L’agenda di Ricerca e Innovazione per la Cybersicurezza 2023-2026 è il documento programmatico che presenta le aree tecnologie e umanistiche che devono essere sollecitate per fronteggiare in modo adeguato i rischi cibernetici. Strutturalmente è costituita 60 argomenti, sulla base di una considerazione di principio: il forte sviluppo della digitalizzazione e dei servizi veicolati dalla rete ha prodotto un aumento del rischio cibernetico connesso alla violazione dei dati personali, alle truffe monetarie, al furto di proprietà intellettuale, fino agli attacchi alle infrastrutture che erogano servizi essenziali come l’energia, i trasporti, la sanità, e che mettono in pericolo l’incolumità stessa dei cittadini. Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere della Telecomunicazioni con un articolo a Firma di Domenico Aliperto pubblicato lo scorso 22 giugno: …la dirompente evoluzione delle tecnologie emergenti, quali, per esempio, l’intelligenza artificiale generativa e il quantum computing, richiede di definire tempestivamente e agilmente indirizzi evolutivi della ricerca sulla cybersicurezza. Sono queste le ragioni per cui, per la prima volta, l’Italia ha deciso di varareun programma strategico dedicato alla ricerca sulla cybersecurity. A questo scopo il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e il sottosegretario di Stato con delega alla Sicurezza, Alfredo Mantovano, hanno promosso l’Agenda di Ricerca e Innovazione per la cybersicurezza.
Come ricorda l’articolo di Aliperto, l’Agenda costituisce il primo passo della tabella di marcia identificata da Acn per il perseguimento degli obiettivi di ricerca e innovazione stabiliti dalla Strategia per Cybersicurezza Nazionale: la rete di soggetti di ricerca pubblici e privati che verrà costituita attorno a questo documento coopererà con Acn al rafforzamento della postura di cybersicurezza nazionale, generando investimenti per la costituzione di nuova capacità d’impresa e l’accelerazione del recupero tecnologico nel settore della cybersicurezza al fine di raggiungere l’autonomia strategica del Paese. Sempre nell’articolo viene sottolineato il fatto che l’Agenda è finalizzata a creare un ecosistema virtuoso dell’innovazione nei settori pubblico e privato ed è rivolta a tutti gli attori che operano direttamente o beneficiano della ricerca sulla cybersicurezza in Italia, incluse università, amministrazioni pubbliche, imprese e consorzi pubblici e privati. Fra le sei aree interdisciplinari interessate dall’Agenda particolarmente importanti emergono i rischi riguardanti le infrastrutture di rete. L’area include la ricerca di tecniche di attacco e difesa, la cyberthreat intelligence, la gestione degli incidenti e delle operazioni di sicurezza. A livello trasversale, le minacce alla sicurezza cibernetica impongono politiche di indirizzo, processi e procedure che garantiscano una gestione efficace della sicurezza delle informazioni e dei sistemi nel pubblico e nel privato. Vale a dire considerare in forma coordinata aspetti organizzativi, di gestione del rischio e di standardizzazione.
Il Cda di TIM, riunitosi nella giornata del 22 giugno sotto la presidenza di Salvatore Rossi, ha scelto l’offerta del fondo americano Kkr per la cessione di NetCo, che comprende la rete e Sparkle. Di conseguenza il Cda ha dato mandato all’Ad Pietro Labriola perché avvii subito con il fondo americano una trattativa in esclusiva che deve portare a un’offerta vincolante degli americani entro il 30 settembre. L’offerta americana è risultata più alta di quella di Cdp-Macquire e più rapidi sono i tempi previsti di esecuzione. Dedicano attenzione alla notizia tutti i principali organi di informazione, fra cui La Stampa, con l’immediatezza di pubblicazione della versione on line. Lo stesso 22 giugno Francesco Spini scrive: Gli americani di Kkr sono in pole position per rilevare la rete di Tim, che è l’infrastruttura digitale più importante del Paese. L’offerta del fondo Usa è stata giudicata la migliore dal Cda di Tim che oggi si è riunito. «Ad esito di un ampio e approfondito dibattito», si legge in una nota, con l’assistenza degli advisor finanziari Goldman Sachs, Mediobanca e Vitale & Co e alla luce dell’istruttoria svolta dal comitato parti correlate (a sua volta assistito da LionTree e Equita), ha ritenuto che l’offerta presentata da Kkr «sia risultata preferibile in termini di eseguibilità e relativa tempistica, nonché superiore rispetto all’offerta concorrente» presentata dal consorzio formato da Cdp Equity e Macquarie.
Come ricordato nell’articolo, è possibile che a Kkr si affianchi almeno un altro investitore, che dovrebbe essere il fondo F2i, partecipato anche dalla Cdp. Commenta a questo proposito Francesco Spini: …se non altro darebbe un tocco di italianità a un’operazione che vedrebbe un governo sovranista come quello di Giorgia Meloni consegnare una infrastruttura strategica a un paese straniero, sebbene alleato con l’Italia. Tutti gli osservatori giornalistici rilevano che probabilmente quanto avvenuto in Cda il 22 giugno non basterà a superare l’opposizione di Vivendi, il primo azionista di Tim, che si aspetta un’offerta più ricca e minaccia di convocare un’assemblea straordinaria riponendo sul tavolo l’intera operazione. Comunque se ne valuti il merito, non c’è però dubbio che quello di oggi è un passo avanti fondamentale del Cda versola vendita di NetCo, che predilige l’offerta di Kkr, ma lascia la porta mezza aperta a ulteriori soggetti, che potrebbero affiancare il fondo Usa nei negoziati. Sempre secondo gli organi di stampa, risulta utile a tutti studiare a fondo il dossier, compreso il Governo per capire meglio i contorni dell’operazione, che comunque resta soggetta al via libera del golden power. Ricordiamo che la vendita e la separazione della rete Telecom sono un argomento che si dibatte da anni, e un’operazione complessa che nessun’altra ex monopolista europea ha ancora affrontato. Il governo Meloni ha più volte parlato di una rete Nazionale, dove la compagine italiana è tutta da costruire, e probabilmente rientrerà in un secondo tempo. Non a caso il Cda di Tim, dopo aver sentito il parere di cinque advisor che propendevano per la soluzione dell’offerta di Kkr, ha comunque espresso «apprezzamento per l’offerta di Cdp e Macquarie». Costruire un’unica infrastruttura tra la rete Tim e quella della rivale Open Fiber (60% di Cassa e al 40% del fondo australiano), resta un progetto sullo sfondo da verificare insieme all’Antitrust Ue. Kkr in proposito è pronta ad aggiungere fino a 2 miliardi di valore in più rispetto alla sua valutazione attuale di 19,5 miliardi, (con un’opzione a salire fino a 21 miliardi al verificarsi di determinate condizioni).
All’inizio del 2023 l’Amministratore Delegato di Autostrade per l’Italia, Roberto Tomasi aveva presentato il Piano Economico Finanziario (PEF) della società, con un valore complessivo di interventi pari a 21 miliardi di euro da qui al 2038, suddiviso in due ambiti di sviluppo. Il primo comprendente investimenti in manutenzione rigenerativa, finalizzato a un incessante miglioramento della sicurezzadelle infrastrutture. In particolare ammodernamenti per circa 270 km di gallerie, su un piano totale di 365 km, dall’altro circa 100 km di ammodernamenti su ponti e viadotti, rispetto a un piano complessivo di 270 km. Il secondo ambito di sviluppo rivolto a investimenti per il potenziamento della rete. Questo considerando che numerose tratte della rete sono oggi ai limiti della propria capacità di trasporto e in assenza di potenziamenti per l‘aumento della capacità sarebbero ancora più penalizzate. La necessità di svolgere interventi vede uno sviluppo dei cantieri rispetto al 2022. Dedica attenzione all’argomento il quotidiano Il Sole 24 ore con un articolo pubblicato lo scorso 23 giugno: Una media di 300 cantieri al giorno su tutta la rete nazionale, per un totale di 100 mila “lavori in corso” all’anno. E di questi tra il 40 e il 70% gestiti in notturna per provare a creare meno disagi possibili. Il tema del traffico, dei nodi nevralgici, in primis Genova, poi Bologna e Firenze, e dell’infrastruttura da ammodernare è ben chiaro ad Autostrade per l’Italia che non a caso nel 2022 ha messo sul piatto 1,8 miliardi di euro di investimenti per mettere in sicurezza e rendere gli oltre 3 mila chilometri di strade a pedaggio in concessione più funzionali ai bisogni attuali. E per il 2023 l’impegno atteso sarà ancora leggermente superiore: 1,9 miliardi di euro. Di fatto per il prossimo quinquennio è atteso un capex superiore del 170% a quanto fatto tra il 2015 e il 2019. Tutti denari che verranno spesi per provare a rispondere alle esigenze di un paese che viaggia principalmente su gomma e che anche in prospettiva continuerà a privilegiare la strada alla ferrovia.
Come si sottolinea nell’articolo de Il Sole 24 Ore, la compagnia ha impresso un colpo d’acceleratore agli interventi in manutenzione che starebbero procedendo a un ritmo più serrato rispetto a quanto programmato anche in sede di piano economico finanziario. Andrebbe pensato un piano straordinario che superi i limiti dell’attuale sistema autostradale italiano andando a identificare quelle che sono le opere essenziali. In modo tale da poter realizzare per quelle stesse infrastrutture una sorta di “corsia privilegiata” che ne faciliti la costruzione. Così nell’articolo: E questo, evidentemente, può avvenire solo con il contributo fattivo delle istituzioni. Indubbiamente le aree più critiche sono quelle che corrono lungo l’asse Est-Ovest, ossia parallelo alla A4, e Nord-Sud che guarda alla A1. Tema centrale, in quest’ottica, sono certamente i capitali necessari per avviare la svolta. E a tal proposito il finanziamento delle opere passa spesso anche dalla richiesta di risorse fresche al mercato. Basti pensare che solo da inizio anno Autostrade ha emesso due Sustainability Linked Bond, che tra l’altro hanno avuto grande riscontro sulle piazze estere, considerato che buona parte delle emissioni è stato sottoscritto da investitori stranieri.
La chiusura del piano di copertura delle aree bianche, quelle a fallimento di mercato, slitta di un anno almeno (al terzo trimestre 2024). L’esecutivo Meloni ha deciso di rivedere il documento strategico che era stato licenziato nell’era Draghi anche per verificare la bassa percentuale di investimenti derivanti dal PNRR che ad oggi sono andati allo sviluppo della rete: siamo all’1,8% di numeri civici connessi a fronte dell’obiettivo del 15% per fine giugno. Rivolge attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Carmine Fotina pubblicato lo scorso 24 giugno: Infratel, la società pubblica guidata da Marco Bellezza che da anni gestisce i piani per il cablaggio, ha appena realizzato una piattaforma di monitoraggio delle gare del Pnrr. I risultati più preoccupanti riguardano il progetto più ricco in assoluto, “Italia a 1 Giga”, poco meno di 3,5 miliardi ripartiti in 15 lotti tra Tim e Open Fiber. La gara, finalizzata a coprire con la fibra le aree del Paese dove c’è solo un operatore privato, prevede degli obiettivi semestrali (recuperabili nei due semestri successivi dopodiché scattano le penali) che non sono vincolanti con la Ue ma che il governo precedente aveva introdotto sperando in questo modo di evitare quel che invece puntualmente si sta verificando.
Come ricordato nell’articolo di Fotina, gli operatori del settore impegnati nello sviluppo della rete, a tutti i livelli, hanno più volte ribadito che ritardi sono la conseguenza di un intreccio di motivazioni che includono le semplificazioni varate dal governo ma ignorate a livello locale, la carenza di manodopera, i rincari delle materie prime. Spesso i progetti di installazione delle antenne si impantanano su regolamenti e ordinanze, vecchi anche di tre o quattro anni, che comuni di poche migliaia di abitanti utilizzano in nome delle più disparate teorie anti-5G, contestate dagli operatori con ricorsi al Tar praticamente sempre vincenti ma dai tempi incerti. Per quanto riguarda le “aree bianche” Open Fiber ha chiesto al ministero delle Imprese e del made in Italy di aprire un tavolo per rinegoziare la concessione alla luce di diversi variabili intervenute.