Non sono sufficienti 20 miliardi di euro d’offerta per la NetCo di Tim secondo Vivendi, primo azionista della società con il 24%. Per i soci francesi sia Cdp-Macquarie che il fondo americano Kkr devono offrire di più se vogliono la rete infrastrutturale nella quale confluiranno anche i cavi sottomarini di Sparkle. Lo ha dichiarato lo stesso AD di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, mercoledì 8 marzo, durante la conference call per la presentazione dei conti 2022 del colosso francese, ribadendo che le proposte arrivate sul tavolo di TIM sono “molto inferiori al reale valore di questa bella azienda che è Telecom Italia”. Come noto, Cdp e il fondo private equity infrastrutturale australiano avevano ricevuto il via libera dal governo e hanno presentato un’offerta non vincolante per la NetCo nell’arco dei 20 miliardi, migliorativa in termini di contanti di 1,5/2 miliardi rispetto ai 18 miliardi +2 di bonus offerti dal fondo americano ad inizio febbraio, che però sarebbe pronto ad aggiungere 7 miliardi per investimenti per sviluppare l’infrastrutturazione a banda ultralarga. Lo scenario resta quindi complesso e, secondo tutti i principali osservatori e organi di stampa, sussiste il rischio di uno stallo nelle trattative. Fra le testate che si occupano dell’argomento si colloca Affari Italiani, con un articolo di Marco Scotti pubblicato lo scorso 11 marzo: “Take private”. È questo l’idea che rimbalza nelle diverse stanze dei bottoni quando si parla di Tim. Che cos’è il take private? Si tratta dell’acquisto delle azioni di una società quotata in Borsa da parte di un fondo di private equity o da una pluralità di soggetti. E questa soluzione inizia a prendere corpo perché appare evidente che ormai si sia arrivati a una situazione di muro contro muro e di veti incrociati. Cdp ha fatto un’offerta che valuta la rete 18 miliardi ma con un minore peso di Fibercop (la rete secondaria che dalla “cabina” in strada arriva nelle case degli italiani). Kkr ne ha messi due in più sul piatto ma contando FIbercop come se valesse 10 miliardi (contro i 6 di Cassa Depositi e Prestiti). I francesi di Vivendi, dal canto loro, nonostante abbiano svalutato la loro partecipazione in Tim, non hanno alcuna intenzione di cedere un asset strategico per meno della cifra che hanno stabilito, cioè 31 miliardi. Si può ipotizzare che si arrivi a 26-27 con trattative estenuanti? È possibile, ma certo se le premesse sono queste l’accordo appare complicato.
Come viene sottolineato nell’articolo di Affari Italiani, bisogna inoltre considerare che per vendere la rete bisogna anche cambiare l’oggetto sociale. Tim, infatti, è specializzata nella vendita di servizi di rete. Per una modifica così sostanziale potrebbe essere necessario alzare il quorum. L’opzione preferita dai francesi resta un’opa con conseguente delisting, ma il governo italiano, che invece spinge per una rete unica nazionale, starebbe lavorando ad una soluzione che andrebbe a coinvolgere Cdp e Kkr, avvicinandosi ai francesi in termini di valutazione. Già nelle scorse settimane, a fronte di incontri con tutte le parti in campo, sarebbe emersa l’idea di spacchettare la NetCo: al fondo Usa si darebbe la disponibilità per un’offerta sulle aree nere, cioè quelle a più alta concorrenzialità, mentre la Cassa potrebbe integrare le aree bianche e le aree grigie per le quali sarebbe meno complicato ottenere il via libera dell’Antitrust Ue per l’operazione di fusione