E’ prevista per il prossimo 10 febbraio la pubblicazione del Connectivity Package: documento europeo che punta a una revisione del Codice delle Comunicazioni elettroniche per abbattere la burocrazia creando un mercato unico delle reti. Ne parla CorCom – Il corriere delle Telecomunicazioni in un articolo del suo Direttore Mila Fiordalisi, pubblicato lo scorso 25 gennaio: Rivedere il Codice delle Comunicazioni elettroniche per uniformare la normativa Ue in materia di banda ultralarga in chiave di sburocratizzazione. E tagliare tutta una serie di costi amministrativi per consentire agli operatori di recuperare risorse per spingere gli investimenti per la banda ultralarga fissa e il 5G. Queste le misure chiave del Connectivity Package, pacchetto che la Ue dovrebbe ufficialmente presentare il prossimo 10 febbraio. Due i documenti che compongono la strategia e che CorCom è in grado di anticipare (si tratta di due bozze che non dovrebbero variare nella sostanza): il Gigabit Infrastructure Act per abbattere i costi di deployment delle reti e la Access Reccomendation, raccomandazione per la revisione delle norme.
Come ricordato nell’articolo, il Gigabit Infrastructure Act punta a ridurre burocrazia e costi a carico delle società che operano nel settore delle Telecomunicazioni in modo da accelerare sugli obiettivi Ue in termini di infrastrutturazione e copertura: l’Europa punta alla conettività Gigabit per tutti i cittadini e all’utilizzo di tecnologie cloud e di intelligenza artificiale da parte di almeno il 75% delle aziende da qui al 2030. Stando a indiscrezioni, sul fronte costi il risparmio sarebbe nell’ordine di 40 milioni di euro l’anno in spese amministrative. Numerose le opzioni suggerite nell’ambito della proposta: uniformare ulteriormente le regole a livello Ue in termini di permessisistica e anche di accesso alle reti; escludere le reti Vhcn dagli obblighi in materia di coordinamento fra operatori oppure stabilire condizioni di accesso “eque e ragionevoli” per il coordinamento sulle opere civili in modo da ridurre potenziali controversie fra operatori; estendere gli obblighi di accesso e di trasparenza agli asset non in capo agli operatori, ad esempio gli edifici commerciali anche attraverso la creazione di una single digital platform sulle infrastrutture.
Sempre nell’articolo si sottolinea come la Commissione europea punta a una revisione delle regole indicate nel Codice delle Comunicazioni elettroniche per evitare squilibri infrastrutturali, vale a dire che ci siano discrepanze in termini di velocità nella connettività fra i vari Paesi dell’Unione. In tal senso viene sollecitato un maggiore coordinamento fra le autorità nazionali per evitare “distorsioni”. In alcuni casi si prevede l’abolizione di obblighi normativi o a una deroga degli stessi per incentivare gli investimenti in reti ad altissima capacità e favorire accordi che possano rendere finanziariamente più sostenibili gli investimenti stessi da parte degli operatori.
Sono ripartiti i tavoli di trattativa voluti dal governo per arrivare a un’intesa sul progetto della rete unica in fibra. In particolare lo scorso 26 gennaio si è tenuta una riunione presso il Mimit (Ministero delle Imprese e Made in Italy) per fare il punto sulle agevolazioni che lo Stato è disposto a mettere sul piatto per il settore delle Tlc. L’appuntamento ha dato spazio al tema della rete unica, anche perché lo stesso Ministro Adolfo Urso si era espresso recentemente ribadendo la volontà del governo di arrivare ad un controllo pubblico della rete. Come riportato dagli organi di stampa, all’incontro del 26 gennaio erano presenti Vivendi, rappresentato da Daniele Ruvinetti (che nella sostanza ha preso il posto dell’AD dei francesi Arnaud De Puyfontaine), con Rothschild a fare da advisor, e Cdp, con Credit Suisse come consulente, il capo di gabinetto del ministero delle imprese e del made in Italy, Federico Eichberg, a fare le veci del ministro Urso, e l’ad di Cdp Equity, Francesco Mele. Dedica attenzione al tema proprio nella giornata del 26 gennaio il Corriere della Sera, con un articolo a firma di Gabriele de Rosa: Riparte il tavolo di confronto tra Vivendi e Cdp sul futuro della rete Tim. Oggi al Ministero delle Imprese e del Made in Italy i due grandi azionisti del gruppo telefonico si rivedranno per valutare se è possibile trovare un punto di incontro tra le reciproche posizioni, in modo da arrivare a portare la rete di Tim sotto il controllo della Cassa. “Il punto fermo è la rete nazionale a controllo pubblico e quindi a guida di Cassa depositi e prestiti. Questo significa che anche altri attori possono partecipare a realizzare questo progetto” ha ribadito ieri il ministro Adolfo Urso da Bruxelles.
Sempre gli organi di stampa hanno sottolineato come al momento resta questa la strada principale che Cassa e ministero del Made in Italy intendono percorrere, anche se la distanza tra la valutazione di Cdp, intorno ai 18 miliardi, e quella di Vivendi (primo azionista di Tim) che ne chiede almeno 31, sembra troppo ampia per poter essere coperta con gli incentivi di Stato di cui si è parlato. Ecco perché l’altro percorso, quello preferito da Vivendi e che porta alla cosiddetta scissione proporzionale in una NetCo e una ServCo che lascerebbe al mercato il compito di stabilire il valore della rete, non è affatto morta. C’è la possibilità che le parti possano aggiornarsi a breve, addirittura ai primi di febbraio. Ricordiamo inoltre che le misure a sostegno del settore Tlc sul tavolo delle trattative tra governo e privati riguardano in particolare il limite delle onde elettromagnetiche per il 5g, il taglio dell’Iva sui servizi di telefonia e sui dati. Il complesso della proposta è quello illustrato più volte nei mesi scorsi: taglio dell’Iva al 10 o addirittura al 5% sui servizi, voucher, status delle aziende energivore, switch off da rame a fibra, innalzamento dei limiti elettromagnetici ritenuto fondamentale per il 5g.
Si sta progressivamente delineando la situazione dei Comuni italiani di fronte al PNRR, in particolare diventa sempre più stringente il tema delle modalità per la gestione degli investimenti, che ammontano ad oltre 40 miliardi di euro. Argomento altrettanto importante, e direttamente collegato al primo, la gestione condivisa di progetti da parte dei Comuni, dove emerge il ruolo delle Unioni e la necessità di potenziare la loro strutturazione agendo sul terreno normativo e organizzativo. Tutto questo alla luce anche del grande numero delle proposte: sono infatti 69,712 i progetti presentati dei Comuni. Rivolge attenzione al tema il quotidiano Il sole 24 ore, con un articolo a firma di Gianni Trovati pubblicato lo scorso 27 gennaio: Il loro costo ammesso si attesta 29,5 miliardi di euro, in pratica i tre quarti dei circa 40 miliardi complessivi cumulati dagli interventi che devono passare sul tavolo dei sindaci. Il censimento effettuato dal Servizio centrale del Pnrr mostra in modo efficace l’ampiezza dell’impegno che investe le amministrazioni locali nella realizzazione del Piano. I sindaci sono coinvolti in 41 filoni di investimento, articolati in 9 delle 16 componenti del Pnrr e accasati in 4 delle 6 missioni (sono escluse solo le infrastrutture per la mobilità e la salute, che intrecciano competenze nazionali e regionali). Ma i numeri offrono anche indicazioni importanti sulla geografia del Pnrr dei Comuni. A primeggiare per numero di progetti è la Lombardia, con 11.728 interventi. Ma il dato si spiega prima di tutto con le dimensioni della prima regione italiana. Il rapporto fra numero di progetti e popolazione conferma invece l’orientamento meridionale di molti filoni del Piano, con qualche sorpresa.
Nell’articolo si sottolinea come al Nord registra una quota di progetti (48,3%) leggermente superiore al peso della sua popolazione (46,4%); in questa forbice sembrano restare schiacciate le regioni del Centro, che ospitano il 19,8% dei residenti ma pesano solo per il 14% sul totale dei progetti. Prosegue l’articolo: Tolte Molise, Valle d’Aosta e Basilicata, fuori scala per le loro piccole dimensioni, il rapporto progetti/popolazione vede in testa Sardegna, Calabria e Abruzzo, con un intervento ogni 373-428 abitanti. Subito dopo si incontra in graduatoria la prima regione settentrionale, il Piemonte, con un progetto ogni 485 cittadini, mentre la Lombardia si ferma molto più in basso con un rapporto quasi doppio (843). Ma le sorprese maggiori arrivano in fondo, con il Lazio (un intervento ogni 1.505 residenti) e soprattutto con la Sicilia che chiude la classifica con un intervento ogni 1.647 abitanti. Certo, un esame completo deve tener conto anche del valore unitario dei singoli investimenti. Ma già queste cifre sembrano confermare che in alcune aree del Paese la priorità assegnata al Sud dall’obiettivo della coesione territoriale si scontra con forti deficit progettuali. I problemi, insomma, iniziano già prima della fase cruciale della realizzazione, che domina le preoccupazioni di governo ed enti locali.
Durante il convegno “Il nuovo codice degli appalti”, organizzato a Roma dall’Istituto Arturo Carlo Jemolo e dall’Avvocatura dello Stato, tenutosi lo scorso 27 gennaio, sono state presentate le principali novità contenute nel nuovo testo del Codice. All’incontro hanno partecipato esponenti del Governo, dell’Avvocatura dello Stato e della Magistratura amministrativa, docenti universitari e rappresentanti del mondo delle imprese e dell’editoria. Nel corso dei lavori società come Enel, Terna e Iren hanno espresso un giudizio molto favorevole alla disciplina messa a punto dalla commissione speciale del Consiglio di Stato coordinata da Luigi Carbone e approvata dal Cdm, con particolare riferimento al quadro normativo che si delinea per i cosiddetti «settori speciali» (elettricità, gas, energia termica, Tlc, acqua, trasporti ferroviari e aeroportuali). Rivolge attenzione all’argomento il quotidiano Il Sole 24 ore con un articolo pubblicato lo scorso 28 gennaio: La scelta del codice è quella di rendere i settori speciali ancora più autonomi dalle norme ordinarie, come d’altra parte prevedono le direttive Ue (i settori speciali hanno una direttiva a sé, la 2014/25). Nel nuovo codice tutte le norme che devono essere applicate da questi committenti sono raccolte nel libro III e si applicano le norme valide per i settori ordinari solo se espressamente richiamate, mentre nel codice vigente c’era una forte spinta ad estendere le norme ordinarie a questi settori.
Nell’articolo si ricorda come durante i lavori del convegno è stato sottolineato che i cosiddetti “settori speciali” hanno migliori performance con una propria qualificazione degli appaltatori e un bassissimo tasso di contenzioso. Hanno anche norme che consentono una migliore organizzazione. Un esempio lo ha fatto Gianni Armani, amministratore delegato di Iren, con riferimento al responsabile unico del procedimento (Rup): nei settori speciali è possibile suddividere questa funzione fra vari specialisti, a seconda delle competenza necessaria, legale o ingegneristica o tecnica, nei settori ordinari il Rup è, appunto, unico. Giudizio positivo anche da Giulio Fazio, responsabile dell’area Affari legali e societari di Enel. «Il codice è un passo avanti – ha detto – anche per chi, come noi, deve essere competitivo sui mercati internazionali, soprattutto quelli delle forniture di materiali, per evitare di arrivare tardi rispetto ai nostri concorrenti francesi, tedeschi e spagnoli. Bisogna continuare in questa direzione». Fazio apprezza le norme di tutela dei lavoratori, clausola sociale compresa, ma ha raccomandato più attenzione al tema della cybersecurity perché le due normative rischiano di non parlarsi.