Nuove strategie sulla rete unica?

Lo scenario sembra caratterizzato da un focus più forte sul cloud, la “nuvola” informatica nazionale dove custodire i dati socio-industriali.

Appena un anno fa il progetto “rete unica nazionale in fibra” appariva molto vicino alla sua concretizzazione. Tim era la società che sarebbe dovuta essere principale protagonista di un’infrastruttura unica nazionale, unendo le sue forze a quelle di Open Fiber. Oggi lo scenario appare in parte mutato, con forse meno aspettative sulla rete unica e invece un focus più forte sul cloud, la “nuvola” informatica che dovrebbe custodire i dati e rientra anche nei progetti del governo Draghi per il Recovery Plan.
Dedica attenzione al tema il Corriere della Sera, con un articolo a firma Francesco Manacorda pubblicato lo scorso 12 luglio. L’articolo si apre con un’osservazione sulla recente visita a Roma dei vertici di Vivendi, società francese che possiede il 23,75% di TIM: …nelle loro interlocuzioni con il ministro dell’Economia Daniele Franco e con quello dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti gli è stato spiegato che il tema della rete – unica o meno – non dipende da quei dicasteri, ma è stato affidato dal premier Mario Draghi alla responsabilità esclusiva di Vittorio Colao, l’ex supermanager Vodafone che adesso è ministro dell’Innovazione tecnologica e della transizione digitale. E le poche volte in cui Colao si è espresso pubblicamente sul tema ha sottolineato che il problema dell’Italia non è quello di avere o no la rete unica, quanto di ridurre o eliminare il “digital divide” che oggi separa la società italiana tra chi può avere un accesso ultrarapido alla rete e chi no. Le soluzioni per superare questo gap possono essere più di una: ad esempio quella di integrare la rete in fibra che arriva ad alcuni snodi principali a una serie di antenne 5G in grado di diffondere ulteriormente il segnale, o quella – che lo stesso Colao ha già messo in cantiere – di allestire gare per la rete nelle cosiddette “aree grigie”, ossia quelle dove si prevede la presenza di un solo operatore. Il cronoprogramma del governo prevede di fissare per fine anno i bandi di gara per poi procedere all’aggiudicazione entro il primo semestre del 2022 ed è palese che di fronte a una gara ci debbano essere più concorrenti e non un operatore unico.
Lo stesso articolo ricorda però che sul fronte Telecom l’opzione rete unica non viene data per morta; anzi prosegue il dialogo con la Cassa Depositi e Prestiti per vedere a che punto è il dossier nel quale proprio la Cdp giocherebbe un ruolo fondamentale, visto che oltre ad avere il 10% di Tim si appresta a passare da socio paritario di Enel in Open Fiber a primo azionista con il 60%, mentre il restante 40% andrebbe al fondo australiano Macquarie.
I tavoli tecnici tra Tim e Cdp in effetti ci sono, vertono in gran parte sugli aspetti regolatori, ma la loro missione è innanzitutto capire se andare avanti sulla rete unica e solo in caso di risposta positiva stabilire come farlo. (…) Che piano B preparare se la rete unica non si dovesse fare? Per la Tim un’ipotesi subottimale, ma alla quale potrebbe adeguarsi, è quella di sostituire una rete unica con la stessa società come azionista di maggioranza – questo era il progetto originale per cui Gubitosi si batteva – in una consorzio di operatori che si impegnino a coinvestire per la rete: il vantaggio a breve termine per la società telefonica sarebbe probabilmente quello di un minor assorbimento di capitale; ma a più lungo termine si potrebbero rivelare deleteri per Tim gli effetti di non avere saldamente in mano la rete comune da far pagare agli operatori che la vogliono usare.

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