Il Parlamento europeo ha confermato il bando dal 2035 alla vendita di auto a benzina, diesel e gpl. Da quella data, quindi, potranno essere venduti in Europa solto veicoli (furgoni e auto) a zero emissioni.La decisione fa parte del pacchetto climatico Ue denominato “Fit for 55” e prevede la diminuzione delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. L’obiettivo finale è di arrivare alla decarbonizzazione totale  per il 2050. La nuova norma in materia di emissioni zero è stata approvata a ristretta maggioranza da parte della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo con  di 46 voti favorevoli, contro i 40 contrari e due astenuti. Si è giunti quindi a fine giugno alla ratifica in aula. Rivolge attenzione all’argomento il Corriere della Sera, con un articolo a firma di Rita Querzè, pubblicato lo scorso 29 giugno: L’Italia è venuta allo scoperto con Portogallo, Bulgaria, Slovacchia e Romania. I cinque Paesi hanno chiesto che la linea che privilegia la tecnologia dell’elettrico venisse ammorbidita. E che dal 2035 al 2040 sia possibile immatricolare un 10% di auto alimentate con carburanti bio o sintetici. Percentuale che salirebbe al 20% nel caso dei veicoli leggeri. Nel nuovo equilibrio un ruolo importante avrebbero i biocarburanti e i carburanti sintetici. «Abbiamo chiarito cosa occorre per rendere accettabile per noi la proposta: raggiungere la neutralità tecnologica utilizzando combustibili carbon neutral dopo il 2035», ha detto il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, al Consiglio Ambiente per l’Italia. Una posizione sostenuta anche dal ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti. Il problema è che Italia, Portogallo, Bulgaria, Slovacchia e Romania da sole non bastano. Serve un numero di Paesi che rappresenti una quota di popolazione europea superiore al 35%. Altri sono stati sentiti (Spagna, Polonia) ma non hanno aderito. Chiave è diventata subito la posizione della Germania che anche solo astenendosi può spostare il Consiglio Ambiente su una posizione meno drastica.

Uno spiraglio per ottenere una proroga resta aperto. La Commissione europea ha infatti confermato che l’obiettivo zero CO2 al 2035 è qualcosa «che le auto ibride ad oggi non possono conseguire, ma se i costruttori pensano di poterlo fare, vedremo, faremo le nostre valutazione nel 2026, dipende da loro», ha detto il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans. Resta sullo sfondo la proposta della Germania, che in precedenza aveva chiesto un emendamento alla direttiva per mettere fine alla vendita di veicoli a benzina e diesel in Europa, chiedendo però che dal 2035 vengano immatricolati soltanto veicoli «che utilizzano combustibili climaticamente neutri». Secondo il governo tedesco questa strada è ancora percorribile: la Commissione europea starebbe infatti lavorando a una proposta per includere le auto alimentate a combustibili ecologici dopo il 2035.

Come ricordato nell’articolo, la posizione italiana è caratterizzata da consapevolezza sulla transizione ma anche dalla volontà di salvaguardare l’industria nazionale. «Tutti vogliamo la transizione, purché basata su presupposti di reale sostenibilità, sociale, economica e tecnologica», dice il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Marchesini. «Apprezziamo i fatto che il governo abbia accolto molte delle nostre posizione», commentava in serata Marco Giorda, direttore di Anfia, l’associazione dei componentisti.

Terna, il gestore della rete elettrica nazionale che è il primo operatore di rete al mondo ad associarsi al dipartimento del MIT di Boston, uno dei centri di ricerca migliori a livello planetario, per la ricerca, l’istruzione e la divulgazione dei temi dell’energia. Il Gruppo Terna parteciperà infatti al “Future Energy Systems Center” del Mitei per facilitare le interazioni tra i ricercatori del Mit e l’industria, al fine di accelerare la ricerca e sviluppare soluzioni per l’evoluzione del settore elettrico. E’ fondamentale infatti non solo produrre energia elettrica da fonti sempre più rinnovabili, ma mettere a punto le migliori tecnologie per la trasmissione dell’energia stessa riducendo al minimo la dispersione. Senza contare poi tutto il campo dell’immagazzinaggio dell’energia, sempre più importante con le fonti rinnovabili. Dedica attenzione al tema il quotidiano La Repubblica, con un articolo pubblicato lo scorso 30 giugno: Il Terna e il MIT Energy Initiative (MITEI), il dipartimento del MIT per la ricerca, l’istruzione e la divulgazione dei temi dell’energia, annunciano che l’azienda italiana, a partire dal 1° luglio, sarà il primo Transmission System Operator ad associarsi al MITEI. Questa collaborazione rappresenta per Terna un ulteriore passo in avanti nel rafforzamento del proprio ruolo chiave di regista della transizione energetica e nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati dal Green Deal europeo. In base all’accordo triennale, il Gruppo Terna partecipa al Future Energy Systems Center del MITEI, il cui obiettivo è quello di facilitare le interazioni tra docenti e ricercatori del MIT e le aziende associate, per affrontare le pressanti sfide energetiche e sviluppare soluzioni per la decarbonizzazione da introdurre nel mercato. A tal fine, il Centro sta sviluppando una serie di attività di ricerca, finanziate dai soci, finalizzate all’evoluzione del settore elettrico.


Come sottolineato nell’articolo, in quanto componente fondamentale del Climate Action Plan for the Decade del MIT e del programma di ricerca del MITEI, i ricercatori del Future Energy Systems Center condurranno analisi integrate del sistema energetico, fornendo approfondimenti sulle complesse trasformazioni multisettoriali che genereranno impatti sugli impianti di produzione di energia e sui sistemi di trasporto, sull’industria e sull’ambiente urbano. Inoltre, In virtù della sua appartenenza al Future Energy Systems Center del MITEI, Terna parteciperà al Center Advisory Committee e contribuirà quindi alla definizione dell’indirizzo complessivo e delle priorità di ricerca future del Centro. Terna beneficerà, inoltre, della partecipazione a seminari periodici su importanti tecnologie e temi energetici emergenti, nonché a workshop organizzati con l’obiettivo di divulgare i risultati delle ricerche e facilitare il confronto tra aziende associate e ricercatori del MIT su progetti di ricerca in corso e in prospettiva.

Tutti i manufatti lungo la rete Anas prevedono ispezioni trimestrali e un’ispezione tecnica più approfondita una volta l’anno. Sulla base di questo processo continuo, viene stilato il piano di interventi di manutenzione ricorrente e programmata. In questo momento, gli sforzi dell’azienda sono volti a sviluppare sistemi di monitoraggio dinamico per valutare lo stato dell’opera durante l’esercizio, attraverso l’installazione di una rete di sensori sul campo. La strategia risulta essere quella di superare la logica dell’intervento episodico o emergenziale. Rivolge attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 ore, con un articolo a firma di Marco Morino, pubblicato lo scorso 30 giugno: Sulla base di questo processo continuo di ispezioni e controlli, viene stilato il piano di interventi di manutenzione ricorrente e programmata. Inoltre, nell’ambito del fondo complementare del valore di 30 miliardi di euro connesso al Pnrr, Anas ha avuto accesso a 275 milioni di euro per strumenti innovativi per la sicurezza delle opere d’arte e il monitoraggio tecnologico. Si tratta – continua Anas – di un importante capitolo di azione che stiamo perseguendo attraverso la cosiddetta manutenzione predittiva, dotando cioè la nostra rete di sensori e sviluppando software in grado di legge re il comportamento dei nostri ponti e viadotti». In pratica, si interviene in anticipo per scongiurare disastri futuri.

L’intervento tramite nuove tecnologie risulterà certamente fondamentale, considerando anche le possibili integrazioni tra sensoristica e dispositivi IoT. Inoltre il monitoraggio continuo permette di acquisire costantemente dati sullo stato di salute delle infrastrutture e conoscere sempre meglio le condizioni vita dell’opera e cosa capita sotto stress. Così ancora nell’articolo: Prosegue Anas: «Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi avanti sul piano della conoscenza approfondita di ponti e viadotti. Abbiamo completamente ristrutturato e standardizzato tutta la filiera delle ispezioni e certificato gli ispettori. Nel 2020 abbiamo condotto 76.600 ispezioni su 17.738 tra ponti, viadotti e sovrappassi. Nel 2021, queste cifre sono ulteriormente cresciute: 85.767 ispezioni su 18.625 ponti». Anche l’impegno finanziario è in crescita: nel 2020 Anas ha investito, in attività di manutenzione programmata di ponti, viadotti e gallerie, circa 800 milioni di euro. Nel 2021 l’investimento in manutenzione ha superato gli 1,1 miliardi di euro.

Prosegue il percorso nazionale verso lo sviluppo delle reti fise e mobili, con importanti passi in avanti e alcuni problemi, primi fra tutti quelli di ordine burocratico. Ricordiamo che recentemente TIM si è aggiudicata tutti i lotti di uno dei primi bandi di gara per le reti 5G nelle aree a fallimento di mercato con un contributo pubblico di 725 milioni di euro. Il bando di gara, gestito da Infratel Italia, società in-house del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), sulla base della convenzione stipulata con il Dipartimento per la trasformazione digitale e Invitalia, prevedeva 6 aree geografiche (i cosiddetti lotti), che sono stati tutti assegnati a TIM, con un finanziamento che copre fino al 90% del costo complessivo delle opere. Lo scenario è comunque molto ampio e il Governo sta intervenendo su vari fronti. Dedica all’argomento un suo editoriale Mila Fiordalisi, Direttore di Cor.Com Il Corriere delle Comunicazioni, pubblicato lo scorso 1 luglio: Restituire gli 1,2 miliardi risparmiati nell’ambito delle gare per la banda ultralarga; procedere con il finanziamento di nuovi interventi; costituire una sorta di fondo cassa per compensare eventuali costi a rialzo, a partire da quelli della fibra, in capo alle aziende aggiudicatarie derivanti dall’inflazione e dagli ulteriori impatti del conflitto russo-ucraino. Queste secondo quanto risulta a CorCom le tre ipotesi al vaglio del ministro dell’Innovazione e Transizione digitale. “Tra quattro anni le case degli italiani avranno una connessione fissa di almeno 1 Giga, le aree popolate saranno raggiunte dal 5G ad altissima capacità, tutte le scuole e le strutture sanitarie avranno la connessione adatta per garantire servizi ad altissime prestazioni. Lo abbiamo fatto portando allo Stato un risparmio di circa 1,2 miliardi di euro e un investimento da parte del privato, dove previsto, di oltre 2,2 miliardi di euro”, evidenzia il ministro Vittorio Colao. È la costituzione di un fondo per compensare gli extra costi delle aziende l’ipotesi più probabile, secondo quanto risulta a CorCom. Già ad oggi si sono registrati rincari sulle materie prime anche a causa delle difficoltà con l’approvvigionamento che fa il paio con quella dell’inflazione.

Nell’articolo di Cor.Com viene inoltre ricordato come I bandi Infratel per fibra e 5G sono stati tutti aggiudicati: Pienamente rispettate la deadline del 30 giugno: sui 6,7 miliardi disponibili ne sono stati aggiudicati 5,5 a seguito dei ribassi in fase d’asta. La questione dell’utilizzo concreto dei fondi a disposizione si lega direttamente alle dinamiche burocratiche di gestione. Un problema sul quale è intervenuto il cosiddetto “decreto Aiuti”. Come ricordato nell’articolo di Mila Fiordalisi, la nuova norma prevede una semplificazione dell’iter burocratico per l’installazione degli impianti di comunicazione elettronica. S’interviene all’interno del nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche introducendo misure che favoriscono le telecomunicazioni mobili. Ciò solleverà gli enti pubblici da farraginose procedure burocratiche e dall’altro favorirà il raggiungimento degli obiettivi di transizione digitale fissati dal Pnrr.

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