Tim Enterprise è una delle due “anime” di ServiceCo, la newco in cui convergeranno anche le attività Consumer sulla base del piano industriale 2022-2024 presentato lo scorso 7 luglio dall’AD di TIM Pietro Labriola. Tim Enteprise includerà tutte le attività commerciali nel mercato Enterprise e le digital companies Noovle, Olivetti e Telsy nonché gli asset relativi ai data center.
Secondo quanto pubblicato da La Repubblica, il fondo di private equity CVC vorrebbe rilevare una quota della divisione TIM dedicata alle imprese. L’articolo è a firma di Sara Bennewitz ed è uscito sulle pagine del quotidiano lo scorso 13 luglio: La nuova divisione dedicata alle grande aziende di Telecom Italia, che l’ad Pietro Labriola ha presentato al mercato il 7 luglio scorso, entra nel mirino dei fondi di investimento internazionali. In particolare di Cvc, il private equity guidato in Italia da Giampiero Mazza, che già lo scorso 25 marzo aveva fatto un’offerta per una quota di minoranza, valorizzando l’intera società 6 miliardi. Ma ora che Labriola ha illustrato il nuovo piano industriale e si è aggiudicato il contratto da 2,7 miliardi per gestire i servizi cloud della Pubblica amministrazione, Cvc è intenzionata a tornare alla carica. Fonti finanziarie riferiscono che la nuova bozza di proposta non vincolante, inviata da Cvc lo scorso 6 luglio, valuta circa 7 miliardi (debiti compresi) il 100% di Tim Enterprise, la società che raggrupperà le attività del cloud di Noovle, della cyber sicurezza di Telsy e dell’It di Olivetti. Mazza avrebbe però chiesto stringenti condizioni di governance – essendo interessato a una minoranza di peso. E che Tim si facesse carico dei costi di ristrutturazione, ovvero le spese per creare la società, confluire le attività, i contratti, le aziende, le persone (5.300 addetti) e gestire gli scivoli all’uscita (30 milioni l’anno) e così via.
Sempre in merito a TIM Enterprise, ricordiamo che la nota del CdA di TIM nella quale venivano definiti i dettagli della strategia industriale per i prossimi due anni, così si esprimeva: “Facendo leva su una posizione di leadership presso la Pubblica Amministrazione e i grandi clienti e su una selling proposition end-to-end unica e distintiva, punta a conquistare quote in un mercato in crescita grazie alla spinta verso i servizi digitali. Un approccio da tech-company, sempre più integrato, anche organizzativamente, per un’offerta end-to-end che valorizzerà pienamente l’unicità delle competenze e degli asset del Gruppo, spinti dai trend di Cloud, IoT e Cybersecurity”,
Da evidenziare inoltre come sempre durante la presentazione del piano, Labriola aveva dichiarato che L’Enterprise avrà 17 data center e rilevanti contratti collegati, il 60% di questi contratti con una durata di almeno tre anni. Motivi che vanno a fendere ancora più appetibile per i soggetti interessati investire in EnterpriseCo.
La riforma degli ITS, il percorso post-diploma di formazione tecnica parallelo alle lauree universitarie triennali e gestito da Fondazioni insieme alle imprese, ora è legge. È passata alla camera lo scorso 12 luglio all’unanimità. Un cambiamento epocale per l’istruzione tecnica post-diploma. Rivolge attenzione alla riforma il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Claudio Tucci pubblicato lo scorso 13 luglio: D’ora in avanti, i finanziamenti agli Its avranno sempre più «carattere di stabilità», legati ad una programmazione triennale dell’offerta formativa (nasce un fondo per l’istruzione tecnologica superiore da 48,3 milioni a decorrere dal 2022). Le risorse previste dal Pnrr, 1,5 miliardi in 5 anni (di cui i primi 500 milioni in arrivo entro l’estate), dovranno andare ad incrementare il numero dei percorsi formativi, e quindi a vantaggio degli studenti (e non distribuiti a pioggia). Le imprese poi saranno perno degli Its. Almeno sotto quattro punti di vista. Primo: la docenza dovrà arrivare «per almeno il 60% del monte ore complessivo» dal mondo del lavoro. Secondo: stage e tirocini aziendali, quindi “pratica sul campo”, dovranno rappresentare «almeno il 35%» della durata del percorso, e potranno essere svolti anche all’estero e sostenuti da adeguate borse di studio. Terzo: la presidenza della Fondazione Its è, di norma, «espressione delle imprese fondatrici e partecipanti» (gli Its a guida imprenditoriale sono da sempre i più performanti). E quarto: per le aziende che investono negli Its è previsto un credito d’imposta del 30%, che sale al 60% se l’erogazione è fatta nelle province con maggior tasso di disoccupazione.
Come si ricorda nell’articolo, soddisfazione è stata espressa da tutto l’arco parlamentare, ad esempio dalla storica responsabile scuola di Forza Italia, Valentina Aprea, che ha commentato : «L’Italia, per la prima volta nella sua storia, definisce un sistema terziario professionalizzante in cui, finalmente, alle imprese si riconosce di svolgere una funzione pubblica. Gli Its sono uno strumento concreto per colmare il mismatch ad alta specializzazione per favorire la competitività delle aziende e l’occupabilità dei giovani tecnologici 4.0».
Sempre nell’articolo si sottolinea come: Con le nuove norme gli Its si chiameranno Its Academy (il termine Academy richiama il ruolo dei centri di innovazione e di ricerca delle aziende, ndr) e saranno il fiore all’occhiello formativo nelle aree tecnologiche più rilevanti per la nostra manifattura made in Italy, e in linea con 4.0 e Pnrr, dalla mobilità sostenibile all’efficienza energetica, alle nuove tecnologie per il made in Italy, agro-alimentare, meccanica, moda, servizi alle imprese, sistema casa. Gli Its si confermano percorsi a doppia uscita: di norma quinto livello Eqf se di durata biennale (4 semestri), e, per specifiche esigenze formative, di sesto livello Eqf se triennali (6 semestri).
“Servono misure straordinarie e temporanee legate allo sviluppo del Pnrr: il 10% dei 5,5 miliardi assegnati con le gare basta appena a coprire il costo dei mezzi tecnici per realizzare i lavori e per un escavatore occorrono dagli 8 ai 10 mesi di attesa per l’approvvigionamento. Altrettante risorse per un camion. E sul versante della formazione servono 6 mesi per un addetto alla posa tradizionale, 14 per un addetto alla posa Enel e tra i 6 e gli 8 per formare un giuntista”, Così Luigi Piergiovanni, Presidente System Integrator Tlc di Anie, durante il convegno sul tema organizzato dal Gruppo lo scorso 14 luglio a Roma. Dedica attenzione al Tema Mila Fiordalisi, Direttore di Cor.Com – Il Corriere delle comunicazioni, in un articolo pubblicato lo stesso14 luglio. Ricordiamo che Mila Fiordalisi è stata anche moderatice del convegno: “Stiamo lavorando con il Ministero del Lavoro per accelerare il reclutamento delle competenze. Ma c’è un altro tema che andrà affrontato: che cosa succederà nel 2026 quando il Piano sarà concluso? Questa è a mio avviso la vera questione. Il reskilling è faticoso, e bisogna essere in grado di garantire una prospettiva ai lavoratori. Non possiamo pensare solo all’orizzonte del Pnrr, ma anche a quello che viene dopo”. Lo ha detto la Sottosegretaria al Mise, Anna Ascani, dal palco del convegno “Obiettivo Pnrr il gap delle risorse umane qualificate sul cammino della banda ultra larga” organizzato da Aniee andato in scena oggi a Roma. A dibattito i rappresentati di alcuni dei top player del comparto – Open Fiber, Retelit, Fastweb e Inwit -, Francesco Algieri, Responsabile Asstel per i rapporti sindacali e l’amministratore delegato di Infratel Marco Bellezza
“Per realizzare entro il 2026 gli obiettivi del Pnrr legati alle gare a banda ultralarga servono 19.600 risorse di cui il 40% è manodopera necessaria alle squadre per le opere civili, che sul mercato del lavoro italiano si faticano a reperire. Per portare a termine questi obiettivi è necessario rivedere la logica dei flussi migratori per i contratti Tlc e Metalmeccanici, con finanziamenti a fondo perduto per l’accoglienza, la formazione e la messa al lavoro”. Questo l’appello di Luigi Piergiovanni, Presidente System Integrator Tlc di Anie.
Come ricorda l’articolo di Cor.Co, dettagliati i dati presentati da Anie per fare il punto sullo scenario, sulle risorse e le tipologie di figure che mancano all’appello e sulle azioni da avviare per traguardare gli obiettivi PNRR: La questione dei flussi migratori deve fare il paio – ha evidenziato la Federazione – con accordi bilaterali con i principali paesi extra Ue fornitori di manodopera, ristori per far fronte ai rincari subiti dalla filiera, indicizzazione dei contratti per contrastare la volatilità dei mercati, finanziamenti a fondo perduto per l’acquisto dei mezzi e attrezzature per realizzare la banda ultra larga, formazione del personale neo-assunto, garanzie sull’anticipo dei pagamenti legati ai contratti pubblici anche se non direttamente assegnatari, termini di pagamento più brevi e accesso a forme di smobilizzo dei crediti a condizioni agevolate e, infine, con una deroga al regime Iva di Split Payment o Reverse Charge per la fatturazione dei lavori di realizzazione della banda ultralarga nonché con l’abbattimento dell’aliquota Ires/Irap.
Serve il coraggio di cambiare per le opportunità del digitale: questo il tema dell’Open Innovation Summit organizzato all’inizio del mese di luglio da Digital Magics con il Sole24Ore. Al dibattito avvenuto durante il Summit dedica un articolo Alessandro Longo, pubblicato lo scorso 16 luglio sempre sulle pagine del principale quotidiano economico-finanziario italiano: …oggi il coraggio di cambiare va di pari passo, appunto, con l’open innovation: un’innovazione aperta basata sulla collaborazione tra aziende. In primis tra aziende tradizionali e start up. «Il fattore critico di successo è creare un ecosistema aperto di all’innovazione e alla collaborazione», sottolinea Agostino Santoni, vicepresidente di Confindustria con delega al digitale. Gay parte dai numeri: il mercato del digitale crescerà del 3,5% nel 2022 (+5,3% nel 2021 a 75 miliardi di euro), «nonostante tutto». «Gli abilitatori della trasformazione digitale – prosegue – cresceranno a doppia cifra anno per anno fino al 2030». Elementi che dovrebbero convincere chiunque su quale sia la strada giusta, per il futuro di un’azienda, di un Paese. Ma come percorrerla? Santoni considera due precondizioni: l’investimento in infrastrutture digitali banda larga, «che devono raggiungere tutti, ovunque» e la transizione ecologica.
Come viene sottolineato da Longo nell’articolo, spesso si fa l’errore di considerare i due punti uno di fianco all’altro, ma vanno integrati. Il digitale è un fattore importante per la transizione ecologica. Per favorire questa consapevolezza, serve una nuova cultura, facendo incontrare quella delle startup con quella delle aziende del territorio: mettere insieme punti di vista, superando diffidenze tra startup e aziende tradizionali. Così ancora nell’articolo: Questo difficile incontro tra vecchio e nuovo, che devono compenetrarsi per trasformarsi e trasformare il Paese, è il principale punto critico. «Le aziende devono essere brave e veloci a sperimentare; questa è la cultura che possono apprendere dalle start up – dice Irene Cassarino, ad di The Doers -. Ci sono invece ancora aziende che piegano le start up al proprio modello ed è un male: la vera innovazione invece è cambiamento». Di nuovo, il coraggio di cambiare. Ciò che serve e che almeno in parte ancora manca. Anche se «le cose stanno cambiando, anche in Italia».