La ricerca è stata presentata pubblicamente al Forum di Cernobbio da Giorgio Metta (direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, uno degli Advisor scientifici dell’iniziativa) e Corrado Panzeri (partner di The European House-Ambrosetti). L’obiettivo dell’indagine di capire l’impatto dell’AI sul nostro Paese e le sue imprese, partendo dal “censimento” di 23 tipologie diverse di casi, distribuiti su 15 settori economici e otto tipologie di processi aziendali. In Italia tra i settori più maturi nell’utilizzo dell’AI (già usata da una realtà su due, con il 70% degli intervistati che afferma di avere riscontrato vantaggi di produttività) c’è il manifatturiero e gli ambiti che traggono maggiori benefici dal suo utilizzo sono la R&S, la progettazione e la gestione della supply chain. Rivolge attenzione al tema il quotidiano La Repubblica, con un articolo a firma di Filippo Santelli, pubblicato lo scorso 1 settembre: Una massiccia iniezione di produttività, che in Italia ristagna da decenni. E un antidoto alla riduzione della forza lavoro, effetto del rapido invecchiamento della popolazione. Se le aziende e la pubblica amministrazione italiane adottassero in maniera diffusa l’Intelligenza artificiale, in particolare la sua frontiera “generativa”, il nostro Paese potrebbe vedere il Pil aumentare fino a 312 miliardi di euro, il 18%.
Uno dei dati dell’indagine che colpiscono di più è proprio quello inerente l’AI generativa, che a parità di valore aggiunto potrebbe liberare fino a 5,4 miliardi di ore, che corrispondono alle ore lavorate in un anno da 3,2 milioni di persone. A questo proposito nella ricerca si legge che «dato che l’Italia entro il 2040 perderà circa 3,7 milioni di occupati, un numero che contribuisce con gli attuali livelli di produttività a creare circa 267,8 miliardi di valore aggiunto, le nuove tecnologie consentiranno di mantenere invariato lo stesso standard di benessere economico». Sulla stessa lunghezza d’onda Giorgio Metta: «È necessario investire in maniera energica e tempestiva, per non farsi cogliere impreparati di fronte a questa nuova rivoluzione produttiva e sociale. L’Italia deve fare investimenti in ricerca, formazione e innovazione, per creare un ecosistema pubblico-privato in grado di colmare il gap con l’agguerrita competizione internazionale». Sempre nell’articolo di La Repubblica si sottolinea che il passo successivo è ipotizzare che in futuro quella percentuale massiccia di adozione si estenda a tutta Italia, e capire come cambierebbe l’attività delle imprese: Ecco la dibattuta e irrisolta questione: l’AI toglierà lavoro agli umani? Lo studio risponde che nel complesso non sarà così e di certo Microsoft, in prima linea nello sviluppo degli algoritmi, non ha interesse ad alimentare paure. Ma è vero che, prima della disoccupazione tecnologica, il problema dell’Italia è opposto: poca innovazione, poca crescita, poco lavoro di qualità. Gli allarmi che manda lo studio, allora, sono altri. Uno generale, sulla necessità che lo sviluppo dell’AI sia etico, attraverso un dialogo tutto da definire tra governi e aziende. E uno alla politica italiana. Perché l’adozione dell’AI sia capillare, bisogna prima rendere digitali 113 mila piccole imprese. E aumentare gli scritti a corsi di laurea hi-tech – oggi al livello più basso in Europa – di 130 mila unità. L’AI è un treno che l’Italia non può perdere, ma per poterci salire serve una svolta tutta da costruire.