Il New York Times porta in tribunale ChatGpt

Si annuncia quella che potrebbe diventare la disputa legale di più alto profilo in tema di protezione del copyright e proprietà intellettuale dell’era dell’intelligenza artificiale.

Il gruppo editoriale New York Times potrebbe portare OpenAI – l’azienda che ha creato ChatGPT – in tribunale, in quella che potrebbe diventare la disputa legale di più alto profilo in tema di protezione del copyright e proprietà intellettuale dell’era dell’intelligenza artificiale. Come è stato riportato da alcuni organi di stampa statunitensi, il New York Times ha già bloccato il web crawler di OpenAI la quale quindi, al momento, non può usare i contenuti pubblicati per “alimentare” il software di intelligenza artificiale. Inoltre, all’inizio di agosto il Nyt ha aggiornato i suoi termini di servizio vietando l’uso dei suoi contenuti per l’addestramento dei modelli di IA.

Rivolgono attenzione all’argomento diverse testate giornalistiche anche in Italia, fra cui La Repubblica, con un articolo a firma di Filippo Santelli, pubblicato lo scorso 24 agosto: Il New York Times contro ChatCpt. Bastano i nomi, il più autorevole quotidiano del mondo contro la super intelligenza artificiale, per uno scontro epico. Ma l’oggetto del contendere lo rende addirittura epocale: come tutelare le creazioni umane, ora che gli algoritmi sanno parlare? Con stupore vediamo le macchine diventare ogni giorno più brave a generare testi, musica o immagini. Ma questo è possibile perché vengono addestrate con una quantità enorme di contenuti prodotti dall’uomo, in molti casi protetti da diritti d’autore, accessibili nello sconfinato archivio del web.

Da sottolineare come all’origine della vicenda c’è l’investimento di 20 miliardi di dollari fatto da Microsoft in OpenAI: l’obiettivo è aumentare le capacità del motore di ricerca Bing. È a quel punto che l’attenzione della società si sarebbe spostata sull’archivio del New York Times che, se incorporato negli algoritmi di ChatGPT, permetterebbe a Bing di rispondere alle domande degli utenti con testi formulati sulla base degli articoli pubblicati dal quotidiano. Ne è quindi nata una trattativa fra il New York Timese OpenAI, quest’ultima disposta a pagare il quotidiano per le sue storie, ma la trattativa si è rivelata complessa fin dalle prime battute, tanto da evocare la possibilità di un’azione legale. Non sono emersi dettagli precisi, ma alla base dello scontro potrebbe esserci la difficoltà di dare un prezzo a una banca dati così grande e immateriale.

Sempre secondo indiscrezioni giornalistiche USA, la maggiore preoccupazione del New York Times è che ChatGPT possa diventare un diretto concorrente del quotidiano fornendo agli utenti risposte costruite sui materiali – anche esclusivi – creati dallo stesso giornale, senza citare le fonti.

La questione è del tutto aperta perché modelli come ChatGPT hanno già preso a piene mani da Internet materiali per addestrare i loro chatbot a rispondere: un’estrazione di informazioni che al momento avviene senza autorizzazione. Tuttavia se si scoprisse che OpenAI ha violato il diritto d’autore copiando articoli del New York Times un tribunale federale potrebbe ordinare la distruzione del set di dati costringendo ChatGPT a ricrearlo da zero con solo ciò che è autorizzata a utilizzare. Creando così anche un fondamentale precedente di sentenza legale che potrebbe minare alla radice l’operatività dei sistemi di intelligenza artificiale basati su archivi in rete.

Ricordiamo che una causa legale contro OpenAI è già stata avviata a luglio dall’attrice comica Sarah Silverman e dagli autori Richard Kadrey e Christopher Golden. Secondo i tre, l’azienda – citata insieme a Meta – ha violato il diritto d’autore usando alcuni contenuti di libri per replicare conversazioni umane nei modelli di intelligenza artificiale. Stessa accusa mossa anche da due scrittori, Paul Tremblay e Mona Awad.

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