Valeva già alcune decine di miliardi di dollari nel 2020 la quota di business connessa al Metaverso, ma è destinata a crescere toccando 800 miliardi nel 2024 e 1.000 miliardi nel 2025. Sono numeri importanti, che testimoniano la crescita di un fenomeno che non è più catalogabile come “una moda”. Del Metaverso si parla sempre di più anche sui media e le testate di informazione quotidiana. Dedica all’argomento un servizio speciale il magazine Affari&Finanza (La Repubblica), con un articolo a firma di Mariano Mangia pubblicato lo scorso 23 maggio: In Corea del Sud, il Seoul Metropolitan Office of Educationha iniziato a utilizzare realtà virtuale e avatar per i suoi corsi di scienze online e, per mettere a punto la nuova linea di produzione di veicoli elettrici, la Bmw ha fatto ricorso per sei mesi a una simulazione, costruendo auto virtuali in scala uno a uno nel metaverso, arrivando così a modificare il 30% del layout iniziale. Applicazioni che diventeranno sempre più diffuse, la società Gartner prevede che entro il 2026 il 25% delle persone spenderà come minimo un’ora al giorno nel metaverso, per lavoro, shopping, istruzione, social media o tempo libero. Il metaverso potrebbe, ad esempio, diventare l’evoluzione dello smart working e delle video riunioni: invece di stare davanti a un monitor, aspettando il nostro turno per prendere la parola, un nostro avatar sarà libero di muoversi nella sala riunioni virtuale e di impegnarsi in conversazioni con gli altri partecipanti.

Come si sottolinea nell’articolo, la convergenza tra mondo fisico e mondo virtuale potrà essere possibile grazie allo sviluppo di diverse tecnologie. In particolare il suo sviluppo dipende molto dalle tecnologie di realtà estesa.  Rispetto ai primi modelli messi sul mercato, oggi i dispostivi sono diventati più leggeri, comodi e meno costosi. Ricorda Mangia nell’articolo: Per “operare” nel metaverso c’è bisogno di dispositivi di realtà estesa (Xr – eXtended Reality), dagli occhiali (smart glasses) che consentono di sovrapporre alla visione del mondo reale informazioni o comunicazioni digitali, la Realtà Aumentata (Ar), fino ai visori per la Realtà virtuale (Vr), l’ambiente completamente digitale, ma ci sono anche guanti, videocamere e sensori. Occorre sviluppare software per ottenere rendering 3d più realistici, disporre di una maggior capacità di calcolo e di memoria, il cloud computingma anche il suo opposto, l’edge computing, l’elaborazione e l’analisi dei dati il più vicino a dove vengono generati, utilizzando l’Internet delle cose(Iot). E poi, ancora, occorrerà rendere più veloci connessioni e reti, adoperare al meglio intelligenza artificiale e machine learning e c’è la componente “finanziaria” che dovrà gestire la proprietà digitale, ossia blockchain, criptovalute e Nft.

Velocizzare il processo di digitalizzazione e collaborare in progetti e iniziative per rendere più smart le nostre città e le nostre strade. Obiettivi sollecitati dal PNRR e che hanno tempi di realizzazione sempre più stringenti. Il problema per tutte le società impegnate in questo scenario è reperire personale. Mancano sufficienti risorse umane per concretizzare i piani di sviluppo delle telecomunicazioni previsti dal PNRR: dai dati dell’associazione ANIE emerge che servirebbero 20.000 persone per chiudere i lavori entro i tempi previsti, ma investire in questo momento è complesso. Dedica attenzione al tema Il Corriere della Sera con un articolo a firma di Fabio Savelli pubblicato lo scorso 24 maggio: La sfida più pressante per le nuove autostrade digitali: trovare manodopera sufficiente (e qualificata) per stendere la fibra ottica fino alle case. Imperativo categorico, considerando che le risorse europee del Pnrr hanno un orizzonte temporale definito oltre il quale diventano scritte sulla sabbia: il 2026. Bisogna costruire l’Italia ad 1 Gigabit in un contesto di «neutralità tecnologica», cioè usando non solo la fibra dagli armadietti agli edifici, ma anche altre tecnologie (come le onde radio Fwa), per digitalizzare il Paese. Per farlo Open Fiber, l’operatore infrastrutturale controllato da Cassa Depositi (al 60%) e partecipato per il restante 40% dal fondo australiano Macquarie, lancia un piano di ampliamento dell’organico di circa 1.100 profili da pescare sul mercato. Per trovare la forza lavoro però servirà anche riqualificare molti operai che in questi anni hanno svolto la loro attività nei cantieri edili per la realizzazione di strade ed autostrade. Per questo Open Fiber ha firmato un accordo con Autostrade per l’Italia realizzando un consorzio in modo da pescare tra la manodopera della società Amplia Infrastructures (ex Pavimental) riconducibile al gestore.

Come ricordato nell’articolo pubblicato da Il Corriere della Sera, trovare in questo momento risorse professionali per i lavori infrastrutturali nel campo TLC è una vera e propria sfida, forse la più delicata anche in terminidi politiche attive del lavoro, su cui dovrebbe probabilmente dare una mano l’Anpal, l’agenzia dedicata del ministero del Lavoro. Mancano infatti addetti all’attività di posa di cavi, giuntisti in fibra e collaudatori, autisti di mezzi pesanti (e leggeri) necessari per l’esecuzione di movimenti terra per le tubazioni. L’articolista ricorda poi: Proprio oggi si terrà un tavolo ministeriale sul temache coinvolgerà il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti, il collega alla Transizione digitale Vittorio Colao e il sottosegretario Anna Ascani. Non sfugge la difficoltà dell’operazione a cui si aggiungono le criticità del caro materiali di questi mesi con i prezzi folli delle materie prime. Se la carenza di rottami ferrosi è stata in parte superata riducendo di molto le esportazioni verso i Paesi extra-Ue, non è facile trovare le competenze necessarie.

Sul fatto che la cybersicurezza rappresenti un pilastro della sovranità digitale tanto delle nazioni come delle imprese vi è ormai una chiara convergenza di opinioni tra le parti sociali e le forze politiche. Più complesso è definire percorsi concordati sul tema e attuarli in tempi rapidi. Rivolge attenzione all’argomento Cor-Com – Il Corriere delle Comunicazioni, con un articolo a firma di Federica Meta pubblicato lo scorso 25 maggio: Il presidente del Consiglio Mario Draghi lo ha scritto nella prefazione alla strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026, predisposta dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e presentata oggi dall’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli e dal direttore dell’Agenzia, Roberto Baldoni. Insieme alla strategia è stato delineato anche il piano di implementazione. “È nostra intenzione intensificare i progetti di sviluppo tecnologico per arrivare a disporre di un adeguato livello di autonomia strategica nel settore della cybersicurezza – sottolinea Draghi – e quindi garantire la nostra sovranità digitale. Per farlo, sarà cruciale stanziare fondi adeguati, con continuità”.

Sempre il Presidente Draghi, come viene ricordato anche nell’articolo di Federica Meta, ha precisato che la situazione geopolitica impone all’Italia di proseguire e, dove possibile, incrementare le iniziative in materia di cybersicurezza. Inoltre bisogna tenere fede agli impegni assunti nell’ambito delle organizzazioni internazionali a cui l’Italia partecipa, considerando l’elevata qualità e i massicci investimenti realizzati dai principali alleati e partner internazionali. È dunque necessaria una puntuale rivisitazione nella concezione e nella visione strategica dell’architettura nazionale di cybersicurezza”.

La strategia italiana per la cybersicurezza – prosegue il presidente – unisce sicurezza e sviluppo, nel rispetto dei valori della nostra Costituzione. È in linea con quanto previsto dalla Strategia dell’Unione europea per la cybersicurezza del dicembre 2020, dalla Bussola Strategica per la sicurezza e la difesa dell’Ue del marzo 2022 e dai recenti indirizzi strategici della Nato”.

Si prevede che sarà riservata all’implementazione della Strategia nazionale di cybersicurezza una quota pari all’1,2% degli investimenti nazionali lordi su base annuale. Vi saranno poi le risorse dei programmi Orizzonte Europa ed Europa Digitale, nonché del Pnrr, che stanzia 623 milioni di euro per la cybersicurezza. Possibili sgravi fiscali per le aziende e la creazione di aree nazionali a tassazione agevolata per la costituzione di un “Parco nazionale della cybersicurezza” e dei relativi hub delocalizzati sull’intero territorio italiano.

I Consigli di Amministrazione straordinari di TIM, Open Fiber e Cassa Depositi e Prestiti (CDP), quest’ultima azionista sia di TIM che di Open Fiber sarebbero pronti a dare il via libera alla firma del Memorandum of Understanding (MoU) per l’integrazione della rete di TIM con la rete di Open Fiber. Open Fiber dovrebbe diventare la società unica della rete. Secondo Federico De Rosa del quotidiano Corriere della Sera”, nell’articolo dal titolo “Rete Unica, TIM verso la vendita a Open Fiber di tutta l’infrastrutturapubblicato il 29 maggio, sul tavolo ci sarebbero al momento due opzioni ed entrambe prevedono che la rete di TIM, dal backbone (la dorsale che corre lungo tutto il Paese) fino all’ultimo miglio contenuto in FiberCop, venga venduta a Open Fiber. Su questo tema si è concentrata anche l’attenzione del quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Andrea Biondi e Marigia Mangano, pubblicato lo scorso 27 maggio. Una indicazione sarebbe arrivata agli ad di Tim e Open Fiber anche sulle sinergie: un range compreso fra 4,5 e 5 miliardi come benefici in termini di capex e opex secondo i risultati dello studio frutto del lavoro di consulenti privati che hanno rimesso mano alle risultanze cui era approdato, un anno fa, il lavoro dei due advisor tecnici (Italtel per Tim e Altman Solon per Open Fiber). Numeri, questi, alla base di un’operazione di unione degli asset di Tim e Open Fiber che è complessa, di cui si parla da anni fra vari stop and go e che lo scorso anno si è arenata nonostante la firma di un memorandum of understanding fra le parti.

L’operazione di separazione della Rete dalla società di servizi era stata immaginata in prima battuta da Tim come una scissione, a cui avrebbe fatto seguito l’automatica quotazione della società in cui sarebbero confluite le reti di Tim e Open Fiber. In base alle informazioni di cui dispone il Sole 24 Ore, starebbe ora prendendo piede la convinzione che una strada di questo tipo comporterebbe una serie di complessità difficili da gestire in tempi stretti. Così nell’articolo di Biondi e Mangano: I dettagli e i valori dell’operazione sono ancora in via di definizione, così come il coinvolgimento del fondo americano che nella creazione della società della Rete Unica potrebbe dunque giocare un doppio ruolo: venditore, in quanto socio dei Fibercop, la società della rete secondaria di Tim, ma anche compratore del nuovo gruppo in cui confluiranno le infrastrutture chiave delle telecomunicazioni. Del resto il fondo americano, fin all’annuncio dello scorso novembre in cui aveva comunicato la volontà di rilevare l’intero gruppo con una Offerta pubblica di acquisto, non ha mai scartato del tutto il progetto di integrazione tra le reti Tim e Open Fiber. Piuttosto aveva sollevato perplessità sugli aspetti più regolamentari e sul rischio che Tim potesse essere costretta a dismettere asset chiave. Cambia tutto, ovviamente, in questo scenario dal momento che Kkr entrerebbe direttamente nella società della rete Tim-Open Fiber. E rappresenterebbe anche uno dei più importanti finanziatori dell’operazione di acquisto della rete Tim.

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