Vodafone chiude l’anno con una buona performance finanziaria, caratterizzata dal segno più nei ricavi, nei profitti e nei flussi di cassa. I ricavi sono aumentati del 4% a 45,6 miliardi di euro, trainati dallo sviluppo dei servizi in Europa e Africa, dall’operatività per quanto riguarda i device, nonché dai movimenti favorevoli in valuta estera. Dedica attenzione al tema Il Corriere della Sera, con una nota pubblicata lo scorso 18 maggio: Il chief executive officier Nick Read ha sottolineato in particolare le prestazioni fatte registrare dall’Italia, sotto la gestione dell’Amministratore Delegato Aldo Bisio: nel nostro Paese sono già 60 città che godono di copertura 5G da parte di Vodafone Italia, che ha fatto segnare ricavi per 4,37 miliardi e un Ebtda, pari a 1,699 miliardi, in crescita del 6,4% rispetto all’anno precedente.

Tornando al Gruppo, si sottolinea come i ricavi da servizi sono in crescita del 2,6% a 38,2 miliardi, l’Ebtda adjusted sale del 5% a 15,2 miliardi grazie alla crescita dei ricavi e al forte controllo dei costi, supportato anche in questo caso da un accordo legale in Italia. L’utile sale a 2,6 miliardi contro i 500 milioni dell’anno precedente. I dividendi totali per azione sono di 9 centesimi di euro, incluso un dividendo finale per azione di 4,5 centesimi di euro.

Sempre Nick Read ha commentato: “Abbiamo ottenuto una buona performance finanziaria nell’anno con una crescita di ricavi, profitti e flussi di cassa, in linea con i nostri target finanziari a medio termine. La nostra crescita organica ha sostenuto un cambiamento radicale nel nostro ritorno sul capitale, che è migliorato di 170 punti base al 7,2%. Anche se non siamo immuni dalle sfide macroeconomiche in Europa e in Africa, noi siamo ben posizionati per gestirli e prevediamo di ottenere una performance finanziaria resiliente nel prossimo anno”.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta la più grande occasione di recupero e rilancio della competitività del Paese. Gli oltre 220 miliardi andranno a finanziare riforme fondamentali per lo sviluppo e un totale di 151 investimenti diversi nell’ambito delle sei missioni del piano, che vanno dalla digitalizzazione, alla transizione ecologica, dalle infrastrutture, all’istruzione, dall’inclusione alla salute.

La SDA Bocconi School of Management lancia un nuovo Laboratorio con focus proprio sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Opererà non solo come soggetto attivo nel monitoraggio dell’implementazione del PNRR, ma anche nell’analisi dell’impatto economico, ambientale e sociale delle riforme e degli investimenti, valorizzando la collaborazione tra pubblico e privato. Al PNRR Lab della Bocconi dedica attenzione Il Corriere della Sera con un articolo a firma di Andrea Rinaldi, pubblicato lo scorso 18 maggio: ll successo della convergenza europea su Next Generation Eu lunedì ha spinto il vicepresidente Ue Frans Timmermans a valutarne una nuova esecuzione anche per far fronte all’emergenza energia. In Italia la sua attuazione tramite il Piano di Ripresa e Resilienza è in pieno svolgimento e già qualcuno si interroga su come potrà ridisegnare il nostro Paese. La Sda Bocconi School of Management ha deciso infatti di creare con M&M-Idee per un Paese migliore il Pnrr Lab, un laboratorio per vigilare non solo sull’attuazione del piano, ma anche sulle ricadute socio-economiche per cittadini e imprese in precise aree del territorio italiano.

Come si ricorda nell’articolo del Corriere, tra i fondatori figurano Adecco, Ferrovie dello Stato, Intesa Sanpaolo, Enel Foundation, Snam e altri partner come Assist Digital, Coima Sgr, Engineering Ingegneria Informatica, Habacus, Pirelli e Windtre. Ma la lista è aperta e altri partner possono farne parte. A presiedere lo Steering Committee è Giovanni Valotti, docente di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi. Nell’articolo si sottolinea inoltre come Il laboratorio metterà a punto un database di indicatori per creare focus specifici ed elaborerà modelli di valutazione dell’impatto utili per riorientare l’azione dei decisori a tutti i livelli istituzionali. Inoltre controllerà gli stadi di avanzamento del Pnrr (valore: 191,5 miliardi di euro più 30 miliardi di fondo complementare) sul lato delle riforme e degli investimenti nei suoi tre assi strategici (digitalizzazione, sostenibilità, Mezzogiorno) e in alcune aree chiave offrendo confronto con gli altri Stati europei.

Dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri lo scorso 18 marzo, il Decreto “taglia prezzi” ha terminato l’iter di conversione in legge in Parlamento. Nel pomeriggio del 12 maggio è arrivato il primo via libera dal Senato, mentre alla Camera l’OK definitivo è giunto il 19 maggio, quasi in extremis se si considera che il termine ultimo per l’approvazione era previsto per il 20 del mese. Dopo le norme sblocca-cantieri già sancite grazie ai provvedimenti in materia di semplificazioni nella fase più acuta della pandemia, il decreto taglia prezzi introduce uno degli adempimenti a favore della transizione digitale considerato “errato” nella forma ma soprattutto nella sostanza. Ne parla Mila fiordalisi, Direttrice di Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni, in un suo editoriale pubblicato lo scorso 19 maggio: Il nuovo articolo 7 bis – a correzione di quanto disposto dal decreto legislativo 207 del 2021 che ha tenuto a battesimo il Codice delle comunicazioni elettroniche in attuazione della direttiva Ue del 2018 – sancisce che non è necessaria la documentazione tecnica relativa alle emissioni elettromagnetiche per l’installazione di infrastrutture quali pali, torri e tralicci destinate ad ospitare gli impianti radioelettrici.Pali, torri e tralicci in quanto elementi passivi della rete non hanno infatti niente a che vedere infatti con le emissioni elettromagnetiche degli impianti cosiddetti radioelettrici:queste ultime riguardano le antenne “accese” ossia l’operatività delle reti e in questo caso nulla cambia rispetto alle disposizioni precedenti in quanto a “bollinatura” da parte delle Arpa, le agenzie regionali per l’ambiente che hanno in capo la verifica del rispetto dei limiti elettromagnetici.

Come si ricorda nell’articolo di Cor.Com, gli elementi passivi della rete mobile hanno infatti le stesse caratteristiche intrinseche di quelli di rete fissa: un cavo in fibra non trasmette dati se la fibra è “spenta” ossia se nessun operatore la “accende” con una propria relativa offerta al pubblico finale. Ma nel caso della fibra nessuno si è mai sognato di emanare provvedimenti per verificare la trasmissione dati (che non esiste) dell’“hardware” puro. Sempre nell’articolo si sottolinea inoltre come riguardo alle reti mobili a chiarire la faccenda era già stato un pronunciamento del novembre 2021 dell’Arpa Toscana (Prot. N. 2021/0091135) che ha stabilito che pali, torri e tralicci sono un “oggetto propedeutico alla installazione di antenne”, e che dunque su tali istanze non è previsto il parere in quanto trattasi di elementi privi di impianti radioelettrici.

La competizione di mercato sui contratti Ftth spinge le offerte al ribasso: in calo sia i costi per l’attivazione, sia il canone mensile. Questo a fronte di un’impennata del 95% della velocità nominale della rete. Calano i prezzi anche per le offerte basate sulle tecnologie wireless. Dedica all’argomento un focus d’attenzione Il Sole 24 ore, con un articolo a firma di Andrea Biondi pubblicato lo scorso 20 giugno: In definitiva, in quest’ultimo anno in cui si è assistito a una progressiva discesa dei costi dei pacchetti proposti dagli operatori, la voce esaminata dallo studio che ha risentito di una flessione maggiore è l’attivazione. Il costo di attivazione, infatti, si è quasi dimezzato, passando da 82 euro dello scorso anno a 47,91 euro (-42%). Questi i numeri, dunque, che vanno a inserirsi in un contesto in cui sono i bilanci a far salire il livello d’allarme sulla questione Arpu (i ricavi medi per cliente) e prezzi. Tanto più che, come detto, la corsa al ribasso ora interessa un Ftth che sul versante industriale rappresenta il principale punto d’approdo di quel progetto di rete unica Tim-Open Fiber atteso ora al passaggio della firma del memorandum of understanding fra l’ex monopolista e Cdp (azionista al 60% di Open Fiber e al 10% di Tim) con interessamento ormai da dare per assodato di Kkr (azionista al 37,5% di Fibercop, la società della rete secondaria di Tim) e Macquarie (azionista al 40% di Open Fiber).

In questo -14%, secondo Andrea Biondi, sta l’emblema di una corsa al ribasso dei prezzi andata avanti per anni sul mobile, distruggendo valore per miliardi di euro e ora avviata anche nell’ultrabroadband fisso. Tale condizione, sempre per l’articolista de Il Sole 24 ore, costituisce per il settore Tlc un grave problema. Quel 14% in meno rappresenta infatti la più alta flessione fra le tecnologie di connessione. Il prezzo delle offerte per le tecnologie wireless sono scese del -9% passando che da 26 euro al mese a 23,66 euro. La fibra Fttc (Fiber-to-the-cabinet), vale a dire fibra mista a rame (nella parte finale della rete) è lievemente più economica (-3 %) rispetto allo scorso anno arrivando a 27,58 euro al mese di media. Di pari passo con la riduzione dei prezzi è invece raddoppiata la velocità nominale inclusa nei pacchetti Internet casa. Se 10 mesi fa si aggirava su circa 599 megabit al secondo ora è pari in media a 1.167,4 megabit. Da cosa dipende questo incremento? Secondo i curatori del report il dato è legato al fatto che le offerte in fibra ottica stanno gradualmente aumentando sia la propria copertura, sia le prestazioni, in termini di velocità massima di connessione messe a disposizione agli utenti.

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