza e il benessere dei lavoratori in diversi campi operativi. La strada per creare abiti da lavoro smart è tracciata, con tessuti intelligenti, sensori che segnalano situazioni di pericolo e riescono a rilevare condizioni di stress o interagiscono con i robot. Ne parla il quotidiano Il sole 24 ore in un articolo a cura di Riccardo Oldani pubblicato lo scorso 21 luglio: Abiti che cambiano di colore in base alle emozioni o regolano la temperatura su quella di chi li indossa. Magliette che monitorano i parametri fisici degli atleti e fascette elastiche che controllano le funzioni vitali dei neonati senza bisogno di cavi e connessioni alle macchine. In un mondo in cui tutto è “intelligente” non potevano mancare gli “smart textiles”, i tessuti smart. Fino a poco tempo fa una curiosità confinata ai laboratori di ricerca, oggi iniziano a diffondersi nel mondo reale grazie allo sviluppo di filati dotati di sensori miniaturizzati o capaci di condurre calore ed elettricità. Le aziende della moda stanno ragionando su possibili utilizzi e cominciano a proporre qualche creazione. Ma è soprattutto nell’abbigliamento professionale che si vedono interessanti novità, spinte da istituti di ricerca impegnati sul fronte delle tecnologie indossabili, un settore molto vicino alla robotica.

Come ricordato nell’articolo de Il Sole 24 ore, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Istituto Italiano di Tecnologia lavorano da oltre quindici anni allo sviluppo di protesi di mano e braccio capaci di captare e convertire in comandi i deboli segnali elettrici generati dai muscoli quando si contraggono. Studi che si sono tradotti in prodotti veri e propri grazie alla collaborazione con il Centro Protesi Inail di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna, centro di eccellenza del settore. Così nell’articolo: Le tecnologie di sensoristica sviluppate per le protesi possono essere utilizzate anche in indumenti per prevenire gli infortuni sul lavoro, strada che Inail ha iniziato a perseguire da qualche anno e che ha portato allo sviluppo di speciali magliette sensorizzate pensate per segnalare a chi lavora eventuali situazioni di pericolo. Un percorso simile è stato avviato dall’Iit con il progetto AnDy, per una tuta sensorizzata in grado di rilevare situazioni di stress misurando parametri fisici, come il livello di sudorazione, il battito cardiaco e la pressione sanguigna.

Progetti come questo hanno portato allo sviluppo di tecnologie per migliorare l’ergonomia nel rapporto tra uomini e robot, riducendo lo stress fisico e cognitivo. Altrettanto interessanti le ricerche che si basano sulle percezioni tattili impresse dal mondo esterno sulla pelle. Esperienze utili per impieghi in telemedicina, ma non solo. Possono infatti avere un ruolo nei rapporti a distanza con le persone, nell’intrattenimento, ma anche per creare un nuovo modo di interagire con macchine e robot, in cui è l’uomo il cuore del sistema.

In uno scenario così politicamente sensibile come quello seguito alla caduta del governo Draghi, il progetto di varare una rete unica in fibra risulta di difficile attuazione. Essendo uno sviluppo di interesse nazionale, buona parte degli asset di Tim sono protetti dal Golden Power e dunque il governo non può non avere voce in capitolo. Cassa depositi e prestiti e Tim intanto continuano a lavorare alla definizione della cornice dell’operazione, con l’obiettivo di rispettare la scadenza del 31 ottobre per un accordo vincolante. Non solo. Sembra che Vivendi abbia alzato le sue richieste sulla rete, collocando il prezzo dell’infrastruttura in un range compreso tra 31 e 34 miliardi di euro, superiore alla stima di 31 miliardi che era in precedenza trapelata da Parigi. La valutazione è stata riportata in un articolo a firma Sara Bennewitz pubblicato dal quotidiano La Repubblica lo scorso 22 luglio: In ambienti vicini alla Cdp regna la calma, gli advisor stanno studiando l’operazione e, governo o meno, si lavora per presentare un’offerta non vincolante a fine agosto, con l’obiettivo che questa riceva il gradimento del Cda di Tim, per poi negoziare i dettagli di quella vincolante entro il 31 ottobre. In proposito, fonti finanziarie riferiscono che, attraverso il suo advisor Rothschild, Vivendi avrebbe fatto arrivare all’attenzione del Cda guidato da Pietro Labriola una nuova valutazione della rete. Interpellate, Tim e Vivendi, hanno preferito non commentare.

Come hanno commentato diversi altri organi di stampa, quella dei francesi potrebbe essere solo una posizione negoziale. Ma bisognerà vedere che cosa ne pensano gli altri attori al tavolo, cioè Cdp, Macquarie e Kkr. Come “extrema ratio” non esclude che Cdp, assieme a Macquarie e Kkr, o Vivendi, con un altro fondo, possano lanciare un’opa su Tim. Sempre le indiscrezioni di stampa, unte a voci in ambito finanziario, parlano anche di dell’esistenza di un “piano B” per la rete, da destinare a un altro acquirente nel caso in cui l’operazione con Open Fiber dovesse naufragare. A chiusura del suo articolo, Sara Bennewitz commenta: Senza una guida politica, tuttavia, mettere intorno al tavolo da un lato Cdp, Open Fiber e Macquire e dall’altro Tim, Kkr e Vivendi si fa sempre più complicato.

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