Le condizioni della rete autostradale e di quella ferroviaria in Italia sono certamente fra le più complesse al mondo perché si sviluppano in condizioni orografiche che richiedono concentrazione di gallerie (il 50% del totale europeo), e un gran numero di ponti e viadotti (1.628). A ciò si aggiunge l’alta percentuale di traffico merci: i numeri dicono che sulle nostre autostrade transitano ogni anno il 90% del trasporto merci via terra e il 25% della mobilità nazionale contro una media Ue che è poco più del 3%. Tutto questo rende ancora più urgente intervenire sulla rete dopo il rallentamento registrato negli ultimi decenni nella costruzione e nell’ammodernamento di nuove infrastrutture. Dedica attenzione all’argomento il magazine Affari&finanza con un articolo a firma di Vito de Ceglia pubblicato lo scorso 17 aprile: Il ritardo accumulato è enorme, ma un’accelerazione alla messa a terra dei principali interventi di potenziamento delle autostrade italiane è arrivata nei mesi scorsi con la norma sblocca-cantieri (art. 44-bis) inserita nel decreto Aiuti quater che ha disegnato un iter più snello per consentire in tempi rapidi l’approvazione di 12 opere strategiche per il Paese. Oltre alla Gronda di Genova, nell’elenco ci sono altre 11 infrastrutture autostradali, tra cui il Passante di Bologna, le tratte Bologna-Ravenna, Bologna-Ferrara, Incisa-Valdarno, Firenze-Calenzano e Milano Sud-Lodi.
Nell’articolo si sottolinea come la corsia accelerata riguarda una serie di infrastrutture che vanno oltre le grandi opere, inizialmente inserite. In tutto dovrebbero essere una quarantina i progetti interessati dal provvedimento e definiti dal Mit “significativi” come strade, ferrovie e aeroporti per un importo complessivo che sfiora i 10 miliardi di euro. Alcuni sono già partiti. Nell’elenco, ci sono progetti per un valore sotto i 25 milioni di euro come l’elettrificazione della ferrovia Adria-Mestre, la linea ferroviaria Bologna Portomaggiore e lo svincolo di San Mango d’Aquino sulla Salerno Regio-Calabria. Sempre nell’articolo si ricorda inoltre come sulla carta il 2023 dovrebbe essere anche l’anno dell’apertura dei cantieri autostradali finanziati con le risorse del Fondo complementare del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), circa un miliardo di euro. Al momento però, secondo i dati riportati da OpenPnrr, i lavori sulle autostrade sono al 17% ma dovrebbero essere almeno al 36%. L’investimento del Pnrr serve per realizzare un sistema di monitoraggio tecnologico e la messa in sicurezza delle Autostrade A24 e A25 (Roma-Pescara e Roma-Teramo). Queste risorse si collocano all’interno del progetto “Strade Sicure”, che prevede una serie di interventi su numerose infrastrutture stradali, il loro monitoraggio e l’efficientamento del sistema impiantistico del traforo del Gran Sasso. L’aggiudicazione del contratto dei lavori è prevista per quest’anno.
Sarebbero state formulate le offerte migliorative di entrambe le cordate in lizza per l’acquisto della rete Tim: da un lato quella che vede schierati Cassa Depositi e Prestiti ed il fondo australiano Macquarie, già partners in Open Fiber, e dall’altro il fondo statunitense KKR. La prima a farsi avanti è stata Cdp, la quale ha annunciato la presentazione a TIM di un’offerta migliorativa valida fino al prossimo 31 maggio, di cui non è stato indicato l’ammontare. In seguito a ciò, Tim ha ufficializzato con una nota l’arrivo di nuove offerte non vincolanti per la cessione della rete in capo a Netco. Tim ha fatto sapere che le nuove offerte saranno considerate nella riunione programmata per il prossimo 4 maggio “previa istruttoria del Comitato Parti Correlate”. Della notizia si sono occupati i principali organi di stampa, dai quali si evince che da fonti vicine all’operazione sono state ipotizzate gli importi di offerta: CDP-Macquarie avrebbe un valore di 19,3 miliardi rispetto ai 18 precedentemente offerti, mentre KKR avrebbe messo sul piatto una cifra più alta, pari a 21 miliardi rispetto ai 19 miliardi iniziali. Ne parla anche il Corriere della Sera in un articolo a firma di Federico De rosa pubblicato lo scorso 19 aprile: Fino a 21 miliardi per comprare la rete di Tim. Cdp-Macquarie e Kkr hanno depositato ieri le offerte migliorative sollecitate dal gruppo telefonico. Il fondo Usa avrebbe messo sul tavolo 1 miliardo in più rispetto alla proposta originaria da 20 miliardi, mentre quella della cordata Cdp-Macquarie sarebbe passata da 18 a 19,3 miliardi. Scouting Tim lancia Growth Platform, nuovo programma di scouting per aziende innovative di Redazione Economia Sulla carta Kkr sarebbe quindi in vantaggio, ma la differenza è una questione qualitativa più che quantitativa.
Nei giorni successivi alla notizia e alle indiscrezioni giornalistiche, sono apparse sempre sulla stampa considerazioni basate sul fatto che le nuove offerte migliorative sono ancora ben al di sotto delle aspettative del Socio di maggioranza di Tim, la francese Vivendi, che punterebbe sempre ad una valorizzazione oltre i 30 miliardi, dicendosi disposta a trattare solo su cifre superiori ai 26 miliardi.
E infatti venerdì 21 aprile, ancora sulle pagine del Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo dal significativo titolo: Tim, ora Vivendi Alza il muro. E il sottotitolo: I francesi: sulla governance è ora di cambiare passo. Si allontana la vendita della rete. Le offerte migliorative tra i 19,3 e i 21 miliardi sono state infatti giudicate da Vivendi decisamente troppo base rispetto al reale valore della rete Tim.
“Italia digitale è un obiettivo prioritario del Pnrr”. Lo ha sottolineato, citato da Ansa, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, a margine della manifestazione di chiusura della campagna di di comunicazione Agcom per l’Itala digitale. Sempre secondo il Ministro, considerando anche le risorse del fondo complementare sono complessivamente 48 i miliardi previsti per la digitalizzazione del Paese. Sempre Urso ha dichiarato: “Abbiamo chiesto alla Commissione europea più flessibilità sulle risorse, ha aggiunto il ministro Urso, perché sappiamo quanto importanti sono per le imprese e vogliamo realizzare al più presto il piano transizione 5.0 che mette insieme tecnologia green e tecnologia digitale”. Rivolge attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo a firma di Federica Meta pubblicato lo scorso 20 aprile: Il ministro ha spiegato che, nel caso in cui venisse concessa una flessibilità in questo senso, l’intenzione è spostare “risorse significative da capitoli di spesa di progetti considerati non esattamente in linea con gli obiettivi del PNRR su progetti realizzabili nei tempi dovuti al 2026”.
Come sottolineato nell’articolo, Il Capogruppo del Movimento 5 Stelle al Senato, Stefano Patuanelli, ha espresso però forti dubbi sulla strategia di governo e critica la scelta di aver – a suo parere – accantonato il piano Transizione 4.0. Ancora nell’articolo si ricorda come Intanto la Ue spinge su Industria 5.0 con il lancio del progetto europeo Sure5.0, finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del programma Horizon Programme Europe. Sure5.0 (“Supporting the smes SUstainaibility and REsilience transition towards industry 5.0 in the mobility, transport & automotive, aerospace and electronics European Ecosystems”) mira a sostenere le Pmi europee che lavorano sui suddetti ecosistemi industriali, favorendole nell’avanzamento all’interno del processo di trasformazione digitale e nel diventare contemporaneamente più centrate sull’uomo, sostenibili e resilienti. Le Pmi potranno beneficiare di rapporti di valutazione 5.0, webinar aperti, roadmap individuali, servizi su misura, eventi di networking e di apprendimento tra pari, supporto finanziario per i loro progetti 5.0. Il progetto prevede di coinvolgere circa 1.000 Pmi nelle attività del progetto, di cui 700 saranno valutate, 90 riceveranno servizi su misura dai partner e 53 riceveranno sostegno finanziario. Saranno promosse l’adozione e la diffusione di tecnologie avanzate, nonché l’adozione di pratiche di innovazione sociale che faciliteranno la duplice transizione (digitale e verde). Il progetto mobiliterà 2,6 milioni di euro. La durata è di 36 mesi, il costo totale 4.988.125 euro.
Il metaverso potrebbe diventare la più grande conquista del decennio del mondo tech e non solo.
Per ora però il metaverso è solo agli albori, perlomeno, se ne può parlare soltanto in una forma depotenziata. In particolare le singole opzioni ancora non dialogano tra loro, perdendo quel concetto di universalità che definisce l’innovazione. Volendo fare un paragone con Internet, è come se ogni sito web fosse accessibile con un proprio software senza una rete unica per saltare da un indirizzo all’altro. E soprattutto, al momento, non ci sono abbastanza utenti che popolano le piattaforme: esiste un concreto rischio di accantonare per ora ogni tipo di sviluppo. Rivolge attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore, con un articolo a firma di Josephine Condemi pubblicato lo scorso 20 aprile: Arrivare al metaverso, ovvero alla convergenza completa tra fisico e digitale, richiederà comunque la maturazione di diverse tecnologie ancora in via di sviluppo: realtà aumentata e realtà virtuale (che insieme formano l’extended reality), intelligenza artificiale, Internet of Things e blockchain, abilitate da una rete superiore al 5G. Le previsioni attuali oscillano tra il 2028 (Copenaghen Institute for Future Studies) e il 2030 (Gartner).
Sempre nell’articolo viene ricordato come oggi si tende ad associare il Metaverso solo alla realtà virtuale ma si tratta di un fenomeno molto più ampio, che richiede un approccio sistemico, come ha dichiarato Marta Valsecchi, condirettore dell’Osservatorio Realtà Aumentata & Metaverso del Politecnico di Milano. In questo ecosistema immersivo, i cittadini dovranno trovare semplicità di accesso e fruizione e servizi di valore ma anche opportune tutele dei propri diritti, le aziende sviluppatrici sono chiamate a costruire modelli sostenibili, le istituzioni a giocare un ruolo di regolamentazione. L’Osservatorio presenta due specifiche mappature, che riguardano i 231 progetti di extended reality (Xr) realizzati in Italia e i 445 progetti internazionali attivati sui 212 mondi virtuali oggi esistenti.
Nell’ambito B2B la focalizzazione sulla manutenzione da remoto, sul controllo qualità in produzione, sulla simulazione virtuale nella pianificazione degli interventi chirurgici comporta una prevalenza di utilizzo di smart glasses (41%) e visori (30%) in dotazione. Ancora nell’articolo si sottolinea come l’interoperabilità è una delle condizioni fondamentali per la realizzazione del metaverso: per trovare un consenso sui protocolli è nato, meno di un anno fa, il Metaverse Standard Forum. Così nell’articolo: Gli elementi di interoperabilità che abbiamo individuato sono oggi basati principalmente su blockchain o sull’utilizzo di Nft, quindi su una logica decentralizzata – spiega Valeria Portale, condirettore dell’Osservatorio -. In futuro, potrebbero esserci anche accordi one-to-one oppure registri pubblici condivisi da tutti i mondi virtuali». La scelta non è banale: a seconda che il metaverso si componga da protocolli aperti o proprietari deriveranno dirette conseguenze sulla gestione dei dati, anche biometrici, delle persone. Il Copenaghen Institute for Future Studies ha distinto quattro possibili scenari: da un metaverso open source completamente decentralizzato al monopolio di una sola piattaforma proprietaria (il sogno di Zuckerberg?) passando per un “Nerdverse” open source usato solo per sperimentare e per tante piattaforme poco interoperabili e gestite da poche imprese. In quale metaverso abiteremo, è una responsabilità di ciascuno di noi.