Cloud e Intelligenza Artificiale sono ormai indispensabili per l’efficienza della catena delle forniture, soprattutto quando si innescano crisi impreviste o difficoltà geopolitiche come quelle che stiamo vivendo in Europa. Pandemia e guerra, infatti, hanno messo in evidenza la vulnerabilità di un sistema obsoleto e impreparato ad affrontare le emergenze. Questa è l’opinione di Stefano Rebatoni, AD di IBM Italia, intervistato da Affari&Finanza, magazine economico del quotidiano La Repubblica. L’articolo, a firma di Vittoria Puledda, è stato pubblicato lo scorso 28 marzo: La pandemia prima e le tensioni geopolitiche poi hanno fatto emergere la centralità delle catene di approvvigionamento e produzione nel contesto locale e globale. Mettendo in evidenza le vulnerabilità di un sistema spesso obsoleto, inefficiente e impreparato a fronteggiare le emergenze. Con una domanda e un’offerta che non riescono ad allinearsi. Però hanno anche messo a fuoco un altro elemento altrettanto cruciale: il come si gestiscono i processi di approvvigionamento è forse persino più importante del dove vengono reperite le forniture. Stefano Rebattoni, amministratore delegato di Ibm Italia da poco più di un anno (ma già da tempo in azienda) ha un approccio concreto e per alcuni versi “trasversale”, che punta molto all’impiego del digitale nei vari processi. Sfruttando, per quanto riguarda l’Italia, l’opportunità unica di cambiamento offerta dal Pnrr. Il tema della globalizzazione sta investendo anche il mondo della finanza: da ultimo ne ha parlato Larry Fink, numero uno di Blackrock.
“Non c’è dubbio che i modi e i termini dei processi produttivi hanno fatto irruzione nelle agende dei governi e della politica europea. L’interesse di Ursula von der Leyen per riallocare le produzioni, in particolare dei chip, dimostra che il tema è strategico.
Però non è l’unico aspetto: credo che si debba considerare con altrettanta attenzione come sia importante utilizzare l’information technology per ridisegnare le filiere di approvvigionamento”.

Come si ricorda nell’articolo stesso, questo significa sostituire il concetto di catene di approvvigionamento e di logistica tradizionale con reti più flessibili, in grado di adeguarsi e rispondere alle esigenze della domanda. Una supply chain che non funziona crea infatti strozzature nelle forniture e alla fine fa lievitare l’inflazione e rallentare la produzione. Stefano Rebatoni chiede quindi: Quali sono dunque i rimedi possibili? Così nell’articolo: “La risposta a mio avviso sta nell’innovazione tecnologica, Cloud Computing e Intelligenza Artificiale in primis. E nelle competenze professionali. Un cloud su cui mettere tutte le informazioni che interessano l’azienda, a disposizione di tutte le filiali (e per un gruppo come il nostro che opera in 160 Paesi è una risorsa fondamentale), che registri dati, necessità di forniture, caratteristiche delle merci. E poi una “torre di controllo” digitale, basata sull’intelligenza artificiale, che incroci domanda e offerta e, in una certa misura, abbia anche una visione predittiva, prevenendo problemi e strozzature”. Il faro deve essere quello di rendere le reti di forniture flessibili e resilienti. E noi riteniamo che il digitale possa far compiere questo salto: cogliere dal campo i segnali di fluttuazione della domanda e fare in modo che le catene possano riconfigurarsi, per rispondere al mutamento delle esigenze”.

La digitalizzazione in Europa e i prossimi passi per rimanere competitivi a livello globale. Ma anche il modo in cui la guerra in Ucraina sta cambiando il mondo della tecnologia e lo sviluppo di tecnologie come il 5G: si è parlato di questo all’evento «Powering Europe’s digital decade: competitiveness and recovery» recentemente organizzato da Vodafone a Bruxelles. Dedica attenzione ai contenuti dell’evento Il Corriere della Sera, con un articolo a firma di Cecilia Mussi, pubblicato lo scorso 31 marzo: Un evento ibrido, in presenza e online, aperto dal Ceo del gruppo Vodafone, Nick Read, che ha subito posto l’accento sullo sforzo dell’azienda per aiutare i rifugiati ucraini, sottolineando che «ora più che mai l’accelerazione della digitalizzazione è fondamentale, così come è diventata prioritario concentrarsi sul 5G». Read ha poi indicato un altro tema importante, il collegamento tra trasformazione digitale e quella ambientale. «La sicurezza e la resilienza diventano il fattore fondamentale da affrontare per l’Europa», ha ricordato il Ceo. «Le innovazioni includono l’e-health e l’e-education, a disposizione di tutti e soprattutto delle PMI che sono il cuore pulsante dell’economia europea». Il 5G, ha concluso Read, dovrà essere messo al primo posto nell’agenda politica dei prossimi anni e ogni decisione politica dovrà essere presa per creare un sistema resiliente.

Nell’articolo si sottolinea inoltre l’intervento al convegno da parte della Commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager:  «Tutti stanno facendo qualcosa per aiutare l’Ucraina in questa situazione tragica. E Vodafone ha dimostrato grande generosità dando la possibilità ai cittadini che hanno abbandonato il proprio Paese di rimanere connessi con chi invece è rimasto in patria». L’approccio dell’Ue, ha spiegato Vestager, è molto pragmatico ma «le tempistiche dell’Unione sono sicuramente più lente rispetto a quanto può fare un’azienda privata. Per questo siamo felici di vedere che tante società del settore tecnologico si stanno dando da fare». Sugli obiettivi del Decennio Digitale 2030 dell’Ue, il commissario ha assicurato che la transizione digitale non si fermerà, così come l’impegno verso quella ambientale e «non c’è la possibilità di dire “prima la guerra e poi il resto”. Dobbiamo fare tutto allo stesso tempo».
Sempre nell’articolo si ricorda come nell’evento è stato evidenziato il ruolo della digitalizzazione per creare una società digitale inclusiva e sostenibile. Quattro le aree demo: servizi pubblici, PMI, industria 4.0 e aree rurali. Una specifica analisi commissionata da Vodafone, ha ribadito il gap italiano nell’adozione del Cloud e la mancanza di specialisti ICT rispetto agli obiettivi del Decennio Digitale 2030. Tra il 2019 e il 2020 il numero di specialisti ICT in Italia è aumentato solo dell’1%, per raggiungere gli Obiettivi ne servirebbero 1,84 milioni in più.

La rete unica in fibra a banda ultralarga sembra ormai in vista, anche se il percorso verso l’obiettivo potrebbe essere ancora accidentato. Un passo importante è stato certamente il memorandum siglato con Cdp Equity che punta ad avviare le interlocuzioni preliminari per valutare l’integrazione degli asset di rete. Protocollo di intesa entro il 30 aprile. Dedica attenzione al tema Cor.Com – Il Corriere delle Comunicazioni con un articolo del suo Direttore Mila Fiordalisi, pubblicato lo scorso 2 aprile: “Tim, su richiesta della Consob, precisa di aver firmato un accordo di riservatezza con Cdp Equity al fine di avviare interlocuzioni preliminari riguardanti l’eventuale integrazione della rete di Tim con la rete di Open Fiber, di cui Cdp Equity detiene il 60% del capitale sociale”: lo annuncia la telco guidata da Pietro Labriola in una nota. “L’accordo- si legge – è funzionale ad avviare negoziazioni con l’obiettivo di addivenire alla stipulazione indicativamente entro il 30 aprile di un protocollo di intesa (memorandum of understanding) volto a definire gli obiettivi, il perimetro, la struttura e i principali criteri e parametri di valutazione relativi al progetto di integrazione”. Colpo di acceleratore dunque sulla rete unica. L’accordo cambia le carte in tavola: arriva alla vigilia dell’offerta da parte del fondo americano Kkr- stando a indiscrezioni di stampa il fondo farà pervenire la propria proposta a ore, entro il 4 aprile – e conferma le mosse del Governo e della Cassa che si erano palesate nei giorni scorsi attraverso le dichiarazioni dell’Ad di Cdp Dario Scannapico e del consigliere economico della Presidenza del Consiglio, Francesco Giavazzi.

Sempre nell’articolo si ricorda come il fondo a Kkr avrebbe già messo nero su bianco i propri desiderata e le proprie osservazioni in una lettera fatta pervenire ai vertici di TIM. A questo proposito, Mila Fiordalisi sottolinea: Da capire l’ammontare dell’offerta, ossia se il fondo sia disponibile a confermare i 50 centesimi per azione calcolati come premio prima della fine dello scorso anno e considerati a suo tempo non idonei da parte dell’azionista principale, Vivendi. Se il progetto di integrazione fosse confermato bisognerà capire cosa accadrà con le gare per la banda ultralarga in cui è prevista l’erogazione di fondi pubblici nell’ambito del Pnrr. Il 31 marzo è scaduta la deadline per la presentazione delle offerte nell’ambito della gara da 3,7 miliardi per la banda ultralarga nelle aree grigie, ossia per portare la rete veloce a 7 milioni di indirizzi civivi non coperti dalle reti ad alta velocità (i lavori dovranno essere completati entro il 30 giugno 2026). Tim e Open Fiber si sono entrambe candidate: come sarà gestita la partita delle assegnazioni e quale impatto ne deriverà da un’eventuale integrazione degli asset di rete delle due aziende visto che si tratta di fondi pubblici?

Le Regioni hanno presentato al Governo i progetti che reputano prioritari e caratterizzanti nell’ambito PNRR, vale a dire quei progetti che dovrebbero avere una corsia preferenziale nell’assegnazione dei fondi. Molto diversificati fra regione e regione i temi guida, che hanno suscitato anche alcune perplessità. Vi è da dire però che la maggior parte dei governatori ha deciso responsabilmente di puntare sulla transizione ecologica, con undici progetti del valore complessivo di circa 4,3 miliardi.
Ne parla anche il quotidiano La Repubblica, con un articolo a firma di Serenella Mattera, pubblicato nella versione on line il 2 aprile e replicato poi il giorno successivo nella versione cartacea: Le proposte inviate al ministro Gelmini sono in fase di valutazione, non è detto che tutte vengano accolte. La Sardegna punta sulle onde gravitazionali, l’Emilia Romagna su un centro di supercalcolo. L’Abruzzo, la Calabria e il Molise vogliono riparare i loro acquedotti, la Toscana si preoccupa dell’erosione delle sue coste. E poi si annunciano cinque Hydrogen Valley, poli dell’idrogeno, una struttura di medicina computazionale in Liguria, un hub antipandemico in Lombardia e “10 km di scienza” nell’area Sud-Est di Roma. Eccoli i “progetti bandiera” del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ventuno investimenti simbolo, uno per ogni Regione, per un totale di circa 9 miliardi. I territori li hanno scelti e proposti al ministero degli Affari regionali, ora sono in fase di valutazione e non è detto che tutti passino il vaglio. La maggior parte dei governatori ha deciso di puntare sulla transizione ecologica, con undici progetti del valore complessivo di circa 4,3 miliardi.

Come ricordato nell’articolo, lo scopo dell’indagine era quella di individuare il programma che può avere più importanza strategica per ciascun territorio e poi stabilire un protocollo tra il ministero degli Affari regionali e gli altri ministeri, da attuare con accordi bilaterali. Ancora nell’articolo: C’è chi vuole cogliere l’occasione del Pnrr per affrontare emergenze finora irrisolte e chi vuole sfruttare i fondi europei per porsi all’avanguardia. Alla voce “passato” sembra iscriversi la richiesta di fondi per contrastrare la dispersione idrica e per la depurazione delle acque: ‘rattoppare’ le condotte che perdono, dotare gli acquedotti di tubi nuovi, ottimizzare pure le reti fognarie, installare nuove ramificazioni. (…)  Sulla transizione energetica puntano invece la Basilicata, la Puglia, l’Umbria, il Friuli Venezia Giulia e anche il Piemonte, che annunciano ognuna la sua Hydrogen Valley (…). Sul digitale investono le province di Trento, con “Trentino distretto digitale 2026”, e Bolzano, con “Simply digital” e la Valle d’Aosta. L’intenzione comune è potenziare la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Alla voce sanità rispondono Liguria e Lombardia. La prima vuol sviluppare un centro nazionale di medicina computazionale nel Parco Erzelli di Genova. La seconda localizzare l’hub antipandemico, con “la creazione di un nuovo centro per la prevenzione e controllo delle malattie infettive”, per approfondire “la conoscenza della salute umana, animale e ambientale”, nonché per preparare la “risposta a eventi epidemici e pandemici“.
Da sottolineare inoltre come il Lazio vuole creare un’area transnazionale di alto profilo tecnologico che coinvolgerà l’università Tor Vergata ed enti di ricerca residenti entro 10 km, tra cui Cnr, Enea, Infn, Inaf, Asi, tutti con sedi nell’area sud-est di Roma. Mentre l’Emilia Romagna vuole rafforzare gli ecosistemi di innovazione regionale, creare un fondo per un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione, ma soprattutto vuol far evolvere il Centro Marconi HUB e “sviluppare un ecosistema completo” per il pieno sfruttamento dei sistemi di supercalcolo Hpc (High Performance Computing).

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