Il PNRR ferroviario è tra le voci più rilevanti ed interessanti dell’intero Recovery Fund. Lo evidenzia la nuova tabella che il Ministro Giovannini ha inviato al Parlamento mentre un’elaborazione RFI evidenzia la quota tecnologica pari quasi alla metà del totale alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile andranno parecchi miliardi di euro. Nella sua lettera al Parlamento, Giovannini fa anche un punto più generale del piano ferroviario. Il ministro ricorda che quel piano è «integrato da 10,35 miliardi per l’alta velocità» dal fondo complementare nazionale collegato al PNRR, da 1.55 miliardi per le ferrovie di proprietà regionale, da 200 milioni per il rinnovo del parco locomotori, da 300 milioni per la prima fase della sperimentazione a idrogeno, da 800 milioni per il rinnovo dei treni regionali a lunga percorrenza.
Dedica specifica attenzione al tema Il Sole 24 Ore, con un articolo pubblicato lo scorso 3 luglio a firma di Giorgio Santilli: La sorpresa maggiore di questo «piano aggiuntivo» di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) finanziato dal PNRR è la quota dei progetti in tecnologia rispetto a quello in infrastrutture civili. Secondo una elaborazione della stessa società RFI, di cui è venuto in possesso Il Sole 24 Ore, questi interventi ammontano a 6.161 milioni, quindi poco meno della metà del totale dei progetti aggiuntivi. Niente male per un piano noto per l’estensione della rete di Alta velocità, a partire dalla linea Salerno-Reggio Calabria, per il completamento delle linee veloci del Nord (Brescia-Verona-bivio Vicenza e Terzo valico), per la realizzazione delle trasversali come Roma-Pescara, Orte-Falconara e Battipaglia-Potenza-Metaponto.

Come ricorda Santilli nel suo articolo, le tecnologie applicate alla rete ferroviaria sono fondamentali non solo per accrescere la sicurezza del traffico, ma anche per aumentare la capacità della rete. Sono investimenti che più rapidamente e con minori costi rispetto alle opere civili consentono di far crescere la produttività della rete. A questo proposito sottolinea: Quasi tre miliardi (di cui 2,7 aggiuntivi) vanno allo European Rail Traffic Management System (Ertms), il sistema di controllo elettronico della marcia del treno che sarà via via esteso all’intera rete ferroviaria: ottimizza la capacità delle linee esistenti, facendo passare più treni, garantisce sicurezza, contribuisce a una maggiore puntualità dei convogli. Ertms è la tecnologia applicata finora all’alta velocità che controlla il distanziamento dei treni, provocando una frenata automatica in caso di riduzione della distanza fra convogli. RFI è da dieci anni all’avanguardia in queste tecnologie e l’AD Vera Fiorani conferma ora, e anzi rafforza e accelera, questa scelta strategica verso la rete ferroviaria digitalizzata. Un effetto positivo anche sul piano paesaggistico, perché scompariranno i pali del segnalamento che oggi fiancheggiano i binari. Ma il «piano aggiuntivo» può contare su una diffusa presenza di tecnologie, con numerosi interventi di upgrade o potenziamento, come nel caso della linea Adriatica e della Pontremolese e dei nodi di Roma e Milano, oppure con interventi misti tecnologia-opere civili o ancora elettrificazione di linee come la Ivrea-Aosta, Palermo-Trapani, Como-Lecco, Civitanova-Macerata-Albacina, Roccaravindola-Isernia-Campobasso.

L’evoluzione verso il 5G prosegue e lo dimostrano i dati che provengono dal mercato dell’utenza. Gli utenti degli smartphone 5G consumano infatti fino a 2,7 volte più dati mobili degli utenti 4G: è quanto emerge un nuovo report della società specializzata OpenSignal, che quantifica l’impatto del 5G e del Covid-19 sul consumo di mobile data. Lo studio è stato condotto su 20 mercati, tra cui l’Italia. Dedica attenzione al tema COR.COM – Il Corriere delle Comunicazioni con un articolo a firma Patrizia Licata: La pandemia, da un lato, e l’arrivo delle reti commerciali e degli smartphone 5G, dall’altro, hanno rappresentato la spinta principale all’utilizzo di applicazioni come musica, video, giochi da mobile, sottolinea Opensignal. I Paesi dove l’incremento dell’utilizzo di mobile data è maggiore sono Giappone (2,7 volte in più rispetto agli utenti 4G), Canada (2,2 volte di più), Germania (2,1 volte) e Corea del Sud (2,1 volte). I Paesi dove vengono consumati più dati da dispositivi 5G sono Taiwan (47,3 GB al mese), Arabia Saudita (42 GB/mese) e Sud Corea (37,9 GB/mese). Nei primi 90 giorni del 2021 gli utenti italiani di smartphone 5G hanno consumato in media 15,4 GB al mese di dati mobili, 1,5 volte in più degli utenti 4G (10,4 GB/mese). In generale, il consumo medio di dati mobili degli utenti italiani (indipendentemente dalla rete mobile utilizzata) è cresciuto del 22,2% a 10,2 GB/mese nel primo trimestre 2021 rispetto a 8,3 GB/mese del primo trimestre 2020.

Patrizia Licata ricorda inoltre come il dato risulta molto più basso rispetto al boom di utilizzo di dati mobili registrato durante la pandemia: l’incremento nel primo trimestre 2020 rispetto al primo trimestre del 2019 è stato del 70,2% (in media gli italiani hanno consumato 3,4 GB al mese in più): Gli utenti “massicci” di dati da smartphone (consumano più di 1 GB al giorno) in Italia sono aumentati del 2% in un anno (dai primi tre mesi del 2020 ai primi tre mesi del 2021). Gli utenti “light” (consumano meno di 50 MB al giorno) sono diminuiti dell’1,9%. Considerando tutte le tecnologie mobili su 65 mercati mondiali, Opensignal ha misurato un incremento dell’uso di dati del 17,2% nel primo trimestre del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020, pari a 1,3 GB di dati in più al mese consumati da ciascun utente di smartphone. L’anno prima, per effetto della pandemia, l’aumento era stato maggiore: 2,1 GB al mese in più consumati da ciascun utente nel primo trimestre 2020 rispetto al primo del 2019. Opensignal sottolinea che il 5G ha permesso di spezzare la connessione fra elevato traffico di dati mobili e congestione delle reti. I mercati dove vengono consumati più dati mobili sono anche quelli dove la 5G experience è migliore in base al Benchmark di Opensignal. La velocità con cui viaggiano i dati su 5G non viene impattata al momento dall’alto consumo.

È uno scenario a luci e ombre quello che emerge dall’indagine Ucimu sullo stato di innovazione tecnologico delle imprese Italiane, report recentemente presentato in un’apposita conferenza stampa. L’indagine “Il parco macchine utensili e sistemi di produzione dell’industria italiana”, è stata ideata da Ucimu-Sistemi per produrre, l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, in collaborazione con Fondazione Ucimu, con il contributo di Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, di Ice agenzia e Unioncamere.
In base ai dati rilevati emerge che sono ancora tante, troppe, le aziende di minori dimensioni che continuano a mantenere in attività sistemi obsoleti ma funzionanti. Il parco macchine utensili e sistemi di produzione installato nell’industria italiana risulta più vecchio di quello di cinque anni fa. Non solo: nel 2019, l’età media dei macchinari di produzione presenti nelle imprese metalmeccaniche del paese è risultata la più alta mai registrata. Di contro cresce il grado di automazione e integrazione degli impianti, segno che le misure di incentivo alla competitività in materia 4.0 hanno avuto i primi effetti.
Dedica all’indagine uno specifico articolo Il Corriere della Sera, con una pagina a firma Dario Di Vico: Un test importante per capire il grado di ammoderamento delle nostre fabbriche e orientare le scelte dei policymaker. Ma stavolta, visto i provvedimenti di Industria 4.0 e il carattere disruptive della digitalizzazione, l’Ucimu ha scelto di tagliare i tempi e di lanciare una nuova indagine a soli 5 anni dalla precedente.
L’indagine, effettuata con cadenza decennale e giunta alla sesta edizione, arriva infatti ad appena cinque anni dalla precedente, con l’obiettivo di misurare i primi effetti della politica inaugurata dall’allora ministro Carlo Calenda. Condotta su un campione rappresentativo di oltre 2mila imprese (con più di 20 addetti), l’indagine fornisce il quadro su numerosità, età media, grado di automazione/integrazione, composizione e distribuzione (per settore, dimensione di impresa, aree territoriali) del parco macchine utensili e sistemi di produzione dell’industria del paese, al 31 dicembre 2019. Continua ancora l’articolista: Per chiudere il gap grandi/piccoli è necessario che le imprese minori sappiano di poter adottare in serenità piani di investimento a media gittata.
In questo senso, ha commentato Barbara Colombo, presidente Ucimu – emerge la tendenza all’allargamento della forbice tra imprese che investono e crescono in competitività e imprese che restano ferme. I provvedimenti per sostenere l’ammodernamento del parco macchine e per incentivare la transizione 4.0 del manifatturiero del Paese hanno prodotto effetti interessanti ma non ancora sufficienti ad assicurare la trasformazione digitale del metalmeccanico. Per questa ragione occorre che le misure attualmente operative, quali il credito di imposta, per gli acquisti in nuove macchine tradizionali e con tecnologia 4.0, proseguano oltre il 2022.

I Cyber attacchi fanno sempre più paura, sia per numero che per intensità. Il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ha recentemente sottolineato che “Gli attacchi si fanno sempre più sofisticati contro la nostra economia”. Gli attacchi “cyber” hanno ormai raggiunto una preoccupante diffusione a livello mondiale, con elevati danni economici per le aziende. Un allarme rilanciato anche dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Franco Gabrielli, ascoltato recentemente su questo tema dalle commissioni Affari Costituzionali e Trasporti: “La stragrande maggioranza della struttura cibernetica italiana sotto il profilo pubblico presenta fortissime criticità. Sulla creazione di un’agenzia ad hoc siamo in ritardo”. In questo allarmante scenario che accomuna privato e pubblico, diventa sempre più importante per istituzioni e aziende, qualunque sia l’attività che svolgono, proteggersi da tali eventi, adottando misure di protezione, sia a livello di sistemi informatici, sia a livello di gestione delle procedure e di sensibilizzazione sui comportamenti da adottare. Oltre a tutto questo, non va dimenticato che un’azienda è soggetta anche a eventi di natura più “tradizionale”, come incendi, eventi naturali, sovratensioni elettriche, furti, che possono provocare danni materiali, anche ingenti, al sistema informatico, alle banche dati e alle apparecchiature elettroniche in generale. Per rispondere a questa esigenza di protezione, le compagnie assicurative propongono prodotti che coniugano un’assicurazione contro i danni materiali alle infrastrutture elettroniche, con polizze contro i rischi derivanti da attacchi informatici (sezione Cyber Risk).
Ne parla Affari&Finanza, magazine settimanale di economia del quotidiano La Repubblica, ricordando come però le specifiche polizze assicurative possono avere costi molto elevati: Ciò che frena il mercato dal decollare ancor di più è il costo delle polizze e altri limiti all’offerta. Le compagnie aumentano i prezzi a carico degli assicurati per tutelarsi dal rischio di dover pagare premi da urlo. Le polizze inoltre non coprono mai tutto: per esempio non risarciscono l’importo del riscatto chiesto dagli hacker per ridare i dati rubati o per lasciare in pace l’azienda, né il costo del ripristino del sistema compromesso che è elevato. Così, oggi, un’assicurazione contro gli attacchi Cyber non è ancora per tutti.
Alla luce di queste condizioni onerose riguardanti le polizze, vi è da chiedersi se non sia meglio adottare misure stabili di protezione dai Cyber attacchi, piuttosto che pagare ogni anno cifre possono addirittura superare l’entità di un software all’avanguardia di cyber protezione.

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