Dopo le critiche avanzate da aziende e regioni al testo di riforma degli ITS, è il momento degli emendamenti correttivi. Fra i più significativi quelli riguardanti i rapporti con l’università. Gli emendamenti sono stati depositati in previsione della imminente discussione in Aula, e c’è ampia convergenza politica per farli passare. Dedica attenzione al tema Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Claudio Tucci, pubblicato lo scorso 18 luglio: Primo: si valorizza, esplicitamente, il ruolo e il contributo fondamentale dell’impresa: le aziende dovranno infatti essere presenti, anche in gruppi o reti d’imprese, nella fondazione ITS di riferimento, e lo stesso presidente dovrà essere espressione del mondo produttivo. Secondo: si cancellano tutti i limiti quantitativi relativi alle docenze, già oggi per oltre il 70% provenienti dal mondo del lavoro. L’unico requisito per diventare “professore” nell’ITS sarà quello di essere in possesso di una esperienza maturata per almeno cinque anni nei settori produttivi correlabili all’area tecnologica dell’ITS. Insomma, teoria e pratica “on the job”, da sempre le cifre degli ITS migliori, dovranno viaggiare a braccetto. Terzo: si riequilibra il rapporto con le università, che restano partner degli ITS ma senza cannibalizzarli. Anzi sviluppando insieme a loro, in piena autonomia, percorsi formativi flessibili anche in regime di alto apprendistato, attraverso patti federativi. Quarto: si punta forte su merito e premialità, prevedendo, d’intesa con le regioni, dei veri e propri standard minimi. In pratica, se un ITS per tre anni consecutivi riceve un giudizio negativo riferito almeno al 50% dei corsi valutati nelle rispettive annualità del triennio precedente, la regione revoca l’accreditamento e con esso si perde la possibilità di rilasciare diplomi e ottenere fondi pubblici.
Come sottolineato nell’articolo di Tucci, la nuova bozza di riforma degli ITS conferma come queste strutture sono ora chiamate ad un vero e proprio salto di qualità, dopo dieci anni di “start-up”. All’ITS il compito di spingere Industria 4.0 e diffondere quella cultura tecnico-scientifica, centrale oggi. Si conferma la didattica integrata, lezioni ed esperienza nelle imprese e nei laboratori d’eccellenza, un’altra chiave di successo degli ITS, che hanno un tasso di occupazione medio superiore all’80%, con punte anche di 90 e 100%, per i diplomati a un anno da titolo, e nel 92% dei casi l’impiego ottenuto è coerente con il percorso formativo del ragazzo. Sugli ITS scommette forte il governo Draghi che ha messo sul piatto 1,5 miliardi in 5 anni attraverso le risorse del PNRR.
Consob ha approvato il documento di offerta relativo all’Opa di Marbles su Retelit. La società controllata dal fondo spagnolo Asterion aveva presentato lo scorso giugno al regolatore italiano di Borsa il prospetto per l’Opa sulla società italiana delle TLC guidata dal Ceo Federico Protto. Si occupa del tema COM.COM – Il Corriere delle Comunicazioni, con un articolo a firma Patrizia Licata pubblicato lo scorso 15 luglio: Il documento di offerta relativo all’offerta pubblica di acquisto volontaria totalitaria promossa da Marbles e approvato da Consob riguarda la totalità delle azioni ordinarie di Retelit non detenute (direttamente o indirettamente) dall’offerente, come si legge nella nota per i media. Il prezzo del titolo è fissato a 2,85 euro per ciascuna azione portata in adesione all’offerta, con un controvalore complessivo massimo dell’Opa, nel caso in cui fossero portate in adesione tutte le azioni oggetto dell’offerta, pari a 33,56 milioni di euro. Secondo Asterion, Retelit, “nella condizione di società non quotata” è in posizione migliore per “perseguire potenziali opportunità di crescita”. Il periodo di adesione all’offerta concordato con Borsa Italiana avrà inizio alle ore 8:30 (ora italiana) del 26 luglio 2021 e terminerà alle ore 17:30 (ora italiana) del 10 settembre 2021, salvo proroghe.
Come viene ricordato nell’articolo, Marbles intende usare fondi propri per la copertura finanziaria dell’operazione. A sua volta Marble HoldCo otterrà le risorse finanziarie necessarie dal Secondo Fondo Asterion (tramite un veicolo) e dai co-investitori mediante apporti di capitale e un finanziamento. Prosegue l’articolista: Asterion ha affermato che Retelit, “nella condizione di società non quotata” potrà beneficiare di una semplificazione degli assetti proprietari con conseguente allineamento degli interessi della compagine azionaria, una maggiore rapidità nell’assunzione e nella messa in atto di decisioni di investimento e un accesso diretto a una fonte flessibile di capitale per il tramite dell’offerente”. Retelit rappresenta per Asterion “un’opportunità strategica senza pari per entrare nel mercato italiano delle telecomunicazioni con una piattaforma digitale indipendente in crescita”. La società “si propone di sostenere pienamente il piano industriale e i piani di sviluppo attuali di Retelit” impegnandosi “a contribuire alla crescita dell’emittente facendo leva sulla propria esperienza nel settore delle comunicazioni e a lavorare con il management di Retelit allo scopo di raggiungere taluni degli obiettivi di crescita previsti dalla strategia dell’emittente” L’annuncio dell’operazione Marbles, con la presentazione del prospetto a giugno, è arrivato all’indomani della nomina del CDA di Retelit che visto la conferma di Federico Protto come amministratore delegato e il rinnovamento al presidente Dario Pardi di alcune deleghe per lo sviluppo di partnership commerciali strategiche, nonché di relazioni commerciali con la clientela business, oltre al mantenimento dell’incarico di responsabile della funzione di investor relations.
Per l’industria manifatturiera italiana il 2021 si sta rivelando un anno particolarmente positivo: c’è voglia di ripresa e i dati confermano questa sensazione. Sia per l’export, sia per gli investimenti in nuove tecnologie. Basta guardare i dati macro sintetizzati da UCIMU per quanto riguarda le macchine utensili: un quasi raddoppio degli ordini nei primi sei mesi dell’anno. Ne parla Il Sole 24 Ore in un articolo a firma Luca Orlando pubblicato lo scorso 13 luglio: Qualcosa di più di un mero rimbalzo fisiologico, con risultati che non solo superano i livelli pre-Covid ma si pongono anche oltre quelli del biennio stellare 2017-2018. Scatto dell’88% targato soprattutto Italia (+238%), anche se la crescita internazionale (+57,5%) dimostra la solidità della ripresa, superiore ad ogni stima. Perché appena lo scorso ottobre, che pare distante un secolo, l’assise annuale di Ucimu presentava un quadro assai diverso. Con un recupero ancora tutto da costruire, proprio mentre le prime avvisaglie della seconda ondata di Covid frenavano i già flebili entusiasmi. Da allora, la revisione delle stime di produzione 2020, passate da un calo vicino al 35% ad una riduzione di 20 punti, hanno dato evidenza del cambio di passo, suggellato ora nell’assemblea 2021 dell’associazione dei produttori di macchine utensili da una stima di crescita a doppia cifra per l’anno in corso.
Sempre nell’articolo si sottolinea come l’Italia, quarto paese produttore ed esportatore di robot al mondo, sembra ben avviata nel sentiero di recupero, con stime che potrebbero nel corso del secondo semestre 2021 riviste ulteriormente al rialzo. E aggiunge Orlando nel suo articolo: Certezze comunque non assolute alla luce di un contesto ancora fluido, in cui costi delle materie prime e scarsità di componenti elettronici rischiano di minare la ripresa avviata raffreddando il ciclo positivo degli investimenti. Forte soprattutto in Italia, grazie agli incentivi 4.0. Scarsa disponibilità di budget e maggiore inerzia nella cultura d’impresa suggeriscono per questo target una stabilizzazione degli orizzonti di incentivo.
Appena un anno fa il progetto “rete unica nazionale in fibra” appariva molto vicino alla sua concretizzazione. Tim era la società che sarebbe dovuta essere principale protagonista di un’infrastruttura unica nazionale, unendo le sue forze a quelle di Open Fiber. Oggi lo scenario appare in parte mutato, con forse meno aspettative sulla rete unica e invece un focus più forte sul cloud, la “nuvola” informatica che dovrebbe custodire i dati e rientra anche nei progetti del governo Draghi per il Recovery Plan.
Dedica attenzione al tema il Corriere della Sera, con un articolo a firma Francesco Manacorda pubblicato lo scorso 12 luglio. L’articolo si apre con un’osservazione sulla recente visita a Roma dei vertici di Vivendi, società francese che possiede il 23,75% di TIM: …nelle loro interlocuzioni con il ministro dell’Economia Daniele Franco e con quello dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti gli è stato spiegato che il tema della rete – unica o meno – non dipende da quei dicasteri, ma è stato affidato dal premier Mario Draghi alla responsabilità esclusiva di Vittorio Colao, l’ex supermanager Vodafone che adesso è ministro dell’Innovazione tecnologica e della transizione digitale. E le poche volte in cui Colao si è espresso pubblicamente sul tema ha sottolineato che il problema dell’Italia non è quello di avere o no la rete unica, quanto di ridurre o eliminare il “digital divide” che oggi separa la società italiana tra chi può avere un accesso ultrarapido alla rete e chi no. Le soluzioni per superare questo gap possono essere più di una: ad esempio quella di integrare la rete in fibra che arriva ad alcuni snodi principali a una serie di antenne 5G in grado di diffondere ulteriormente il segnale, o quella – che lo stesso Colao ha già messo in cantiere – di allestire gare per la rete nelle cosiddette “aree grigie”, ossia quelle dove si prevede la presenza di un solo operatore. Il cronoprogramma del governo prevede di fissare per fine anno i bandi di gara per poi procedere all’aggiudicazione entro il primo semestre del 2022 ed è palese che di fronte a una gara ci debbano essere più concorrenti e non un operatore unico.
Lo stesso articolo ricorda però che sul fronte Telecom l’opzione rete unica non viene data per morta; anzi prosegue il dialogo con la Cassa Depositi e Prestiti per vedere a che punto è il dossier nel quale proprio la Cdp giocherebbe un ruolo fondamentale, visto che oltre ad avere il 10% di Tim si appresta a passare da socio paritario di Enel in Open Fiber a primo azionista con il 60%, mentre il restante 40% andrebbe al fondo australiano Macquarie.
I tavoli tecnici tra Tim e Cdp in effetti ci sono, vertono in gran parte sugli aspetti regolatori, ma la loro missione è innanzitutto capire se andare avanti sulla rete unica e solo in caso di risposta positiva stabilire come farlo. (…) Che piano B preparare se la rete unica non si dovesse fare? Per la Tim un’ipotesi subottimale, ma alla quale potrebbe adeguarsi, è quella di sostituire una rete unica con la stessa società come azionista di maggioranza – questo era il progetto originale per cui Gubitosi si batteva – in una consorzio di operatori che si impegnino a coinvestire per la rete: il vantaggio a breve termine per la società telefonica sarebbe probabilmente quello di un minor assorbimento di capitale; ma a più lungo termine si potrebbero rivelare deleteri per Tim gli effetti di non avere saldamente in mano la rete comune da far pagare agli operatori che la vogliono usare.