I dati di marzo 2021 relativi alla produzione industriale non hanno fatto registrare un significativo sviluppo, ma gli analisti guardano con maggiore fiducia al prossimo futuro. Al tema dedica attenzione il Corriere della Sera, con un articolo pubblicato lo scorso 12 maggio a firma di Dario Di Vico: Le indagini segnalano una significativa accelerazione nei prossimi mesi e il ritorno in positivo del Pil già dal secondo trimestre 2021, ma ancor più interessante è confrontarsi con un trend di medio periodo e soprattutto incrociare effetti del PNRR e andamento del manifatturiero. Si sono avventurati in questa simulazione Prometeia e Intesa Sanpaolo che hanno presentato il loro Rapporto sui settori industriali, dal quale si può in estrema sintesi dedurre che nonostante la pandemia l’Italia resta uno dei grandi Paesi industriali e per di più si sta muovendo sulla strada giusta. Il calo fatto segnare nel 2020 dal fatturato dell’industria è stato inferiore alle attese (-9,3% a prezzi costanti): per avere un termine di raffronto dopo la Grande Crisi nel 2009 si scese del 16%. Il soft landing è stato dovuto al recupero nel secondo semestre ma soprattutto all’export che ha dimostrato una capacità di tenuta delle proprie quote di mercato superiore a Francia e Germania. Il giudizio di Prometeia e Intesa Sanpaolo è che «la reattività nell’agganciare la ripresa è dovuta a un intenso processo di rafforzamento competitivo avviatosi nell’ultimo decennio» e che si gioverà della poderosa iniezione di fondi europei destinati a favorire digitalizzazione, automazione e transizione green.
Le previsioni sono di un recupero del fatturato industriale del 2021 a +8,4% e del 2022 a +5,3% e al raggiungimento di una velocità di crociera negli anni 2023-25 in media del +2,6% l’anno. Ancora Di Vico: Per dirla in estrema sintesi la manifattura italiana è uscita bene dalla crisi degli anni Dieci lasciando le lavorazioni a basso valore aggiunto salendo di gamma e puntando sull’export e questa mutazione ha retto alla nuova crisi degli anni Venti. Un ulteriore cambio di passo serve però e riguarda la necessità di colmare il ritardo digitale che si separava, già pre-pandemia, dai concorrenti europei. Una transizione che verrà aiutata dai fondi europei soprattutto nei settori dell’elettronica, elettrotecnica, meccanica ed automotive e dovrebbe regalare loro tassi di crescita più dinamici nel quinquennio 2021-25, seppure – avverte il Rapporto – «l’intera filiera manifatturiera italiana evidenzia comunque buone prospettive di rafforzamento». Anche sul fronte finanziario la ripartenza, i provvedimenti a sostegno della liquidità e la maggiore solidità patrimoniale raggiunta negli ultimi anni dovrebbero aver mitigato l’impatto della crisi sui bilanci aziendali 2020. E il calo dei margini e della redditività sarà riassorbito entro il 2025.