L’avvio del nuovo anno ha riproposto in misura evidente il problema di reperire personale per installare infrastrutture indispensabili per lo sviluppo delle reti in banda ultralarga. Sempre più difficile confrontarsi con la corsa contro il tempo per rispettare la scadenza del 2026, che accomuna la maggior parte delle opere infrastrutturali legate alle reti ultraveloci previste all’interno del Piano Italia digitale 2026. La posta in palio è di circa 6,3 miliardi di euro. Le aziende di settore hanno ribadito anche nelle scorse settimane al nuovo Governo l’allarme: mancano sempre almeno 16.000 risorse umane necessarie per realizzare il piano di sviluppo delle nuove reti. È motivo di nuova attenzione al tema la presentazione di uno studio condotto dalla società di consulenza imprenditoriale Oliver Wyman, che mette in luce uno scenario sicuramente preoccupante. Vi è infatti il concreto rischio di non poter centrare gli obiettivi previsti dal Piano di digitalizzazione. Ne parla il magazine L’Economia, del Gruppo RCS – Corriere della Sera, con un articolo a firma di Federico De Rosa pubblicato lo scorso 16 gennaio: L’obiettivo non è a portata di mano, “Il mercato di rete non è in grado ad oggi di accogliere la sfida e portarla a termine nei tempi previsti dal Pnrr” commenta Marco Grieco, partner di Oliver Wyman responsabile Telco per l’Italia, per la quale insieme a Emanuele Raffaele, principal della società di consulenza americana, ha analizzato nel dettaglio lo stato dell’arte della italiana in fibra ottica e la capacità degli operatori di fare il salto richiesto da imprese e cittadini per beneficiare dei servizi digitali e accelerare la crescita. Il quadro che ne esce non autorizza all’ottimismo e chiama in causa il governo, unico soggetto in grado di invertire la tendenza e accelerare i piani.
Secondo le aziende del settore, riunite in un apposito Gruppo all’interno di ANIE, per fare fronte alle richieste in ambito FTTH servirebbe aumentare la capacità produttiva fino a 4-5 milioni di unità immobiliari all’anno per i prossimi cinque anni. Senza contare gli altri interventi. Nella relazione di Grieco si sottolinea come negli ultimi cinque anni il settore ha registrato una crescita del fatturato di circa il 7%, grazie alla diffusione della tecnologia Ftth (Fiber to the home), 5G e Fwa (Fixed Wireless Access), ma, allo stesso tempo, ha vissuto una progressiva erosione dei margini: meno 0,4 punti percentuali rispetto al 2017. Condizione ulteriormente complicata dall’aumento inflattivo di tutti i fattori produttivi (energia, ma anche bitume, ad esempio). Oliver Wyman di fatto conferma che per realizzare entro il 2026 gli obbiettivi fissati dal PNRR e dai piani di roll-out della fibra, sono necessarie circa 16 mila risorse aggiuntive rispetto al personale già presente nel settore.
Il mercato ha quindi due sfide rilevanti connesse alle persone: da un lato il reperimento delle risorse umane necessarie, dall’altro le tempistiche di formazione di tale personale specializzato. Per supportare il settore e portare a termine gli obiettivi entro il 2026 sarà necessario quindi lo sforzo di tutte le parti in gioco: imprese di rete, imprese di telecomunicazioni e Governo.
Dieci miliardi di investimenti nei prossimi quattro anni: questo comprende il piano strategico 2022-2026 di Snam che aumenta del 23% le spese per lo sviluppo delle infrastrutture. Il Gruppo prevede anche un utile netto in rialzo di circa il 3% medio annuo “pur a fronte dell’aumento dei tassi di interesse”, spiega in una nota, mentre viene estesa al 2026 la crescita minima del 2,5% del dividendo. Secondo SNAM il tema energetico nazionale va ribilanciato puntando su tre pilastri: sicurezza delle forniture, sostenibilità e competitività. Il sistema necessita di sviluppare l’infrastruttura del gas lungo tutta la catena del valore attraverso una maggiore flessibilità ed un adeguato dimensionamento, in maniera da rafforzare la propria resilienza in tempi di crisi. La transizione energetica va accelerata attraverso lo sviluppo di gas verdi e di tecnologie per la decarbonizzazione, l’efficienza energetica e l’uso sempre più spinto della digitalizzazione. Dedicano attenzione al tema tutti i principali media italiani, fra cui La Repubblica con un articolo pubblicato lo scorso 19 gennaio: Del totale, 9 miliardi di euro sono destinati all’infrastruttura del gas. In particolare: 6,3 miliardi di euro sul trasporto (rispetto a 5,4 miliardi del precedente piano), compresi gli investimenti relativi al potenziamento della Linea Adriatica e l’applicazione della nuova metodologia per la valutazione dello stato di salute degli asset per le sostituzioni di rete; 1,3 miliardi di euro per l’ampliamento e il rinnovo dei siti di stoccaggio (rispetto a 1,2 miliardi del precedente piano); 1,4 miliardi di euro destinati al GNL, con un significativo aumento riconducibile all’acquisto dei due rigassificatori galleggianti e ai relativi investimenti infrastrutturali.
Per raggiungere gli obiettivi auspicati Snam sarà quindi attiva con una strategia che si articola su investimenti nell’infrastruttura del gas lungo l’intera catena del valore. Come sottolineato nell’articolo, gli investimenti nei business della transizione energetica ammontano a 1 miliardo di euro. In particolare, gli investimenti in biometano nel piano 2022-2026 ammontano a circa 550 milioni di euro e prevedono oltre 100 MW di impianti in esercizio entro il 2026. Previsti anche 100 milioni di euro di investimenti nell’idrogeno anche con il supporto dei fondi del PNRR, per contribuire a preparare l’ecosistema nazionale all’utilizzo dell’idrogeno. Altri 120 milioni di euro di investimenti vanno alla CCS (Carbon Capture and Storage).
Nel CdA di Tim tenutosi lo scorso 18 gennaio massima attenzione a definire i principali “numeri” che caratterizzeranno il nuovo piano industriale che dovrebbe essere approvato sempre dal CdA Tim il 14 febbraio. Rivolge attenzione alla questione il quotidiano Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Andrea Biondi e Carmine Fotina pubblicato lo scorso 19 gennaio: A quanto trapelato sono alcune delle evidenze emerse nel corso del Cda di Tim che si è svolto ieri, per la prima volta senza la presenza di Arnaud de Puyfontaine che lunedì ha rassegnato le dimissioni. Una scelta, questa del ceo di Vivendi, motivata secondo le ricostruzioni dalla necessità di voler avere le mani libere sul dossier rete e dalla volontà di puntare a revocare un Consiglio d’amministrazione frutto di una lista del board appoggiata nel 2021 dai due principali azionisti di Tim – Vivendi e Cdp – ma che ora, con l’uscita di de Puyfontaine dopo quella di Frank Cadoret a novembre, ha perso qualsiasi rappresentanza diretta del primo azionista forte di una quota del 23,75 per cento.
Come ricordato nell’articolo, mentre proseguono le trattative inerenti i nuovi assetti di TIM il governo sta accelerando su un pacchetto di interventi per il settore, richiesti anche dalla stessa società: L’emendamento al Dl Lukoil che estende le agevolazioni per gli energivori alle aziende della difesa e delle Tlc strategiche per la sicurezza nazionale (anticipato sul Sole 24 Ore di ieri) è stato trasformato ieri in Aula al Senato in un ordine del giorno. Ora sarà molto probabilmente recuperato nel decreto Ilva, che ha già iniziato il suo iter nella commissione Industria con lo stesso relatore del Dl Lukoil, Salvo Pogliese (FdI). Sarebbe un primo aiuto, tra gli altri beneficiari, per la stessa Tim nell’ambito del pacchetto di interventi di cui mercoledì prossimo si discuterà al ministero delle Imprese e del made in Italy, anche con l’ad del gruppo Pietro Labriola. Degli incentivi per il settore, oltre che dei progetti del Pnrr, si è parlato ieri anche nel primo giro di incontri di Alessio Butti, sottosegretario a Palazzo Chigi con delega all’Innovazione tecnologica, con associazioni e operatori delle Tlc (Aiip, Assoprovider e Fastweb e la stessa Tim con Labriola). L’equiparazione delle telco alle aziende energivore è considerata una priorità dal governo e dalla maggioranza.
Sempre nell’articolo si sottolinea come degli incentivi per il settore, oltre che dei progetti del PNRR, si è parlato sempre il 18 gennaio nel primo giro di incontri fra Alessio Butti, sottosegretario a Palazzo Chigi con delega all’Innovazione tecnologica, e le associazioni e operatori delle TLC (Aiip, Assoprovider e Fastweb e la stessa Tim con Labriola). L’equiparazione delle telco alle aziende energivore è considerata una priorità dal governo e dalla maggioranza.
La recente pubblicazione di un report realizzato da Strand Consulting, società di consulenza internazionale specializzata nel settore delle telecomunicazioni, pone in evidenza la questione degli equilibri finanziari, operativi ed etici della rete, considerando prima di tutto che il traffico internet sta crescendo costantemente, ha dei costi sempre più rilevanti, ma si conosce ancora poco di come impatti sulle strutture gestionali e imprenditoriali. Dedica attenzione al tema Cor.Com – il Corriere delle Telecomunicazioni, con un articolo a firma del Direttore Mila Fiordalisi, pubblicato lo scorso 20 gennaio: Si sta discutendo della nozione di fair share e fair contribution per le reti a banda larga. Ma ciò che è giusto ed equo è soggetto all’interpretazione individuale. Non avremo mai un accordo condiviso sull’equità. La discussione sulla politica della banda larga ha bisogno di trasparenza e contabilità, non di equità”. Alla vigilia dell’avvio della consultazione pubblica da parte della Commissione Ue – L’altra questione chiave è, secondo Strand Consult, quella della trasparenza: “La trasparenza nella politica sulla banda larga è limitata. Pur sapendo che il traffico internet sta esplodendo ed è costoso, sappiamo poco di come impatta su ogni singola rete a banda larga. Inoltre, l’impatto dei dati varia a seconda del Paese, della tecnologia (fissa o mobile) e del modello di business.
Sempre nel suo articolo, Mila Fiordalisi si domanda a ragione cosa avverrà nel momento che la presenza del metaverso, tecnicamente un vero e proprio “mangiatore di banda”, si amplierà nella rete: Se ci si preoccupa oggi che lo streaming online consumi gran parte della larghezza di banda di Internet, come sarà possibile recuperare i costi quando un numero ancora maggiore di dati verrà immesso nelle reti a banda larga? Questa la domanda che pone Strand Consult che suggerisce di passare all’azione attraverso un aggiornamento delle regole prima che Metaverso diventi realtà.
L’articolo si chiude con un affondo, derivato da quanto emerge dall’analisi di Strand Consult, riguardante un punto che alle autorità antitrust in questi anni sembra essere sfuggito o almeno sottovalutato: le big tech hanno acquisito potere di mercato proprio grazie allo sfruttamento delle reti a banda larga. E per questa ragione le big tech riescono a esercitare un’influenza politica per ottenere prezzi e condizioni favorevoli per la banda larga (quindi accesso a prezzo zero, o con un forte sconto). “Ciò non accadrebbe in un mercato libero e competitivo, ad esempio un mercato che permetta ai prezzi di fluttuare e che non proibisca la diffusione di nuovi prodotti e servizi competitivi come fa la regolamentazione sulla net neutrality. La perdita di valore economico è dell’ordine di 300 miliardi di euro per la costruzione di Ftth e 5G nell’UE. “Potremmo avere prodotti e servizi Internet differenziati se il traffico non fosse dominato da una manciata di aziende. In altre parole, se i servizi specializzati non fossero vietati dalla regolamentazione dalla net neutrality, oggi potremmo avere un’innovazione maggiore e diversa”