Enav ha inaugurato a Brindisi la prima Torre di controllo del traffico aereo in Italia gestita da remoto. Così l’innovazione e la digitalizzazione si mettono sempre più al servizio del comparto aereo. A Milano, intanto, il Politecnico ha presentato il suo nuovo centro di ricerca interamente dedicato alla mobilità sostenibile. Di entrambe queste evoluzioni parla il Corriere della sera nell’edizione dello scorso 15 giugno, con due articoli affiancati a firma di Leonard Berberi e Andrea Rinaldi: Benvenuti nella prima torre di controllo remota d’Italia di Enav. Qui con sistemi hardware e software di ultima generazione i controllori gestiscono tutte le operazioni al suolo da un «Remote tower module» (che ricorda la sala di una regia tv) e che può essere posizionato a chilometri di distanza dallo scalo. Gli esperti di Enav vedono la pista attraverso questo maxischermo che offre una panoramica migliore (grazie alle 18 telecamere più altre da utilizzare in caso di emergenza) arricchita dalle informazioni dell’intelligenza artificiale e del machine learning. È solo una prima tappa che prevede la riorganizzazione del nostro spazio aereo da parte di Enav. I centri di controllo d’area — che oggi sono quattro (Roma, Milano, Padova, Brindisi) — si concentreranno sulla capitale e sul capoluogo lombardo. Brindisi e Padova diventeranno gli «hub» delle torri digitali per gestire gli scali — 13 per hub — con meno di 70 mila movimenti all’anno. La mossa serve anche a ridurre i costi per le compagnie aeree, per le società di gestione degli scali e per i territori.
Mentre si guarda ai cieli non si dimenticano le strade. Ecco quindi che al Politecnico di Milano si è sottoscritto l’atto costitutivo, martedì 14 giugno, per la nascita ufficiale del Centro per la mobilità sostenibile, uno dei cinque ecosistemi innovativi finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: Ente proponente e capofila del progetto – che riunisce 25 università e 24 grandi imprese – è il Politecnico. Sarà infatti l’ateneo meneghino, forte di un investimento di 394 milioni di euro per il triennio 2023-2025, l’epicentro del nuovo hub da cui dipenderanno 14 strutture da Nord a Sud e a cui faranno capo 696 ricercatori dedicati e 574 neoassunti. «È stato un bel lavoro di squadra, se penso che abbiamo fatto le prime telefonate a Natale e dopo cinque mesi e mezzo abbiamo firmato l’atto costitutivo…», è quasi incredulo il rettore Ferruccio Resta, che però conferma: «I primi reclutamenti e le prime attività partiranno a settembre. I fondi servono come startup per il centro, che poi dovrà camminare con le sue gambe, ma abbiamo già pronti nuovi finanziamenti».
Obiettivo principale dell’attività del Centro quella di rendere il sistema della mobilità più ecologico e digitale attraverso soluzioni leggere e sistemi di propulsione elettrica e a idrogeno. E inoltre, come sottolineato da il Corriere della Sera: creare sistemi hi-tech per la riduzione degli incidenti e soluzioni più efficaci per il trasporto pubblico e la logistica. Le aree in cui opererà saranno l’aerospazio; i veicoli stradali sostenibili; il trasporto per vie d’acqua e ferroviario; i veicoli leggeri e la mobilità attiva. I temi strategici le propulsioni non convenzionali, che oltre a powertrain elettrico e idrogeno contempleranno anche i biocarburanti; i materiali, e dunque le batterie; e i servizi, come la guida autonoma e connessa.
La due nuove infrastrutture italiane si aggiungono alle 34 Cloud Region già presenti nel mondo. Il progetto italiano nasce in collaborazione con Telecom Italia, che si occupa dei servizi per rendere il cloud più sicuro e offre l’infrastruttura logistica. Partecipa al progetto anche Intesa SanPaolo. Si occupa dell’argomento il quotidiano La Repubblica.it con un articolo pubblicato lo scorso 15 giugno a firma di Vittorio Emanuele Orlando: Oggi quella di Milano, presto quella di Torino. Che si aggiungono alle 34 Cloud Region già presenti nel mondo, e che rendono l‘Italia il primo Paese di area Emea con due Region cloud dedicate. Insomma, se fino a qualche tempo fa il fatto che il dato delle aziende fosse geograficamente delocalizzato nella “nuvola” era considerato normale, oggi assistiamo a un ritorno prepotente della “sovranità del dato“, con l’obiettivo di riportare il flusso e l’archiviazione dei dati europei in Europa, anche sulla scorta del Gdpr, per garantire la privacy dei cittadini europei.
Come ricordato nell’articolo, sul tema della privacy hanno insistito molto gli oratori che hanno partecipato alla presentazione delle due Cloud Region a Milano, dal Ceo di Google Cloud, Thomas Kurian, al country manager Fabio Fregi. Interessante notare come in entrambi gli interventi è stato sottolineato il fatto che avere i dati “fisicamente” vicini è percepito dalle aziende clienti come il più importante dei vantaggi dell’infrastruttura delle regioni. I motivi per i quali Google ha deciso di localizzare i cloud in Italia, partono certamente dai fondi in arrivo con il Pnrr e pongono 5 aspetti in sinergia fra loro, come evidenziato anche nell’articolo de La Repubblica: la velocità (secondo Google si riducono i tempi di latenza anche dell’80%), la capacità computazionale in termini di gestione dei picchi, la disponibilità dei dati (i due siti consentono la disaster recovery uno dell’altro), la sicurezza (i dati restanno “in casa” su rete proprietaria, senza transitare mai sulla public internet, e il fatto di stare in Italia dà la sicurezza di aderire, oltre agli standard internazionali, anche alle regole locali in materia di sicurezza del dato), e last but not least, la sostenibilità.
Altrettanto interessanti le potenzialità occupazionali, così nell’articolo: A fronte di un investimento annunciato di 900 milioni di dollari in 5 anni, uno studio dell’Università di Torino ha provato a stimare la ricaduta economica del progetto (basandosi sui dati forniti da Google) ed è arrivata a un impatto occupazionale pari a circa 65 mila posti di lavoro, di cui 18-20 mila strutturali, cioè generati dall’aumento di produttività indotto dall’infrastruttura cloud, e un volano economico di 3,3 miliardi nelle due regioni coinvolte. Di questi, 600-800 milioni nella fase di costruzione dei data center e 700 milioni circa per l’installazione dell’infrastruttura, supponendo un 30% di acquisti in regione.
Ce la farà l’Italia a rispettare i tempi imposti dall’Europa per l’erogazione dei fondi del PNRR relativi alla banda ultralarga, al 5G e al mega-cloud dell’Amministrazione pubblica, considerando in particolare le difficoltà sempre maggiori nel reperire personale da adibire ai cantieri delle necessarie infrastrutture? E’ questa una domanda che si pongono in molti, fra cui Mila Fiordalisi, Direttore di Cor.Com – Il Corriere delle comunicazioni e fra i più attenti osservatori delle evoluzioni dello specifico scenario, che torna nuovamente sull’argomento con un suo editoriale pubblicato lo scorso 16 giugno: I nodi sono già venuti al pettine negli anni scorsi e nei prossimi mesi il groviglio rischia di farsi decisamente più intricato. Le gare per la banda ultralarga fissa e mobile nell’ambito del Pnrr sono state praticamente tutte assegnate edunque ora bisognerà passare alla fase operativa. La fase più complessa considerato che sulla strada c’è un ostacolo a dir poco insormontabile: mancano all’appello migliaia di addetti per la posa delle nuove infrastrutture. Qualcuno lega la difficoltà al Superbonus 110, ossia alla mancata disponibilità di addetti per gli scavi (fondamentali nell’ambito dell’infrastrutturazione in fibra) ma seppur questo elemento si fosse aggiunto alla lunga lista degli ostacoli, a partire da quelli legate agli iter autorizzativi – non del tutto sanati nonostante i decreti semplificazioni e anzi in parte addirittura complicati con i nuovi obblighi di coinvestimento in capo alle telco nelle aree di cantieri comuni –la verità è che la mancanza di risorse è questione annosa, mai affrontata con serietà.
Come ricorda la stessa Fiordalisi, nella questione della mancanza di personale si è innescato un nuovo fenomeno: un processo migratorio dal Nord verso il Sud di molte risorse. Per le imprese di rete ciò comporta un carico aggiuntivo non da poco. Così nell’articolo: …le risorse devono essere mobilitate nei cantieri di volta in volta a seconda delle commesse poiché spesso introvabili in loco soprattutto in alcune aree del Paese e pare che il fenomeno si stia facendo sentire soprattutto nel settentrione. Il che si traduce in costi extra per vitto e alloggio e peraltro non tutti gli addetti sono disposti a trasferte a fronte di paghe che spesso e volentieri non valgono la pena.
Ci si chiede se il Governo abbia davvero presente la questione e come intenda affrontarla. Ci sono iniziative interessanti e socialmente lodevoli al vaglio, a partire da quella che riguardala formazione e l’impiego sul campo dei detenuti. Ma quanti detenuti si potranno formare e utilizzare davvero? Come e chi gestirà le questioni legate alla sicurezza? E al netto delle “emergenze” come ci si intende organizzare per gli anni a venire? Si attendono da anni risposte.
In un’intervista rilasciata al quotidiano Il Sole 24 ore, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha puntualizzato le prospettive della scuola del futuro, dove la digitalizzazione ha un ruolo decisamente importante. Ecco alcuni significativi passaggi dell’intervista a cura di Claudio Tucci, pubblicata lo scorso 17 giugno: …100mila aule su tutto il nostro territorio nazionale diventeranno nei prossimi mesi spazi innovativi di apprendimento, con tecnologie avanzate, dispositivi digitali e arredi che permetteranno una maggiore flessibilità e si adatteranno alle esigenze delle studentesse e degli studenti di oggi. Utilizzando, poi, in modo integrato altri fondi strutturali, entro il 2026 renderemo tutte le aule del Paese attrezzate per una didattica innovativa. Una scelta precisa: le ricerche educative ci dicono da tempo che gli ambienti influiscono sul processo di apprendimento e sulle metodologie della didattica. Il Piano prevede anche la realizzazione, in ogni scuola secondaria di secondo grado, di laboratori per le professioni del futuro, con spazi e attrezzature per l’apprendimento delle competenze in ambiti tecnologici come la robotica, la cybersicurezza, lo studio dei big data. Facciamo un investimento complessivo di 2,1 miliardi attraverso il nostro Pnrr.
L’articolista ricorda che si tratta del più grande intervento di questo tipo mai realizzato in Italia, con risorse e tempi certi. L’obiettivo è cambiare rapidamente il volto della nostra scuola. Ma in Italia, si sa, parlare di “velocità” può essere molto rischioso, considerando le strette burocratiche che incombono su ogni tipo di progetto. Il Ministro, però, sembra essere sicuro: Sarà un processo molto veloce. Nessun bando, accorciamo i tempi e rendiamo tutto più rapido. Saremo noi a distribuire i fondi. Ogni scuola avrà le sue risorse da spendere. Le daremo sulla base del numero di aule e alunni. Ci sarà un gruppo di progettazione in ogni istituto, che coinvolgerà in modo attivo e continuo docenti e studenti.
Altrettanto chiara è la consapevolezza che la formazione digitale dei docenti è indispensabile per accompagnare un piano di questo tipo. Ecco perché lo specifico decreto, attualmente all’esame delle commissioni in Senato, punta moltissimo sulla formazione degli insegnanti e del personale. All’inizio, con un percorso universitario che porta all’abilitazione, e durante tutto l’arco della vita lavorativa. Per quanto riguarda gli ITS, invece, il Ministroritiene prioritario concretizzare l’obiettivo di assegnare entro l’estate la prima tranche da oltre 500 milioni per potenziare, da subito, i laboratori.
Al termine dell’intervista, Claudio Tucci chiede al Ministro Bianchi: “Come sarà il nuovo anno?” Così il Ministro: L’anno prossimo deve segnare il ritorno ad una nuova normalità. La pandemia ha solo acuito problemi già esistenti nel nostro Paese, come il profondo divario territoriale che lo attraversa. Abbiamo avviato un processo di cambiamento, anche grazie al Pnrr, che ci consente azioni fondamentali come la lotta alla dispersione e la costruzione di asili nido. Anche in questo settore, però, il nodo del personale e della mancanza di ricambio appare fondamentale. Il Ministro ritiene possibile assumere 60mila docenti entro il 31 agosto. Si cerca inoltre di velocizzare tutte le procedure concorsuali e, con la riforma del reclutamento, si prevede di assumerne altri 70mila entro il 2024.