In attuazione alla “Strategia italiana per la banda ultralarga”, approvata il 25 maggio 2021, nell’ambito del “Piano di ripresa e resilienza” presentato nella riunione del Consiglio dei Ministri il 29 aprile 2021, sulla base degli esiti della mappatura 2021 potranno essere pianificati nuovi interventi pubblici previsti dal Piano “Italia 5G”. I piani dichiarati dagli operatori dovranno essere chiaramente riferibili a decisioni strategiche ed esecutive, adottate dai competenti organi di indirizzo e gestione degli operatori, e indicare anche le coperture di rete attuali. La Strategia per la Banda Ultralarga, indicata dal Ministro per l’Innovazione tecnologica Vittorio Colao, apre in modo chiaro alla «possibilità di mettere a disposizione degli operatori radiomobili ulteriori risorse spettrali» per il 5G. E aggiunge che si può valutare anche «la condivisione delle infrastrutture di rete mobile e dello spettro radio». Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma Carmine Fotina pubblicato lo scorso 13 giugno: Insomma, la telefonia 5G viene messa al centro del piano nazionale per la banda ultralarga e finanziata con 2 miliardi di fondi del Recovery plan. Sulle nuove frequenze il dibattito è apertissimo. L’Italia guarda alla World Radiocommunication Conference del 2023 per destinare al 5G una fetta importante della “mid-band” dei 6 Gigahertz, considerata particolarmente efficiente per il sistema. È all’esito di quest’appuntamento internazionale che si potrebbe concretizzare un’eventuale nuova gara dopo quella del 2018 che costò complessivamente agli operatori licenziatari 6,55 miliardi di euro. (…) Ma governo e Authority non guardano solo al modello di business tradizionale che finora ha contrassegnato i meccanismi di concessione nella telefonia mobile. Gli operatori infatti potrebbero essere costretti a ripensare il loro ruolo alla luce dei nuovi usi del 5G nei mercati “verticali”. Anche l’Italia infatti, dopo Germania, Regno Unito e Svezia, sta pensando di assegnare alcune risorse di banda in via esclusiva o con meccanismi di condivisione a usi privati su base locale. In altre parole fabbriche, grandi utilities, porti, ospedali, università potrebbero essere direttamente assegnatari di piccole porzioni di spettro, entro aree circoscritte, e affidarsi poi a provider o gestori solo come fornitori del servizio.
Sempre nell’articolo si ricorda come l’Authority per le comunicazioni sta studiando la materia e ha recentemente avviato un’indagine conoscitiva relativa all’uso delle licenze per il servizio ai settori industriali che possono avere interesse a controllare in modo diretto e più sicuro tutti i dispositivi collegati in rete in logica internet of things e funzionali al processo produttivo o logistico. Ma anche altri settori, dalla sanità all’agricoltura, potrebbero servirsi di coperture locali per connettere comunità specifiche e delimitate di utenti. Carmine Fotina sottolinea inoltre: Indicazioni preziose sulla regolamentazione delle frequenze per il 5G giungeranno anche dal recepimento italiano del nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche in corso in queste settimane. Proprio ieri si sono chiusi i termini per la partecipazione degli operatori alla consultazione aperta sul nuovo Codice: tra i temi in esame «misure regolamentari, modalità di organizzazione e meccanismi di gestione dello spettro radio che possano favorire lo sviluppo di progetti innovativi ed il 5G».
L’Ad di A2A Renato Mazzoncini e il presidente Marco Patuano in un’intervista al quotidiano La Repubblica, pubblicata lo scorso 12 giugno a cura di Sara Bennewitz, hanno spiegato le ragioni dell’accordo con Ardian. Partendo da questa considerazione: “A2A ha scelto Ardian perché è già attiva nella generazione eolica, dove A2A non è attualmente presente, e siamo quindi complementari. Rilevando tecnologie e know how che non avevamo, potremo accelerare anche sui nuovi piani green field”. (…) Non sarebbe possibile completare il piano ambizioso del PNRR, volto a creare 65 Gigawatt di nuove energie rinnovabili, solo comprando gli asset in mano ad altri operatori. Il grosso dei progetti dovrà partire da zero. Inoltre abbiamo trovato in Ardian un potenziale partner finanziario, che ci dà fiducia tanto da essere disposto a conferire risorse e attività da gestire”.
L’intervista prosegue con una domanda riguardante la vocazione degli asset, puntando a domandare come si combinano le due anime della compagine, cioè industriale e infrastrutturale: A2A investe anche nelle rinnovabili e crede nella transizione energetica, tant’è che ha allocato 10 miliardi di investimenti entro il 2030. Ardian può essere un partner di eccellenza per fare un lungo pezzo di strada al nostro fianco, con un asset unico in Italia costituito dai 500 MW di campi eolici.
Quindi i due intervistati, sollecitati dalla domanda su come potrebbe cambiare l’organizzazione A2A, rispondono: si tratta di un percorso trasparente e di mercato, non perdiamo niente, guadagniamo fino a 1,5 miliardi di nuove risorse finanziarie, una ventina dei loro tecnici esperti di sviluppo e gestione di parchi eolici che ci aiuteranno sui nuovi progetti, e diamo un valore certo alle nostre attività”. Quanto ad altre possibili operazioni: partecipiamo alla gara per la produzione idroelettrica di Erg, ma stiamo guardando anche l’eolico di Glenmont. Queste due operazioni, come quella nel solare di Octopus che abbiamo appena completato a febbraio, rientrano nell’obiettivo del piano di gestire 3,7 Gigawatt al 2030, tra eolico e solare: tenendo conto dell’operazione in corso e degli asset di Ardian, un Gigawatt in teoria l’abbiamo già opzionato e potremmo quindi alzare di pari passo l’asticella del piano dello scorso gennaio. Vogliamo costruire un portafoglio bilanciato di vento, sole e acqua, per poter fare un’offerta ancora più competitiva ai nostri clienti sul mercato.
Il traffico sulle reti di TLC sta tornando ai livelli pre-Covid. L’evoluzione è più marcata nel traffico voce, mentre la componente dati, sempre da inizio anno, fa registrare una discesa più soft, maggiore sul fisso che sul mobile, anche se le percentuali di crescita restano consistenti rispetto alla situazione pre-pandemica. È quanto emerge all’esame delle rilevazioni settimanali di Agcom. Ne parla lo scorso 11 giugno su COR-COM il corriere delle comunicazioni la direttrice Mila Fiordalisi: …il confronto delle varie settimane, a partire da inizio 2021, effettuato da CorCom mostra uno scenario in evoluzione nei primi sei mesi. Sul fronte dati il traffico nel fisso segna un +40%, quello mobile si attesta al +60%: dati importanti ma in “flessione” rispetto a quanto accaduto nel 2020 in cui la componente mobile aveva registrato punte di picco del +90%. Riguardo al traffico voce il ritorno ai dati pre-pandemici va comunque interpretato: evidente la forte migrazione all’online di buona parte delle chiamate vocali, considerato il progressivo ricorso ad esempio a WhatsApp & Co. ma anche e soprattutto alle piattaforme per le video call come Zoom e Teams.
Nel suo articolo Mila Fiordalisi sottolinea come risulta evidente che la componente vocale ha subito una trasformazione e che dunque nel computo del traffico dati va considerata anche la voce: Nelle ultime settimane il dibattito si è concentrato sulla questione del passaggio delle partire di calcio dal broadcasting tradizionale allo streaming a seguito dell’aggiudicazione a Dazn di una parte consistente del campionato. Alcuni operatori hanno segnalato all’Authority i rischi connessi con la questione: per la prima volta, alla stessa ora e dunque in contemporanea, si potrebbero verificare picchi di connettività “pericolosi” per la tenuta delle reti, anche se Dazn sta già provvedendo alla messa in opera dei CDN necessari a smistare il “traffico” a garanzia della propria clientela. E stando a quanto risulta a CorCom sono in corso le trattative – ai tavoli tecnici in Agcom – dopo una prima fase di “scontro” per trovare la quadra sulla quantità di CDN in capo a Dazn ed evitare quindi il sovraffaticamento delle reti di TLC.
Secondo quanto emerge da un’indagine di Google Cloud in Italia l’adozione di tecnologie disruptive nel manufacturing è pari 80%, contro il 64% della media internazionale. E le strategie hybrid e multi cloud sono “routine” nell’88% dei casi. Dedica attenzione al tema COR.COM – Il Corriere delle Comunicazioni in un articolo pubblicato lo scorso 10 giugno a firma di Veronica Balocco: …Italia (80%) e Germania (79%) guidano la classifica relativa all’uso nelle operazioni quotidiane, mentre la percentuale media globale si attesta 64%. In riferimento all’adozione del cloud – essenziale per l’accelerazione dell’AI – l’Italia emerge come il Paese nel quale una strategia cloud/hybrid/multi cloud è adottata dall’88% dei produttori di macchine intervistati. Il 70% degli intervistati italiani, inoltre, ritiene che l’adozione del cloud possa aiutarli nel soddisfare i bisogni dei propri clienti.
Secondo la ricerca, due terzi dei produttori di macchine che usano l’AI nelle loro operazioni quotidiane riferisce che il ricorso all’AI sta aumentando. In particolare, le tre ragioni principali per l’adozione dell’AI risultano essere l’assistenza per la business continuity (38%), il supporto nell’aumentare l’efficienza dei dipendenti (38%) e, più in generale, l’utilità per i dipendenti (34%).