Le PMI italiane stanno rivolgendo sempre maggiore attenzione alla Digital Transformation, ma rimane elevato il gap con quelle europee. È quanto emerge dal report dell’Istat “Imprese e Ict 2022” in cui vengono evidenziate anche le aree in cui dovranno concentrarsi gli investimenti per recuperare competitività e per avviare nuovi business. Il 2023 appena iniziato dovrebbe rappresentare un anno fondamentale per accelerare su tutti i fronti. Lo ricorda ed evidenzia anche Cor.Com – Il Corriere delle Telecomunicazioni, in un editoriale del suo Direttore Mila Fiordalisi pubblicato lo scorso 4 gennaio: Se è vero che a partire dal Covid è aumentato il numero di imprese dotato di strumenti digitali e di soluzioni di cybersecurity (si è passati dal 34,4% nel 2019 all’attuale 48,3%) – in particolare sull’onda del ricorso allo smart working – la transizione digitale nel nostro Paese procede ancora con lentezza. Lo stato di avanzamento digitale delle imprese viene valutato dall’Istat attraverso 12 parametro che contribuiscono alla definizione dell’indicatore composito di digitalizzazione denominato Digital Intensity Index (DII), utilizzato per identificare le aree nelle quali le imprese italiane ed europee incontrano maggiori difficoltà. “Con riferimento ai 12 indicatori per classe di addetti, i divari maggiori si riscontrano, a scapito delle Pmi (imprese con 10-249 addetti), nella presenza di specialisti ICT, nella decisione di investire in formazione ICT nel corso dell’anno precedente, nell’uso di riunioni online e di documentazione specializzata sulle regole e le misure da seguire sulla sicurezza informatica. Ampio anche il divario nell’utilizzo di robot e nella vendita online di almeno l’1% del fatturato totale, che riduce in modo significativo la quota complessiva di imprese con almeno 10 addetti che fanno ricorso a questi strumenti”, si legge nel report.

Sempre nell’articolo si sottolinea come nel 2022 il 69,9% di imprese con 10-249 addetti si colloca a un livello base di digitalizzazione che prevede l’adozione di almeno 4 attività digitali su 12, ma appena il 26,8% si colloca a livelli definiti almeno alti dell’indicatore. Al contrario, per il 97,1% delle imprese con almeno 250 addetti si registra un livello almeno base e l’82,1% ha raggiunto quello almeno alto. La banda larga fissa con velocità almeno pari a 30 Mbit/s risulta utilizzata dall’82,8% delle imprese 10+ contro il 96,1% di quelle più grandi. Più distanti invece le quote per connettività ad almeno 1 Giga, rispettivamente 13,2% e 27,1%. Le migliori performance vengono registrate dalle imprese appartenenti al settore della domanda di ICT specializzata e strategica, come quello connesso alla fornitura di energia, in cui opera l’86,4% delle imprese con almeno il 50% degli addetti che accedono a Internet (la media è 49,3%), il 93,3% che ha attivato almeno tre misure di sicurezza Ict (circa 20 punti percentuali più della media) e il 38,3% che ha fornito formazione in campo ICT ai propri addetti (19,3% imprese 10+). Analoghe le performance dei settori delle professioni tecniche e dei servizi di informazione e comunicazione; questi ultimi si distinguono per la presenza di specialisti Ict (59,9% verso una media del 13,4%) e la formazione effettuata per aggiornare o sviluppare le competenze Ict dei propri addetti (52,5% verso 19,3%). Infine, le attività manifatturiere emergono per l’utilizzo della robotica (19,1% a fronte di una media dell’8,7%) mentre con il 36,8% quelle di alloggio e ristorazione sono le prime per l’utilizzo delle vendite online per valori superiori all’1% del fatturato totale a fronte del 13,4% delle imprese con almeno 10 addetti.

Le cifre sono state ufficializzate alla fine del 2022: con 46 gare lanciate da Rfi per un importo di 8,17 miliardi e 25 bandi pubblicati da Anas per 1,7 miliardi, il Polo infrastrutture delle Fs ha messo sul tavolo oltre 10 miliardi di nuove procedure di appalto. In tutto l’anno, Rfi ha aggiudicato contratti per 10,5 miliardi e ne ha lanciati 283 per un valore di 21 miliardi, mentre Anas ne ha aggiudicati per 4,6 miliardi e lanciati 25 per un importo complessivo di 4,6 miliardi. I rallentamenti della parte centrale del primo semestre dovuti agli extracosti da rincari di materie prime ed energia – che hanno costretto le stazioni appaltanti ad adeguare i costi delle opere e a fermare o ripetere molte gare – sembrano lontani, i rallentamenti assorbiti, anche sul fronte del Pnrr. Dedica attenzione al tema il quotidiano economico Il Sole 24 Ore con un articolo a firma di Giorgio Santilli, pubblicato lo scorso 4 gennaio: Questo grande sforzo delle Fs guidate da Luigi Ferraris si può sintetizzare con una cifra che costituisce un record assoluto: nel 2023 il Polo infrastrutture del gruppo Fs aprirà cantieri per quasi 30 miliardi. E tutto fa pensare che gli ostacoli dei mesi scorsi siano stati superati o in via di superamento. Anche grazie alla riconferma in legge di bilancio dei meccanismi di compensazione degli extracosti l’orizzonte sembra meno scuro. C’è ancora molto lavoro da fare per trasformare i progetti di fattibilità in progetti esecutivi prima e in cantieri poi, ma sui due principali fattori critici del sistema italiano – lentezza delle autorizzazioni ai grandi progetti e trasformazione dei contratti aggiudicati in attività di progettazione e di cantiere – i segnali di miglioramento sono forti, soprattutto grazie alle corsie speciali definite per il Pnrr (che andrebbero recuperate nel nuovo codice appalti).

Come ricorda l’articolo pubblicato da Il Sole 24 ore, sul fronte delle autorizzazioni il comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici sta facendo un gran lavoro, con la riduzione drastica di tempi voluta per il PNRR. Inoltre per il passaggio dal contratto al cantiere, la norma dei decreti semplificazioni del 2020 e 2021 che impone di avviare i lavori entro sei mesi sta accelerando tutto. Così nell’articolo: Qui la locomotiva è Rete ferroviaria italiana, la società guidata da Vera Fiorani (responsabile anche del Polo infrastrutture Fs), che ha già speso 4,6 miliardi dei 24,82 che gli assegna il Recovery Plan italiano. Siamo al 18% ed è una performance che, come è noto, pochi investimenti del Pnrr possono vantare: 3,5 miliardi sono andati alle linee Alta velocità (Terzo valico, Brescia-Verona-Padova, Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina) e 1,1 miliardi sugli interventi diffusi (sistemi elettronici Ertms, upgrade rete e stazioni al Sud). Ma quello che più importava ai fini del Pnrr era capire se il passaggio difficile di fine 2022 sarebbe stato superato, per partire veloci nel 2023, oppure ci si sarebbe impantanati a fine anno. I numeri sembrano scongiurare rallentamenti o blocchi: sono state aggiudicate gare per oltre 5 miliardi e 10,8 miliardi di opere sono state messe in gara. Se si aggiungono i 4,6 miliardi già spesi sui vecchi cantieri e quelli da spendere sulle stesse opere quest’anno, siamo già – per il solo Pnrr – oltre i 20 miliardi che nel 2023 devono marciare a pieno regime.

Il più grande evento tecnologico del calendario mondiale, il CES (Consumer Electronics Show), si ripete ogni anno a gennaio e quest’anno si è tenuto a Los Angeles dal 5 all’8 gennaio. L’edizione 2023 è stata speciale, in quanto si è tornati in presenza dopo due anni di stop causa Covid. Il CES è un evento di settore, quindi riservato a operatori professionali e imprese. L’edizione 2023 è stata animata da 2.500 espositori di 165 Paesi. Era veramente tanta la curiosità per questo evento super tecnologico, che infatti ha ampiamente superato la quota di 200.000 visitatori, provenienti da ogni angolo del mondo. Il CES è la prima occasione per molte aziende di presentare i loro prodotti per l’anno successivo, oltre che per illustrare le tecnologie del futuro. Sebbene sia dominato dai grandi marchi, è anche un’opportunità per le aziende più piccole di presentare originali invenzioni o prodotti particolari. Tutti i principali organi di stampa hanno dedicato articoli all’evento di Los Angeles, fra cui il Corriere della sera con un servizio a firma di Paolo Ottolina e Michela Rovelli pubblicato lo scorso 6 gennaio: Tra i padiglioni e i casinò dove l’immensa manifestazione deborda, c’è anche tanta smart health – il filone della salute digitale – mobilità alternativa e proposte nel campo della casa connessa. Che rispetto alla pre-pandemia ha visto la quasi scomparsa di oggetti inutili e cialtroneschi. L’ottimismo a ogni costo che in stile Silicon Valley oggi sembra un po’ appannato e allora anche il futuro che racconta il CES si fa un po’ più concreto, anche se sempre immaginifico.

Sempre il Corriere della Sera, nella sua edizione digitale, pone attenzione alle novità presentate in alcuni settori presenti al CES, ad esempio quello della mobilità: Immaginate un futuro prossimo in cui l’auto ci aspetta nel parcheggio e ci accoglie riconoscendoci come vecchi amici. Quando sediamo al volante, recupera il nostro profilo utente dal cloud a cui è costantemente collegata grazie al 5G, poi regola le nostre impostazioni personalizzate del sedile, del climatizzatore o del sistema audio, quindi imposta sul navigatore la destinazione che raggiungiamo ogni mattina, modificando il percorso a seconda delle informazioni disponibili sul traffico. Immaginate poi di usare comandi vocali per alzare o abbassare la temperatura interna, per avviare una chiamata telefonica o, ancora, per chiedere all’assistente digitale dove potete fermarvi a prendere un caffè. Il tutto mentre sistemi sicurezza basati su intelligenza artificiale usa sensori di ogni tipo per monitorare strada e abitacolo, così da evitare incidenti o pericolose distrazioni. Fantascienza? Non più: queste e molte altre innovazioni ormai a un passo dal mercato vanno in scena in queste ore per al CES 2020 di Las Vegas.

La proliferazione degli incontri in rete, che si è solo attenuato in fase post pandemica, sta creando sempre più perplessità in molte aziende e istituzioni, che considerano ormai le riunioni on line poco efficaci o, addirittura, una scappatoia per lavorare meno e partecipare poco all’attività professionale. Non a caso stiamo assistendo ad un grande ritorno delle riunioni in presenza. Fra le accuse più dure contro le “call” il fatto che si perderebbe il filo dei contenuti e la concentrazione. Inoltre si imputa lo spreco di tempo: chi prende la parola, essendosi appannata la capacità di sintesi, non la smette più di parlare. E dopo un po’, non solo nessuno ascolta più, ma nessuno è nemmeno capace di prendere una qualsivoglia decisione. Si fa atto di presenza, e non ci si sente in colpa per tutto ciò che si sarebbe dovuto fare e che si rimanda. Dedica attenzione al tema il quotidiano La Repubblica, con un articolo a firma di Flavio Bini pubblicato lo scorso 6 gennaio: Da possibile vantaggio lavorativo a tormento il passo è stato brevissimo. La moltiplicazione incontrollata delle riunioni online prodotta dalla diffusione dello smart working e degli strumenti per il lavoro ibrido in molte imprese ha toccato il livello di saturazione, costringendole alle prime contromisure. In sintesi: basta riunioni inutili. A dettare la linea è arrivata qualche giorno fa la canadese Shopify che ha detto stop “a tempo indeterminato” a tutte le riunioni da più di due persone, proibendole in toto il mercoledì e fissando una sola finestra settimanale il giovedì per quelle più grandi da almeno 50 persone.

Come viene ricordato nell’articolo, L’enigma non ancora risolto è se l’abbondanza di riunioni contribuisca a migliorare il flusso di lavoro. Così nell’articolo: Uno studio recente citato da Quartz suggerisce che un terzo delle riunioni presenti nei calendari dei lavoratori non siano necessarie. Un altro pubblicato sul Journal of Business Research ha evidenziato che nelle realtà in cui le riunioni sono state ridotte dell’80%, la produttività dei dipendenti è aumentata di quasi il 75%. Non solo, secondo lo stesso studio lo stress dei dipendenti è diminuito di oltre il 60%. Sempre nell’articolo si sottolinea che le aziende stanno cercando di acquisire un metodo per rendere le riunioni più produttive, provando a portare un rigore che, specialmente in Italia, è tollerato fino ad un certo punto: ad esempio convocando le persone solo strettamente necessarie, fissando un orario tassativo di inizio e fine, definendo una scaletta e un follow up. Che la ricetta della produttività non passi dalla moltiplicazione di riunioni se ne sono accorti anche nelle più promettenti realtà imprenditoriali italiane. È il caso di Engineering, gigante italiano della digitalizzazione da 12 mila dipendenti: “Qui sta prendendo piede la buona prassi, incoraggiata dai vertici, di tenere la durata di call e riunioni entro il limite di 30 minuti, evitando di fissarle durante l’ora di pranzo”, spiegano dall’azienda.

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