Si rincorrono le voci sull’offerta presentata la scorsa settimana a Tim dal fondo americano Kkr. Valore complessivo di circa 27 miliardi. Un piano che potrebbe essere così articolato: 18 miliardi per rilevare Netco (gli asset di rete fissa al netto del backbone) più un “premio” da 2 miliardi in caso di via libera da parte della Ue al progetto di integrazione Tim-Open Fiber; 7 miliardi di investimenti per spingere l’infrastrutturazione a banda ultralarga. Sempre stando a indiscrezioni di stampa, Kkr avrebbe valutato 6,75 miliardi la rete primaria (dalle centrali agli armadi) e 10 miliardi quella secondaria (ossia la porzione in capo a Fibercop, dagli armadi agli edifici). A cui si aggiungerebbero 1,25 miliardi di valutazione per Sparkle che dunque potrebbe rientrare nel perimetro dell’offerta. Dedicano attenzione al tema tutti i principali organi di stampa, fra cui il Corriere della Sera con un articolo a firma di Andrea Ducci, pubblicato lo scorso 9 febbraio: A corredo del documento di una decina di pagine con i valori della proposta ci sarebbe anche il percorso operativo che gli americani intendono adottare. Il piano prevede una gestione di Netco, la newco che nascerà dalla separazione della rete da Tim, con perimetri ben definiti: Kkr si riserverebbe gestione operativa in virtù di una quota di maggioranza, mentre la quota di minoranza potrebbe prevedere una partecipazione pubblica per consentire al Governo di sovraintendere sul destino della rete, esercitando, se necessario, tutti i poteri del caso.

Il cda di Tim si riunirà il 24 febbraio per discutere sul dossier e decidere il da farsi, dunque prima del termine di durata dell’offerta (4 settimane a partire dal primo febbraio). L’AD di Tim Pietro Labriola ha ribadito che “l’offerta non vincolante è solo indicativa e soggetta ad approfondimenti, analisi e valutazioni che saranno condotti nel frattempo, anche interloquendo con Kkr. Come già reso noto, Tim è pronta a considerare altre opzioni alternative”. Sei gli advisor chiamati a valutare le condizioni dell’offerta: per Tim ci sono Goldman Sachs, Mediobanca e Vitale; Jp Morgan, Moran Stanley e Citi per il fondo Kkr.
Prudenti le dichiarazioni degli esponenti del Governo: “È un dossier molto complesso, sul quale siamo molto attenti. Si tratta di un’azienda quotata, e quindi è bene essere prudenti”. Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel corso di un punto stampa alla prefettura di Milano. “È un dossier che stiamo seguendo con molta attenzione”, ha concluso ripresa da Ansa. Gli fa eco il ministro per le Imprese, Adolfo Urso che ha ribadito che “la volontà del governo è quella di realizzare una rete nazionale che raggiunga l’ultimo straordinario borgo del nostro paese consentendo quella connettività e quella competitività che le imprese e le famiglie italiane meritano, una rete a controllo pubblico”.

Ad oggi oltre il 6% delle imprese italiane utilizza sistemi di AI, risultato interessante comparandolo al fatto che la media Ue è dell’8%. La percentuale di piccole imprese è al 5,3% a fronte del 24,3% delle grandi. Secondo Anitec-Assinform, l’associazione che in Confindustria raggruppa le aziende Ict, in Italia il mercato dell’Intelligenza artificiale ha raggiunto nel 2022 un volume di circa 422 milioni di euro (+21,9%) e raggiungerà i 700 milioni nel 2025, con un tasso di crescita medio annuo del 22%. L’Intelligenza artificiale, insieme ad altri abilitatori del mercato (Digital Enabler) come ad esempio Cyber Security, Big Data e Cloud, sarà un elemento di traino straordinario per lo sviluppo del mercato digitale italiano.

L’argomento è stato il protagonista a Verona della prima tappa del roadshow “L’Intelligenza Artificiale a servizio delle pmi: use cases e ambiti di sviluppo”, organizzato da Piccola Industria Confindustria e Anitec-Assinform, in collaborazione con la rete dei Digital Innovation Hub. L’iniziativa in due anni toccherà tutte le regioni italiane con l’obiettivo di sensibilizzare e informare le piccole imprese associate a Confindustria sulle opportunità offerte dall’intelligenza artificiale.
All’argomento dedica attenzione Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo a firma di Federica Meta, pubblicato lo scorso 9 febbraio: Nonostante le prospettive positive, in Italia il mercato dell’AI resta meno sviluppato rispetto agli altri Paesi più industrializzati: per questo è fondamentale avere una visione strategica che consenta di accelerare e potenziare gli investimenti delle imprese, rafforzare le competenze digitali dalla scuola al mondo del lavoro e acquisire maggiore consapevolezza e conoscenza delle potenzialità dell’AI (…) “Gli investimenti negli abilitatori di trasformazione digitale, come l’Intelligenza Artificiale, sono vitali per l’innovazione, per sostenere la resilienza delle imprese e abilitare nuovi modelli di business nonché trasformare filiere ed ecosistemi in tutti i settori – spiega Marco Gay, presdente di Anitec Assinform – I Digital Enabler, da un lato, consentono alle imprese di conoscere e monitorare al meglio i processi e, dall’altro, di produrre prodotti evoluti e con nuove funzionalità grazie a una profonda integrazione tra fisico e digitale. Le pmi rappresentano il 99% del nostro tessuto imprenditoriale, ma investono ancora troppo poco nel digitale, con una crescita inferiore rispetto ad altri segmenti business: dobbiamo cogliere questo momento e le opportunità del Pnrr per spingere l’acceleratore sull’innovazione, per recuperare punti di produttività, rafforzare le nostre filiere industriali e restare leader industriali nel mondo. Siamo convinti che partendo dal territorio, dal confronto diretto e concreto tra e con le piccole e medie imprese si possa fare la differenza e incoraggiare un’adozione consapevole dell’AI”.

Pur considerando che il settore Tlc in Italia vive un momento particolarmente complesso, con elementi di volatilità e decisioni strategiche che attendono da tempo, l’AD di Fastweb Alberto Calcagno ha dichiarato che nelle prospettive della sua Società può stare anche l’acquisizione di una parte della rete Tim, nel caso in particolare che l’Unione Europea imponga interventi sul tema degli assetti della proprietà della rete. Ricordiamo che nel 2022 Fastweb ha aumentato i ricavi (+4 a 2,48 miliardi) e il margine lordo (+3% a 854 milioni) per il trentottesimo trimestre consecutivo. La volontà dichiarata è di continuare a crescere anche nei prossimi mesi grazie agli investimenti fatti finora e ad altri in arrivo. Le intenzioni di Calcagno sono state rese pubbliche in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, raccolta da Sara Bennewitz, pubblicata lo scorso 10 febbraio: “Noi non abbiamo problemi finanziari e il nostro azionista Swisscom, ci ha sempre usato come la sua lepre per sviluppare e testare nuove tecnologie come l’Fwa. Per questo vogliamo continuare a investire e nel caso in cui le istituzioni decidessero di portare avanti un’operazione di sistema come la rete unica, noi siamo disponibili ad acquistare quelle parti di rete che Tim e Open Fiber saranno costrette a cedere ai fini Antitrus”.

Sulla possibilità di cedere la quota di Fibercop nella rete di Tim in caso di matrimonio con Open Fiber, Calcagno ha affermato: “è presto per dirlo, dobbiamo vedere prima quali sono le condizioni e il progetto, e poi valuteremo il da farsi. In ogni caso non credo nella separazione della rete dai servizi e il successo di Fastweb dimostra che il controllo della rete è la vera leva in questo mercato”. E inoltre: “Il segreto è sempre quello: siamo nati come un operatore infrastrutturato e continuiamo a investire nella fibra e nelle infrastrutture Itc che servono per garantire un servizio a valore aggiunto, come il cloud o la Cyber Security, che ci permettono di differenziarci nell’offerta e creare valore per i nostri clienti. In un mercato fortemente presidiato come il nostro ci sono due leve per acquisire nuovi clienti: il prezzo e l’innovazione, noi abbiamo sempre puntato sull’innovazione. Per questo, anche durante la pandemia, abbiamo fatto 4 acquisizioni in cinque anni, di cui due sul cloud e due nella cybersicurezza”, ha proseguito l’a.d.
Calcagno ha poi chiesto al governo di “avvicinare i limiti elettromagnetici agli standard europei: è una manovra che non pregiudica la salute pubblica e che alleggerisce di costi operativi tutti gli operatori mobili, anche in vista del completamento della rete 5g e Fwa, una tecnologia usata anche nelle aree a fallimento di mercato per coprire il divario digitale. Oggi in Europa ci sono 60 volt per ora, in Italia 6, basterebbe alzare il limite a 10, un sesto rispetto alla media Ue, per aiutare gli operatori, senza caricare lo stato di nuovi costi”.

Oltre il 50% delle grandi e medie imprese sta elaborando una strategia di trasformazione in funzione della sostenibilità, cercando professionisti in grado di adeguare i processi aziendali, la pianificazione e la gestione in ottica “green”. Le motivazioni sono molteplici: Green Deal europeo, obbligo di bilanci sostenibili certificati per le grandi aziende e introduzione di norme più stringenti sull’economia circolare, richiedono nuove professionalità nelle aziende. È uno degli aspetti che emergono dal rapporto ‘Alte competenze per un futuro sostenibile’ dell’osservatorio di 4.Manager, che ha sondato un panel rappresentativo di oltre 4000 imprese, e che è stato presentato lo scorso 10 febbraio da Confindustria, Federmanager e 4.Manager. Quattro milioni di lavoratori con competenze green di alto e medio profilo. Saranno necessari tra il 2023 e il 2026, complessivamente, nelle imprese e nella Pa. Per la transizione verso la sostenibilità c’è bisogno di nuove figure, che vanno individuate nelle loro caratteristiche tecniche e formate.
Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Nicoletta Picchio, pubblicato lo scorso 11 febbraio: Le aziende prese in esame hanno dichiarato che negli ultimi tre anni hanno acquisito competenze manageriali (64%), competenze scientifiche (45%), competenze tecniche (73%). Oltre il 50% delle grandi e medie imprese, dice il rapporto, sta elaborando una strategia di trasformazione in funzione della sostenibilità, cercando professionisti in grado di competere in tutti i processi aziendali, migliorando contemporaneamente la pianificazione e la gestione. Emerge che la maggior parte delle imprese, anche quelle meno orientate all’innovazione, sono consapevoli che solo la trasformazione sostenibile eviterà limiti operativi di accesso ai mercati e al credito. Entro il 2030 le aziende non sostenibili rappresenteranno la parte residuale di un mercato nel quale beni e servizi sostenibili saranno la norma. Fondamentale quindi inserire in azienda una figura professionale che abbia competenze trasversali in materia di ESG.

Nel corso della presentazione è stato sottolineato come il fattore competenze ha un ruolo determinante per rendere la transizione una grande opportunità di sviluppo e innovazione. Potenziare le competenze legate alla sostenibilità vuol dire anche inserire figure come quella del sustainability manager. Le aziende vanno accompagnate in questo cambiamento, che vede un passaggio da industria 4.0 a 5.0. Come ricordato nell’articolo All’evento ha partecipato anche il vice ministro della Transizione ecologica, Vannia Gava: «il processo di transizione deve essere affrontato con le giuste tempistiche ma anche con strumenti adeguati», ha detto, valorizzando l’importanza del dialogo tra istituzioni e i vari stakeholders. L’evento è stato ospitato da Confindustria Veneto Est, rappresentata da Vincenzo Marinese, vice presidente vicario delegato per Venezia, e Walter Bertin, anch’egli vice presidente e delegato ESG: entrambi hanno sottolineato l’impegno tra imprese, scuole e università per diffondere questi temi. Un impegno condiviso anche da Cristina Bombassei, presidente del Gruppo Tecnico Responsabilità sociale d’impresa di Confindustria.

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