Lieve calo per le domande di brevetti italiani presso l’Ufficio europeo dei brevetti (Epo – European Patent Office) il cui numero resta comunque elevato. Nel 2022 sono arrivate un totale di 4.864 domande, il secondo risultato più alto di sempre, solo leggermente inferiore al record del 2021 (-1,1%). L’Italia si conferma così all’11esimo posto nella classifica dei primi 50 paesi per domande di brevetto. Negli ultimi cinque anni, sottolinea l’Epo, le domande di brevetto europeo provenienti dall’Italia sono cresciute complessivamente del 10%. I cinque Paesi che hanno presentato il maggior numero di domande all’Epo nel 2022 sono stati gli Stati Uniti (con il 25% del totale), la Germania (13%), il Giappone (11%), la Cina (10%) e la Francia (6%). Dedica attenzione all’argomento La Repubblica con un articolo a firma di Filippo Santelli, pubblicato lo scorso 29 marzo: L’Italia è la seconda manifattura europea, ma quando si parla di frontiera dell’innovazione scala molto indietro. E appare piccola, nella sfida hi-tech tra colossi globali: nel 2022 la sola Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni, ha registrato all’Epo 4.505 brevetti, un numero di poco inferiore a quello di tutte le aziende tricolori. «L’Italia paga il fatto di avere poche grandi imprese e molte piccole e medie imprese», spiega Roberta Romano-Götsch, la dirigente di Epo con delega alla sostenibilità, che però vede il bicchiere mezzo pieno. «La crescita registrata nell’ultimo decennio, senza flessioni durante la pandemia, mostra che la cultura del brevetto si diffonde. Anche in aree che hanno sempre faticato». Romano-Götsch cita la Campania, +20% rispetto al 2021, o l’Umbria, +83%.
Come sottolineato nell’articolo, sono indicatori che però, nell’attesa di capire quanto il PNRR aiuterà ricerca e sviluppo, non bastano a ricucire la geografia di un’Italia spaccata in due. Il triangolo industriale tra Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto vale infatti il 62% dei brevetti, e il Nord nel suo complesso sfiora l’80%. Sempre nell’articolo si ricorda come i macchinari industriali si confermano un traino del Made in Italy, ma con una carenza di innovazione non da poco: Nello spaccato di settore, spicca l’assenza del mondo digitale e dei computer: a livello europeo sono due delle prime tre categorie per richieste di brevetto presentate, ma quasi per intero appannaggio di colossi cinesi, sudcoreani o americani. Dal punto di vista delle istituzioni di ricerca, il primo per richieste di brevetti è stato il Politecnico di Milano con 35, davanti all’Istituto italiano di tecnologia (19) e al Cnr (16).
Wind Tre ha anticipato ogni possibile operazione Tim sulle reti, presentando al mercato e ai sindacati la separazione della sua rete, il cui 60% sarà ceduto al fondo svedese Eqt quale partner finanziario. Secondo il piano di Wind Tre tutta l’infrastruttura attiva di rete oltre alle relazioni contrattuali con le terze parti, i servizi di connettività wholesale, e tutto il personale (per un totale di circa 2.000/2.200 lavoratori) saranno trasferiti nella Netco in circa 6/9 mesi. La notizia è stata diffusa da ANSA e ripresa da vari organi di stampa, fra cui il quotidiano Il Sole 24 ore, con un articolo a firma di Andrea Biondi pubblicato lo stesso 30 marzo: A essere venduta sarà la maggioranza (il 60%) con il 40% che rimarrà in mano a Wind Tre. E a passare nella nuova società della rete saranno 2mila dei 6.500 lavoratori della telco di proprietà della conglomerata di Hong Kong, Ck Hutchison. Wind Tre procede spedita verso la separazione della rete, in un processo che richiama concettualmente quanto sta accadendo in Tim ma i cui tempi si avviano a essere ben più stretti. Con il paradosso che quello della telco nata dall’unione di Wind e 3 Italia potrebbe risultare il primo processo compiuto di delayering sul mercato italiano, precedendo quello – sicuramente più corposo ma di cui si parla anche da molto più tempo – dell’ex monopolista.
Le prime trattative risalgono al mese di gennaio del 2022, quando Bloomberg rivelò che gli assets oggetto dello spin off avrebbero potuto comprendere l’infrastruttura digitale ed elettronica di WindTre per una valutazione complessiva compresa fra i 2 e i 4 miliardi di euro, ma all’epoca si parlò solo di una vendita di una quota di minoranza dell’operatore italiano di proprietà di CK Hutchison Holdings del miliardario in pensione Li Ka-shing. In questa nuova tornata di contrattazioni, che si troverebbero in uno stato avanzato, WindTre starebbe invece valutando anche di inserire nell’operazione la banda di frequenze radio che utilizza per offrire i suoi servizi di telecomunicazioni ai propri clienti. Come ricorda Biondi nel suo articolo, il preliminare con il fondo svedese è atteso alla firma nelle prossime settimane, mentre il closing dovrebbe avvenire, secondo previsioni, nell’ultimo trimestre dell’anno. A guidare la nascente società sarà Benoit Hanssen, co-ceo che si occupa già oggi della parte rete. Per la parte servizi (guidata da Gianluca Corti), come spiegato nell’intervista al Sole 24 Ore dei due co-ceo lo scorso 23 febbraio, il futuro sarà legato alla connettività, ma anche alla vendita di prodotti assicurativi o dei servizi tipici delle utilities.
È stato proprio l’imprenditore più visionario, Elon Musk, a invitare alla prudenza. Oggetto di timori è in questo caso l’intelligenza artificiale, per cui il proprietario di Twitter, insieme a 1000 ricercatori, chiede una “pausa” di almeno 6 mesi “nell’addestramento” dei sistemi più avanzati. Il parere di alcuni big dell’Hi-Tech è che i sistemi di intelligenza artificiale possano comportare rischi per la società e l’umanità, come dimostrato da ricerche approfondite e riconosciuto dai migliori laboratori di intelligenza artificiale. Mettere in stand by l’intelligenza artificiale: questo il senso dell’appello del Future of Life Institute col quale oltre mille imprenditori, tecnici e accademici delle tecnologie digitali hanno denunciato il problema. Hanno rivolto attenzione all’argomento tutti i principali organi di stampa, fra cui il Corriere della Sera, con un articolo a firma di Massimo Gaggi pubblicato lo scorso 30 marzo: L’appello, nel quale si chiede una moratoria di sei mesi nello sviluppo di sistemi di AI più progrediti del Gpt4 col quale è stato appena potenziato il già rivoluzionario (per la politica e la società) ChatGpt, fa scalpore perché viene dalla stessa comunità che fin qui ha bruciato le tappe dell’innovazione digitale. E suscita anche qualche sospetto: ad alcuni il messaggio appare troppo enfatico, altri sottolineano come sia impensabile fermare il lavoro dei ricercatori. Non sarà che si vuole semplicemente rallentare l’integrazione della tecnologia degli scienziati di OpenAI nei prodotti di Microsoft in attesa che gli altri concorrenti recuperino il gap? Nel mondo della Silicon Valley il buonismo delle origini è stato da tempo travolto dalla logica della massimizzazione del profitto importata da Wall Street: è un mondo popolato da imprenditori geniali ma con una certa tendenza ad assumere posizioni contraddittorie e a pretendere, poi, di non pagare mai pegno (come nel caso di Elon Musk, capocordata di questo appello). In un ecosistema siffatto dubitare è più che giustificato.
Come sottolineato nello stesso articolo di Gaggi, il punto vero è che la rivoluzione dell’intelligenza artificiale nella quale ci stiamo immergendo e dalla quale trarremo probabilmente grandi benefici, comporta inevitabilmente anche rischi: ha implicazioni talmente vaste, dal mercato del lavoro alla cybercriminalità, alla disinformazione, da meritare analisi assai più approfondite del tradizionale giochino del «a chi giova». Sempre nell’articolo si ricorda come la lettera aperta del Future of Life Institute è importante perché fin qui chi ha denunciato sui media usi troppo spregiudicati della tecnologia, chi ha chiesto regole e limiti è stato denunciato come un retrogrado: un avversario del progresso e dell’innovazione che deve poter procedere senza freni. Oggi a cambiare rotta sono molti dei più autorevoli esponenti del mondo della tecnologia: non solo Musk, ma anche scienziati come Yoshua Bengio, soprannominato il «padrino dell’intelligenza artificiale» o lo storico Yuval Noah Harari, divenuto la coscienza critica della Silicon Valley. Le comunicazioni di allarme non escludono però visioni più serene e possibiliste, sintetizzabili nel concetto di sforzarsi di minimizzare i rischi dando alle persone il tempo di abituarsi gradualmente all’uso di queste tecnologie. E bisogna dare alle istituzioni alle autorità di regolamentazione e alla politica il tempo di reagire in forma coordinata ed efficace.
L’Italia Blocca ChatGpt. Lo ha deciso il Garante per la privacy che ha disposto, con effetto immediato, la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e gestisce la piattaforma. Nella serata del 31 marzo OpenAI ha provveduto a bloccare l’accesso a ChatGpt degli indirizzi IP italiani. Raccolta illecita di dati personali e assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori: queste le motivazioni alla base della decisione dell’Autorità. Effetto immediato e avvio di un’istruttoria. OpenAI avrà 20 giorni per correre ai ripari: pena una sanzione fino a 20 milioni o fino al 4% del fatturato. Fra le molte testate giornalistiche che si occupano del tema Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un editoriale del suo Direttore Mila Fiordalisi pubblicato con tempestività lo stesso 31 marzo:
“ChatGpt, il più noto tra i software di intelligenza artificiale relazionale in grado di simulare ed elaborare le conversazioni umane, lo scorso 20 marzo aveva subito una perdita di dati (data breach) riguardanti le conversazioni degli utenti e le informazioni relative al pagamento degli abbonati al servizio a pagamento”, ricorda il Garante puntualizzando che “si rileva la mancanza di una informativa agli utenti e a tutti gli interessati i cui dati vengono raccolti da OpenAI, ma soprattutto l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma”. “Come peraltro testimoniato dalle verifiche effettuate, le informazioni fornite da ChatGpt non sempre corrispondono al dato reale, determinando quindi un trattamento di dati personali inesatto”, continua il Garante che aggiunge: “Da ultimo, nonostante – secondo i termini pubblicati da OpenAI – il servizio sia rivolto ai maggiori di 13 anni, l’Autorità evidenzia come l’assenza di qualsivoglia filtro per la verifica dell’età degli utenti esponga i minori a risposte assolutamente inidonee rispetto al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza”.