Sul fondamentale tema della trasformazione digitale in Italia c’è ancora molto da fare, anche a livello di imprese e non solo di pubblica amministrazione. È quanto emerge dall’apposita indagine di Vodafone Business, che ha mappato oltre 2500 aziende in Europa. Ne parla la testata L’Economia, magazine del Corriere della Sera, in un articolo a firma di Giulia Cimpanelli pubblicato lo scorso 10 gennaio: Attitudine al cambiamento, apertura alle nuove tecnologie, capacità di competere sui mercati, strategia chiara sugli obiettivi di trasformazione. Sono queste le caratteristiche fondamentali per un’azienda che guarda al futuro secondo il Fit for the future Report 2021, lo studio realizzato da Vodafone Business per individuare e analizzare le caratteristiche necessarie a un’impresa per essere preparata ad affrontare le sfide del futuro. Si parla dunque di aziende che non si limitano a reagire al cambiamento, ma lo abbracciano. Secondo il rapporto di Vodafone Business, condotto su oltre 2.500 aziende di tutte le dimensioni in Portogallo, Spagna, Regno Unito, Sud Africa, Stati Uniti, Cina, India, Germania, Italia, Paesi Bassi e Irlanda, le imprese adatte al futuro, pronte per il domani — «fit for the future», appunto, in sigla Fftf — sono il 21% delle micro imprese (da due a nove dipendenti), il 25% delle piccole (meno di 50 dipendenti), il 24% delle medie (fino a 250 dipendenti) e il 21% delle grandi imprese (più di 250 dipendenti).

Come si sottolinea nell’articolo, l’80% delle aziende che hanno già avviato un processo di digitalizzazione strutturato è molto ottimista su almeno una delle tecnologie testate. Grande attenzione va anche alla sostenibilità: per il 69% delle aziende è cresciuta di importanza durante la pandemia e per buona parte delle aziende coinvolte nell’indagine è ormai “assolutamente necessaria”. Una tendenza che sembra destinata a crescere sempre più. L’articolo si sofferma anche sul tema dei dipendenti e della loro cultura digitale, argomento considerato dall’indagine di Vodafone Business: Infine il report di Vodafone Business ha esplorato il «sentiment» dei dipendenti. Emerge che questi si aspettano di più dai loro datori di lavoro, inclusa una maggiore flessibilità in termini di luogo di lavoro (50%), aspettative di lavorare con la libertà e l’autonomia che più si adattino alle loro esigenze (50%) e in termini di ore lavorate (49%). Una trasformazione che non è esente da difficoltà: dallo sviluppo e mantenimento di solide relazioni di lavoro a quello della motivazione dei dipendenti, il 73% delle imprese ha affermato che almeno un aspetto della cultura aziendale sta diventando di più difficile gestione. L’Italia resta però indietro rispetto al resto d’Europa: qui poco più di un’azienda su cinque (21%) si ritiene «Fit for the future». Di queste, l’82% ha sviluppato almeno un piano per la trasformazione digitale e il 59% sta accelerando sui propri piani di trasformazione digitale dopo la pandemia, contro percentuali per le imprese in generale che invece si attestano rispettivamente al 54% e al 38%. Nove imprese Fftf italiane su dieci si dicono preparate ad affrontare rischi e imprevisti.

Fino a qualche tempo fa il nuovo network per le comunicazioni dei cellulari era il principale teatro di scontro tecnologico fra Usa e Cina, con Washington che esercitava la massima pressione su propri alleati in merito a quali apparecchiature preferire. Il governo americano era preoccupato della possibile supremazia cinese in un mercato da oltre 600 miliardi di dollari di pil globale. Le difficoltà di start up sono state superate e il nuovo network inizierà a funzionare in USA il 19 gennaio. Dedica al tema attenzione il periodico Affari&Finanza de La Repubblica, con un articolo a firma Paolo Mastrolilli pubblicato lo scorso 10 gennaio, che si sofferma prima di tutto sulle straordinarie potenzialità del 5G: Il sistema per le comunicazioni digitali di quinta generazione è rivoluzionario perché ha tempi di risposta molto più rapidi. Questo consente non solo di trasmettere una quantità assai più vasta di dati, velocemente, ma anche di gestire strutture industriali e militari. Per capirlo basta visitare i laboratori della Ericsson a Kista, appena fuori Stoccolma, dove questa tecnologia viene sviluppata al servizio delle esigenze più sorprendenti. C’è l’albero che quando lo tocchi ti risponde parlando, per spiegarti come lo fai sentire al tatto, ma in realtà è un sistema usato in Malaysia per monitorare e salvare le mangrovie. Ci sono le previsioni del tempo basate sulle antenne 5G, che trovandosi ad una distanza compresa tra 250 e 300 metri, ti informano in maniera millimetrica su dove pioverà. Ciò consente di evitare i disastri provocati dalle alluvioni scatenate dal riscaldamento globale. Discorso simile nelle miniere, dove il nuovo network permette di sapere sempre dove sono i minatori, e i suoi sensori lanciano l’allarme per le slavine un attimo prima che sia troppo tardi per salvarli. Nelle fabbriche il 5G rivoluziona le catene di montaggio, perché i robot potranno muoversi per andare a costruire i prodotti dove si trovano, invece di aspettarli sui nastri.

L’articolo puntualizza però anche alcune delle problematiche che si collocano in una trasformazione digitale così importante: …ormai tutti gli americani stanno comprando smartphone abilitati all’uso del 5G, ma il segretario ai Trasporti Buttigieg e il capo della Federal Aviation Administration Dikson hanno chiesto di rinviare. Motivo: il segnale del network poteva interferire con gli altimetri degli aerei, confondendo i piloti e facendoli precipitare in fase di atterraggio. AT&T e Verizon hanno rimandato di un mese l’accensione delle torri, ma poi è arrivata una nuova domanda di sospensiva. All’inizio l’hanno rifiutata, rispondendo che lo stesso sistema è già in uso in Francia, dove gli aerei americani atterrano ogni giorno. Quindi hanno accettato questo compromesso: il 5G resterà spento fino al 19 gennaio, e poi verrà attivato con una potenza inferiore rispetto a quella prevista, usando uno spectrum che termina a 3980MHz, sotto i 4.2GHz utilizzati dagli altimetri. Senza annoiare troppo con i dettagli tecnici, la sostanza è che il 5G di AT&T e Verizon dovrebbe entrare in funzione anche intorno ai cinquanta principali aeroporti Usa, senza causare incidenti.

In casa Telecom Italia TIM ci si sta muovendo per varare il nuovo piano strategico e nominare il prossimo amministratore delegato. In questo scenario in rapida evoluzione, si alternano le indiscrezioni e le smentite sulle discese in campo di nuovi investitori al fianco del fondo USA Kkr, un “rinforzo” dell’offerta per rilevare la maggioranza di Vivendi e lanciare un contropiano che punterebbe allo scorporo della rete. Ne parla Mila Fiordalisi, Direttore di Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni in un suo editoriale pubblicato lo scorso 14 gennaio: …la settimana si chiude con l’annuncio della discesa in campo di Cvc servita come se fosse una novità: “Si fa avanti il fondo Cvc”, titola il Corriere della Sera. Peccato che la stessa notizia fosse stata battuta già a novembre da Bloomberg quando Cvc si dava per schierata al fianco di Kkr in quella che era stata annunciata come una “join offer” con Kkr, ma poi gli americani sono andati avanti da soli nella presentazione della manifestazione di interesse. Successivamente Cvc è stata data al fianco di Vivendi che però aveva smentito in una nota – “Vivendi nega fermamente di aver avuto discussioni con qualsiasi fondo, e più specificamente, con Cvc”. Stamattina il fondo è magicamente riapparso addirittura nel ruolo di deus ex machina: “Il fondo britannico avrebbe preso contatti con il governo per studiare una soluzione in grado di mettere d’accordo Cdp, Vivendi, Kkr e gli altri stakeholder”, si legge sul Corriere della Sera. E si accenna anche a documenti dello stesso fondo “in cui viene abbozzato un piano per Tim non troppo dissimile da quello di Kkr con un approccio amichevole nei confronti di tutti gli stakeholders”.

Nel suo articolo Mila Fiordalisi sottolinea il fatto che si può dare per scontato che Cvc sia interessata alla partita, ma secondo quanto risulta a CorCom il fondo avrebbe interessi molto diversi da quelli di Kkr: nel mirino i servizi e non l’infrastruttura. E prosegue: Fare previsioni su quel che succederà resta però al momento nel campo delle speculazioni. I nomi dei fondi stanno al dossier Tim come quelli dei candidati alla presidenza della Repubblica. Ma sono due quelli che si stanno imponendo nelle infrastrutture a banda ultralarga e non solo in Italia: Kkr (in Fibercop con il 37,5%) e Macquaire (al 40% in Open Fiber) hanno appena concluso due operazioni con Telefonica. L’incumbent spagnolo ha deciso di vendere al fondo australiano la rete in rame Adsl per 200 milioni di euro. Macquarie è anche il maggiore azionista di Onivia, società creata nel 2020, dopo che Macquarie e Aberdeen hanno acquistato parte della rete in fibra di Ma’sMo’vil. La telco spagnola ha contemporaneamente siglato un accordo con Kkr per la vendita del 60% della fiber company in Colombia. Il fondo americano ha messo sul piatto 180 milioni di euro.

È stato pubblicato il 15 gennaio sul sito di Infratel il bando per le «aree grigie», che individua 7 milioni di numeri civici in 15 aree ed è finanziato con 3,7 miliardi derivanti dal Pnrr. Il contributo pubblico coprirà fino al 70% delle spese sostenute mentre una quota che non potrà essere inferiore al 30% rimarrà a carico del beneficiario. Dedica attenzione al tema Il sole 24 ore con un articolo pubblicato il 16 gennaio: Gli operatori di telecomunicazione potranno presentare un’offerta fino al 16 marzo con progetti per la realizzazione di nuove infrastrutture e apparati di accesso in grado di erogare servizi internet con velocità nelle ore di picco del traffico pari ad almeno 1 Gbit/s in download e 200 Mbit/s in upload. Le risorse messe a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sono pari complessivamente a 3 miliardi e 653 milioni (rispetto ai 3,8 miliardi preannunciati nel Piano c’è una differenza attribuibile a costi gestionali e quota di riserva per extra lavorazioni) ripartiti in quindici lotti territoriali: Sardegna, Puglia, Abruzzo-Molise-Marche-Umbria, Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta, Calabria Sud, Calabria Nord, Toscana, Lazio, Sicilia, Emilia Romagna, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Basilicata, Trento e Bolzano. In tutto la procedura messa a punto da Infratel, la società in-house del ministero dello Sviluppo guidata da Marco Bellezza, prevede che vengano raggiunti 6,9 milioni di indirizzi civici integralmente in fibra ottica o con tecnologia fixed wirelss access. Potranno essere presentate offerte per un solo lotto, per alcuni o per tutti ma è previsto un tetto di quelli assegnabili a un unico concorrente, pari a otto, superabile in caso di un numero di offerte insufficienti.

Come sottolineato nell’articolo de Il Sole 24 Ore, si tratta di una delle gare più attese in assolute del Pnrr, anche per gli effetti che potrebbe avere sui piani di investimento di una società della rete unica tra Tim e Open Fiber che dovesse emergere in seguito alle manovre finanziarie in corso sull’ex monopolista. Sempre nell’articolo: La gara è parte del più ampio capitolo per le connessioni veloci del Pnrr, 6,7 miliardi complessivi, coordinato dal ministero per l’Innovazione tecnologica. Il piano si è aperto in modo deludente con la gara per le isole minori andata deserta. La procedura in questione, riservata a global contractor e installatori di cavi in fibra, è risultata poco attraente per garanzie e penali poste. Su questo fronte, la nuova gara per “Italia a 1 Giga” presenta un capitolo molto dettagliato che tiene conto dell’esigenza di rispettare le milestones (obiettivi intermedi) del Pnrr imposte dalla Ue. I lavori devono essere completati entro il 30 giugno 2026 ma vengono fissati delle scadenze intermedie a partire dall’1% dei civici da collegare entro il 2022, il 15% entro giugno 2023, il 25% entro fine 2023, il 40% entro giugno 2024 e così via.

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