Il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale può coinvolgere il lavoro umano in vari ambiti. Solo In Italia si ipotizza nei prossimi anni un coinvolgimento diretto di oltre 2 milioni di posti di lavoro. I commenti degli esperti si dividono fra chi esprime grandi preoccupazioni e altri pareri che mettono in luce le opportunità da cogliere. Molti anche i commenti giornalistici sul tema, fra cui quello di Eugenio Accorsio pubblicato lo scorso 4 settembre sul magazine Affari&Finanza: «Ad oggi non esiste evidenza che l’intelligenza artificiale abbia avuto un impatto negativo sul mondo del lavoro. Certo, con la brusca accelerazione che la tecnologia ha avuto con l’introduzione di ChatGPT e delle altre piattaforme “generative” occorre moltiplicare le attenzioni perché il salto di qualità è veramente notevole». Stefano Scarpetta, economista con PhD all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, dal 2013 direttore centrale dell’Ocse per le politiche del lavoro e dei problemi sociali, invita a non farsi prendere dal panico ma anche a non abbassare la guardia rispetto all’invadenza dell’AI.
Come presentato nell’articolo di Affari&Finanza, il team coordinato da Scarpetta ha redatto un articolato rapporto dal titolo “Artificial intelligence and the labour market”, nel quale si analizza nella finanza e nella manifattura l’impatto positivo o negativo della rivoluzionaria tecnologia sull’occupazione e le condizioni di lavoro. Il sondaggio ha coinvolto oltre 2 mila aziende in diversi Paesi dell’Ocse, intervistando 5.300 lavoratori. È emerso che finora meno del 10% delle imprese ha inglobato applicazioni di AI nelle proprie attività. Ma nelle grandi aziende la percentuale sale a un terzo. Fra le aziende che utilizzano l’AI, il 50% degli intervistati dichiara che è migliorata la qualità del lavoro, permettendo ai dipendenti di concentrarsi su attività più interessanti e lasciando quelle gravose o pericolose alle macchine. È inquietante però che tre su cinque degli interpellati, soprattutto quelli con competenze medio basse, temono che l’AI gli toglierà il posto nei prossimi cinque anni. Così nell’articolo: Il rapporto definisce «ambiguo» il rapporto con l’AI. «È vero che probabilmente porterà alla scomparsa di alcuni lavori – si legge nel documento – ma può avere un effetto virtuoso alzando la domanda complessiva di lavoro grazie ai miglioramenti di produttività. Possono nascere nuove attività, specie per i lavoratori le cui abilità sono complementari.
L’importante, secondo l’Ocse è governare il cambiamento, senza cadere nella trappola di affidarsi totalmente alla tecnologia. In particolare è necessario consentire ai lavoratori e ai datori di lavoro di cogliere i vantaggi dell’AI e di adattarsi ad essa con la formazione e il dialogo sociale. Il training continuo degli adulti, soprattutto quelli meno qualificati e più esposti a contraccolpi negativi, è importante, così come l’investimento in scuola e università.